Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14945 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14945 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7019/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappres. e difesa da ll’ avv.to NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa dall’ avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
COGNOME NOMECOGNOME rappres. e difeso dall’avv.to NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-controricorrenti-
-nonche’ –
COGNOME NOMECOGNOME rappres. e difeso dall’avv.to NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente incidentale-
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-controricorrente-
-nonché-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t.;
-intimata- avverso la sentenza n. 5446 emessa dalla Corte d’appello di Napoli, pubblicata il 21/12/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6.05.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con citazione del 3 aprile 2014 la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Napoli, la Banca Monte dei Paschi di Siena spa, importi illegittimamente addebitati per anatocismo, interessi ultralegali, c.s.m. e spese non pattuiti in relazione ai conti correnti di corrispondenza n. 22365.90 e n. 24142.67, ai conti anticipi n. 23254.75 e n. 23253.82, per conseguirne la condanna alla restituzione degli e al rapporto anticipi n. 29743406,05, intrattenuti con la convenuta.
Si costituiva la Banca, resistendo alla domanda attorea e proponendo domanda riconvenzionale di pagamento della complessiva somma di € 129.027,55, quale saldo debitore dei rapporti intrattenuti, per i quali era stata prestata fideiussione da NOME COGNOME che chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa.
Autorizzata la chiamata, si costituiva il COGNOME il quale faceva proprie tutte le domande, eccezioni ed allegazioni della società attrice.
La causa, istruita a mezzo c.t.u. tecnico-contabile, veniva decisa con la sentenza del Tribunale che, in accoglimento della domanda attorea, condannava la banca convenuta al pagamento in suo favore della somma di € 40.321,44, oltre accessori e spese di lit e, rigettando la domanda riconvenzionale.
Avverso la citata pronuncia, con citazione del 18 giugno 2018, proponeva tempestivo appello la Banca Monte dei Paschi di Siena spa. Con distinte comparse si costituivano la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE proponendo appello incidentale per la riforma della sentenza limitatamente alle domande di rispettivo interesse non accolte in primo grado.
Con sentenza del 21.12.22 la Corte territoriale accoglieva l’appello principale proposto dalla banca, condannando la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e RAGIONE_SOCIALE, in qualità di garante, in solido tra loro, al pagamento, in favore della Banca, della somma di € 47.163,36, oltre interessi convenzionali dalla maturazione al soddisfo, osservando che: era fondata la doglianza relativa alla dichiarazione di nullità dei contratti intercorsi con la RAGIONE_SOCIALE, privi di sottoscrizione della banca, per aver il Tribunale ritenuto non raggiunta la prova della consegna dei documenti al correntista, in quanto erano stati prodotti allegati specifici contenenti dichiarazioni in cui la stessa società testualmente ‘ dichiara di ricevere lo schema contrattuale relativo al servizio/prodotto c/c ; infatti, il requisito della forma scritta deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti; nella specie, le parti appellate non avevano contestato la ricezione dei contratti, essendosi limitate a
disconoscere la conformità delle copie agli originali, ed era provata l’esecuzione del rapporto; le dichiarazioni sopra richiamate, integravano, del resto, l’accettazione delle proposte della banca secondo le condizioni riprodotte nelle scritture, mentre il suo consenso era da desumere dal comportamento concludente pacificamente tenuto dalla stessa nel prosieguo del rapporto; posto che il requisito della forma scritta del contratto a pena di nullità va inteso in senso funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione del correntista assunta dalla norma, era stata pertanto salvaguardata l’esigenza ‘di eliminare le asimmetrie informative che pongono il cliente in una situazione di debolezza contrattuale’ ove, come nel caso di specie, quest’ultimo, prima d ella sottoscrizione, aveva avuto piena conoscenza, per iscritto, delle condizioni contrattuali, riportate nel documento dal medesimo sottoscritto; di conseguenza, la sanzione di nullità irrogata dal primo giudice, sulla base di un non dedotto difetto di consegna dei documenti contrattuali al correntista, non era legittima; il disconoscimento dei suddetti documenti era da reputarsi inefficace in quanto non era stata mai negata l’autenticità delle sottoscrizioni di tutte le convenzioni contrattuali, né erano stati specificati gli aspetti differenziali delle copie rispetto agli originali; la sentenza impugnata era da riformare anche nella parte in cui il primo giudice aveva ritenuto privi di riscontro documentale gli altri contratti (ovvero i nn. 23254/75, 23253/82, 29743406.05), alla luce delle lettere-contratto di credito disciplinanti i fidi e gli anticipi su fatture operativi sui rapporti di conto corrente intrattenuti con la società, debitamente sottoscritte dalla stessa, e gli atti di modifica delle precedenti condizioni, con specifica indicazione dei tassi di interesse e delle ulteriori condizioni applicate; al riguardo, la società correntista aveva riconosciuto l’esposizione debitoria e le specifiche pattuizioni
relative ad ogni singolo rapporto intrattenuto con la banca; la validità dei contratti per le ragioni esposte escludeva altresì la fondatezza dei motivi dell’appello incidentale della società, riproposto dal fideiussore come terzo motivo del proprio appello incidentale, col quale si denunciava violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ. per la buona fede del debitore al momento della percezione dei finanziamenti erogati nei conti cc/cc 23253.82, 23254.75 e 29743406,05 e deduceva, pertanto, che il Tribunale, nel selezionare i criteri di rettifica del saldo del c/c 22365.90, avrebbe dovuto disporre l’esclusione degli addebiti per interessi in relazione ai cc/cc indicati, e non già l’applicazione dei detti accessori al tasso legale codicistico vigente per tempo; era fondato anche il secondo motivo di gravame con il quale la banca appellante lamentava l’erroneo accertamento dell’usura in relazione al conto corrente n. 24142, in quanto il recepimento, da parte del Tribunale, dei conteggi elaborati dal c.t.u. rendeva evidente l’ error in iudicando del primo giudice, atteso che il c.t.u., in entrambe le ipotesi di calcolo sviluppate, aveva incluso la c.s.m. nel calcolo del TAEG; al riguardo, a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 24 del 2001, la natura usuraria o meno degli interessi deve essere stabilita con riferimento alla data di conclusione del contratto bancario, senza che possa più assumere rilievo la cosiddetta usurarietà sopravvenuta, determinata dal successivo ribasso del tasso soglia; nel caso di specie, non sussisteva la denunciata usura oggettiva, avendo il c.t.u. – incaricato nel secondo grado di giudizio di rispondere al mandato integrativo conferito dalla Corte – accertato che per entrambi i conti ordinari non vi era superamento del tasso soglia, riconoscendo, in tal caso, solo gli interessi corrispettivi, se originariamente leciti, senza rilevare ipotesi di usura sopravvenuta; pertanto, all’esito della c.t.u., sulla base del quesito postogli dalla Corte e delle integrazioni
sollecitate dalle parti, la RAGIONE_SOCIALE risultava debitrice della banca della somma di € 47.163,36 (pari allo sbilancio complessivo a debito di € 2.228,50 + € 44.934,86 rivenienti dal conto n. 29743406), oltre interessi convenzionali come richiesti; la sentenza impugnata era pertanto, da riforma re nel senso dell’accoglimento, entro i limiti sopra indicati, della domanda riconvenzionale formulata dalla banca; circa i contratti in esame, il garante si era impegnato ‘ a pagare immediatamente alla banca, a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione del debitore principale, quanto dovutole per capitale, interessi, spese, tasse ed ogni altro accessorio ‘ (art. 7) ; inoltre si era stabilito che ‘ nell’ipotesi in cui le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la presente fideiussione s’intende fin d’ora estesa a garanzia dell’obbligo di restituzione delle somme comunque erogate ‘ (art. 8) , emergendo dunque un contratto autonomo di garanzia.
La RAGIONE_SOCIALE ricorre in cassazione, avverso la suddetta sentenza d’appello, con undici motivi, illustrati da memoria.
La Banca Monte dei Paschi spa e NOME COGNOME resistono con controricorso.
NOME COGNOME ha successivamente presentato ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza; la Banca Monte dei Paschi spa resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo del ricorso principale denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 disp. prel. c.c., degli artt. 2719, 2725, 2727 e 2729 c.c., degli artt. 116 e 214 c.p.c., dell’art. 24 Cost., dell’art. 6 CEDU e degli artt. 47 e 48 della CDFEU (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), nonché nullità della sentenza e del procedimento per mancanza della motivazione e/o per motivazione meramente apparente, in relazione
agli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111, co. 6, Cost. (art. 360, co.1, n. 4, c.p.c.).
Al riguardo, la ricorrente deduce che, erroneamente, la Corte distrettuale ha consentito che la lite potesse essere decisa sulla scorta di documenti che non sarebbero dovuti entrare nel perimetro valutativo del giudice e nel thema decidendum , in quanto ritualmente e tempestivamente disconosciuti ex art. 2719 c.c. e, nondimeno, non depositati, né in originale né in copia certificata conforme da pubblico ufficiale a tanto autorizzato.
Il ricorrente assume, in particolare, che: contrariamente all’indirizzo della Corte di Appello, i disconoscimenti, rispettivamente compiuti dalla parte attrice e dal terzo chiamato, erano efficaci, non occorrendo alla loro completezza la specificazione degli aspetti differenziali delle copie rispetto agli originali, sia perché non richiesta né dalla lettera, né dallo scopo della norma, sia perché l’esistenza degli originali era negata; l a sentenza impugnata era nulla per vizio della motivazione perché non indicante la ragione per la quale la mancata negazione dell’autenticità delle sottoscrizioni si riverberava sul disconoscimento ex art. 2719 c.c.; in via subordinata, ai sensi dell’art. 360, n.3, l’esistenza dei contratti in concreto disconosciuti, soggetti a forma scritta ad substantiam , giammai potrebbe essere provata tramite il contegno processuale della parte; d’altra parte, il COGNOME aveva negato la conformità all’originale d ei documenti in questione, disconoscendoli espressamente e formalmente; identica difesa era stata poi svolta dalla RAGIONE_SOCIALE alla prima udienza del 23/1/2015; entrambi i disconoscimenti erano stati tempestivi, siccome eseguiti nel primo tempo processuale successivo al deposito dei documenti, entrambi specifici a sufficienza, siccome, senza ambiguità, genericità o formule di mero stile, negando l’esistenz a di originali contratti scritti.
Il motivo è inammissibile.
P remesso che risulta accertata l’esistenza di accordo scritto sottoscritto dal solo cliente (come più diffusamente sarà esplicitato in ordine al secondo motivo) va osservato che in relazione all’efficacia del disconoscimento resiste la seconda ratio decidendi della sentenza impugnata che richiede la specificazione degli elementi differenziali, rendendo così priva di decisività l’impugnazione della prima ratio circa l’autenticità delle sottoscrizioni di tutte le convenzioni contrattuali .
Invero, in tema di prova documentale il disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio, ai sensi dell’art. 2719 c.c., impone che, pur senza vincoli di forma, la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale, non essendo invece sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni (Cass., n. 16557/2019).
L’eccezione di non conformità tra copia ed originale va sollevata in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale (Cass., n. 7775 del 03/04/2014; n. 29993 del 13/12/2017; n. 27633 del 30/10/2018; n. 14279 del 25/05/2021).
La contestazione della conformità all’originale degli atti prodotti in copia (art. 2719 c.c.), infatti, come qualsiasi domanda od eccezione, ha lo scopo di delimitare l’oggetto del contendere; e ciò non potrebbe avvenire se non quando quell’eccezione sia precisa e circostanziata. Sarebbe infatti incoerente con elementari canoni di logica, oltre che col principio costituzionale e eurounitario di ragionevole durata del
processo, supporre che nel processo fosse consentito sollevare eccezioni senza indicarne con chiarezza inequivoca il fondamento fattuale. Così, ad esempio, della copia d’un documento si potrà sempre negare che differisca dall’originale quanto alla sottoscrizione, oppure al contenuto, od ancora alla data, od anche a tutti questi elementi insieme; non può per contro ammettersi che la parte controinteressata a quel documento possa limitarsi ad eccepire che “la copia non è conforme” (Cass, n. 40750/21).
Viceversa, il c.d. «diniego di originale» non attiene alla contestazione del contenuto, ma dell’esistenza stessa del documento, con la finalità di espungerlo dall’ordinamento in quanto artificiosamente creato, e richiede la querela di falso, proponibile anche avverso la copia prodotta in giudizio, per rimuovere la sua efficacia probatoria di scrittura privata, mentre il disconoscimento di conformità, che attiene al contenuto del documento prodotto in copia e non alla sua provenienza o paternità, presupponendo l’esistenza di un originale, consente l’utilizzazione della scrittura e, in particolare, l’accertamento della conformità all’originale della copia prodotta anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass., n. 24029/2024; n. 13/2025; n. 8718/2023).
Nella specie, il ricorrente non ha allegato di aver contestato in appello specifiche difformità della copia, non ha indicato gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale e, anzi, ritiene che non avrebbe dovuto farlo, ma non ha proposto neppure la querela di falso, che sarebbe stata necessaria in ordine alla negazione dell’esistenza degli originali dei contratti bancari (cd. diniego di originale).
Né va condivisa, per i motivi suesposti, la difesa a tenore della quale la negazione dell’originale avrebbe munito di specificità il disconoscimento delle copie.
Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1326 c.c., dell’art. 117, co. 1 e co. 3, T.u.b. e degli artt. 115, 163, co. 3 e co. 4, e 167, co. 1, c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 115 c.p.c., nonché, per mancanza della motivazione e/o per motivazione meramente apparente, in relazione agli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111 , co. 6, Cost. (art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.).
Il motivo è promosso in via condizionata al non accoglimento del terzo, e denuncia, in sostanza, la decisione della Corte distrettuale di riformare la sentenza di primo grado nella parte in cui questa aveva dichiarato la nullità totale, per difetto di consegna, dei contratti di conto corrente e di finanziamento relativi ai conti 22365/90 e 24142/67.
Il motivo è infondato.
Invero, una volta accertata l’avvenuta consegna del contratto mediante la dichiarazione di ricezione, sarebbe stato onere del cliente smentire la circostanza della consegna; la denuncia di motivazione apparente è formulata irritualmente mediante il confronto con le risultanze processuali (giova sul punto rilevare che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: SU, n.8053/14).
Inoltre, non vi è travisamento della prova, nel senso di svista percettiva, perché la Corte territoriale, attribuendo efficacia confessoria a quanto risultante dal contenuto del documento sottoscritto dal cliente, ha svolto una valutazione, e dunque un giudizio.
Le parti appellate non avevano contestato la ricezione dei contratti, come detto, essendosi limitate a disconoscere la conformità delle copie agli originali, ed è in atti la prova dell’esecuzione del rapporto.
Pertanto, il materiale documentale e l’assenza di contestazione da parte degli opponenti sull’avvenuta consegna dei contratti di conto corrente alla debitrice principale, comportano, pertanto, la piena utilizzabilità degli stessi come prova del credito e delle condizioni pattuite dalle parti.
Giova richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte a tenore della quale, in tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti (Cass., n. 9187/2021; SU, n. 898/2018).
Di recente è stato altresì significativamente affermato che è infondata la tesi per cui l’obbligo di consegna della documentazione contrattuale di cui all’art.117 TUB attiene alla sola fase dell’esecuzione e non alla stipulazione del contratto, confondendosi in tal modo le disposizioni e la ratio dell ‘art.117 TUB col diritto alla consegna della documentazione bancaria previsto dall’art.119 TUB successiv o alla conclusione dell’accordo (Cass., n. 5190/2025).
Infatti, la disciplina della trasparenza bancaria è preordinata alla piena conoscenza da parte del cliente del rapporto bancario in essere e dei
costi ad esso associati, sia prima della conclusione del contratto, sia in fase precontrattuale (art. 116) sia in sede di stipulazione del contratto (art. 117) sia nel corso della sua esecuzione ex art. 118 e art. 119 (Cass. n. 24641/2021).
Nella specie, il ricorrente lamenta altresì, in particolare, che la Corte d’appello abbia ritenuto provata la consegna dei contratti al cliente sulla base delle suddette formulazioni contrattuali, argomentando che esse potrebbero provare la sottoscrizione del contratto, ma non anche la consegna, ciò sulla base della formulazione lessicale (che non implicherebbe l’avvenuta consegna del contratto), che i ndica il termine ‘esemplare’, non coincidente con il sostantivo ‘contratto’.
La Corte di merito, sul punto, ha affermato che: per il contratto n. 24142,67 un documento prodotto contempla l’espressa inequivoca dichiarazione del correntista, firmata, di aver ricevuto lo ‘schema contrattuale’; quanto al contratto n. 22365,90, va richiamato il documento che presenta il seguente tenore : ‘ho preso nota che il nostro conto corrente di corrispondenza presso di voli sarà regolato fino a nuovo avviso da parte vostra, alle seguenti condizioni’, formulazione che, anche semanticamente, non è suscettibile di censura, considerando che essa involgerebbe comunque il merito dell’interpretazione .
Né è fondato il rilievo secondo cui, pur essendo stata sollevata la predetta eccezione di nullità contrattuale in secondo grado, la banca in primo grado non avrebbe dedotto l’avvenuta consegna del testo contrattuale, senza osservare l’onere di allegare i fatti costi tutivi del diritto fatto valere.
Premesso che l’ eccezione è tardiva, va osservato che la banca aveva allegato i fatti costitutivi del diritto fatto valere (stipula del contratto),
mentre era onere del correntista eccepire la nullità e l’inadempimento della controparte.
Il terzo motivo- proposto in via condizionata al non accoglimento del terzo- denunzia nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 115 c.p.c., nonché, per motivazione assente o meramente apparente, in relazione agli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111, co. 6, Cost. (art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.), in quanto le lettere f irmate cui fa riferimento la Corte d’appello non riguardano i conti correnti nn. 23254/75, 23253/82, 29743406.05.
Il motivo è infondato per ragioni non dissimili da quelle che sorreggono il rigetto del motivo precedente. Inoltre, la doglianza tende anche a provocare un diverso apprezzamento dei fatti inerenti alla sottoscrizione della predetta documentazione.
Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 117, co. 1 e co. 3, T.u.b., 1326, 1325 n. 3, 1343 e 1418 c.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.).
Al riguardo, il ricorrente assume che: le dichiarazioni di esordio dei documenti contrattuali bancari (« Ho ricevuto la Vs. lettera che qui di seguito viene integralmente trascritta ») non dimostrano la consegna del contratto; l’assenza della consegna fu prontamente dedotta dal RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE in primo grado; i docc. 3, 4, 5 e 6, tutti depositati il 19/6/2004, modificarono in aumento i finanziamenti preesistenti; pertanto, essendo nulli i contratti principali modificati dai contratti di cui ai documenti 3, 4, 5, 9 e 10, si configurerebbe la nullità totale, ex artt. 1325 n. 3, 1343 e 1418 c.c., anche dei contratti modificativi, ad effetti non novativi.
Il motivo è inammissibile, perché, anzitutto, contempla una confutazione di un giudizio di fatto; esso è comunque strettamente
connesso con il secondo motivo, relativo alla questione della consegna dei contratti.
Il quinto motivo denunzia nullità della sentenza e/o del procedimento per motivazione assente e/o apparente, in relazione agli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111, co. 6, Cost., nonché in relazione all’art. 115 c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.), non avendo la Corte d’Appello chiarita la ragione per la quale il doc. 8, che rappresentava un testo contrattuale, depositato da RAGIONE_SOCIALE in primo grado, il 19/6/2014, relativo, testualmente, solo ai c/c nn. 22365,90, 24142,67, 29743406/05, potesse determinare la validità dei contratti di conto corrente relativi ai rapporti nn. 23254/75, 23253/82 ed ai finanziamenti in questi regolati, né la ragione per la quale il medesimo documento, datato 25/10/2012, potesse avere impatto sulla validità o invalidità del contratto costitutivo del rapporto 29743406/05 e del contratto costitutivo della linea di finanziamento in esso regolato, anteriori di alcuni anni, siccome acceso nel primo trimestre 2006.
Il motivo, strettamente connesso a quello relativo a quelli precedenti, in ordine alla questione della nullità contrattuale, è del pari inammissibile, per le medesime ragioni sopra esposte.
Al riguardo, la Corte d’appello, dopo aver dato atto delle letterecontratto di credito disciplinanti i fidi e gli anticipi su fatture operativi sui rapporti di conto corrente intrattenuti con la società, sottoscritte dalla stessa, e degli atti di modifica delle precedenti pattuizioni, con specifica indicazione dei tassi di interesse e delle ulteriori pattuizioni applicate, ha soggiunto che ‘.. a sgombrare il campo da ogni ulteriore dubbio vi è, poi, il doc. 8 della produzione MPS di primo grado, nel quale l a correntista riconosce l’esposizione debitoria e le specifiche pattuizioni relative ad ogni singolo rapporto intrattenuto con la banca ‘.
Tale statuizione, oggetto della doglianza in esame, è comunque diretta al riesame dei fatti, ovvero a sollecitare una loro diversa interpretazione.
Il sesto motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1423 e 1998 c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), in quanto il riconoscimento del debito datato 25/10/2012, depositato da RAGIONE_SOCIALE in primo grado il 19/6/2014, non influenzava i temi della validità o invalidità dei contratti costitutivi dei conti 23254/75, acceso il 6/6/2002, 23253/82, acceso il 6/6/2002, e 29743406.05, acceso nel primo trimestre 2006, e dei finanziamenti in essi regolati, tutti sorti anni addietro.
Il motivo è inammissibile per mancanza di accertamento del presupposto di fatto (invalidità del contratto).
Il settimo motivo denunzia nullità della sentenza e del procedimento per mancanza della motivazione e/o per motivazione apparente, in relazione agli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111, co. 6, Cost. (art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.), o assenza della motivazione, in rapporto al tema dell’usura originaria .
In particolare, la ricorrente lamenta che rispetto al conto 24142.67, le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio furono sottoposte a critiche specifiche e circostanziate sia dal consulente di parte della RAGIONE_SOCIALE, sia dal suo difensore, che dal difensore del terzo chiamato, ma la Corte territoriale non ha spiegato, in maniera puntuale e dettagliata, le ragioni della sua adesione alla tesi del c.t.u. piuttosto che a quelle, omologhe tra loro, della stessa ricorrente e del terzo chiamato, peraltro facendo riferimento non alla relazione definitiva del c.t.u. (che in effetti riconosceva l’esistenza dell’usura), ma alla mera bozza, ove questi non aveva ancora esaminato e contrastato i rilievi del consulente di parte della RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è infondato.
Come risulta dalla formulazione del medesimo motivo, nella relazione di c.t.u. vi è la replica alle osservazioni della c.t.p., per cui il giudice del merito può limitarsi a recepire la stessa c.t.u. ove questa confuti le osservazioni del c.t.p.
Ne consegue l’infondatezza della doglianza per la quale il giudice non avrebbe in alcun modo preso in considerazione i rilievi del c.t.p., limitandosi a far proprie le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio.
L’ottavo motivo denunzia nullità della sentenza e del procedimento per mancanza della motivazione e/o per motivazione meramente apparente, in relazione agli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111, co. 6, Cost. (art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.); in subordine, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1350, 1284 e 1419 c.c., dell’art. 3 della L. 154/1992 e dell’art. 117 T.u.b. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), in subordine al mancato accoglimento dei motivi terzo, quarto, sesto.
La ricorrente lamenta: il manc ato accoglimento dell’eccezione di nullità parziale sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE e dal RAGIONE_SOCIALE, subordinatamente ai rilievi di nullità totale; la nullità della sentenza per mancanza della motivazione o per motivazione apparente, in quanto a differenza di quanto implicitamente ritenuto dalla Corte di appello, la sottoscrizione della banca era indispensabile per la validità dei patti sugli interessi ultralegali contenuti nei contratti monofirma, ex art. 1284 c.c.
Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte . Va premesso che, in base al giudizio di fatto del giudice del merito, il CTU ha fatto applicazione degli interessi legali.
In tema di contratti bancari, la mancata sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca non determina la nullità per difetto della forma scritta prevista dall’art. 117, comma 3, del d.lgs. n. 385 del 1993, trattandosi di un requisito che va inteso non in senso strutturale, ma funzionale. Ne consegue che è sufficiente che il contratto sia redatto per iscritto, ne sia consegnata una copia al cliente e vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, potendo il consenso della banca desumersi alla stregua di comportamenti concludenti (Cass., n. 14646/2018; n. 28500/2023).
Il nono motivo deduce nullità della sentenza e del procedimento per mancanza della motivazione e/o per motivazione apparente, in relazione agli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111, co. 6, Cost. (art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.); in subordine, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 117, co. 1 e co. 3, T.u.b. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), in subordine al mancato accoglimento del terzo e sesto motivo.
Al riguardo, la ricorrente lamenta che: il c.t.u., nel ricostruire lo stato finale del dare e dell’avere, aveva erroneamente utilizzato, quanto al conto anticipi 23253.82, le condizioni economiche riportate nel doc. 4 depositato dalla banca in primo grado il 19/6/2014, e quanto al rapporto 29743406 le condizioni economiche riportate nel doc. 7, del pari depositato dalla banca in primo grado il 19/6/20144; il doc. 4 non conteneva alcun riferimento al conto anticipi 23253.82, mentre il doc. 7, effettivamente relativo al rapporto 29743406, era privo della sottoscr izione della correntista; la Corte d’appello non aveva motivato sulle critiche alla relazione del c.t.u.
Il motivo è inammissibile.
Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. quando
essa, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., n. 6758/2022).
Nella specie, la denuncia di motivazione apparente è formulata irritualmente mediante il confronto con le risultanze processuali, senza dunque afferire allo specifico contenuto dell’esposizione argomentativa contenuta nella sentenza impugnata.
Il decimo motivo deduce nullità della sentenza e del procedimento per mancanza della motivazione e/o per motivazione apparente, in relazione agli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111, co. 6, Cost. (art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.); in subordine, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1346, 1418 e 1423 c.c. e dell’art. 117, co. 4, T.u.b. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) per aver la Corte territoriale escluso la nullità parziale dei contratti quanto al patto sulle commissioni di massimo scoperto a debito della correntista, stante la mancanza della forma ad substantiam , senza illustrare il percorso logico-giuridico seguito, essendosi limitata a fare proprio il conteggio del c.t.u.
Il motivo è infondato.
Non è nulla la clausola contrattuale che individui la commissione di massimo scoperto mediante la sola specificazione del tasso percentuale, senza alcun riferimento alla periodicità di calcolo, qualora detta periodicità sia comunque determinabile facendo corretto uso delle regole di interpretazione del contratto, avuto riguardo, in particolare, alla necessità di tener conto delle altre previsioni negoziali e di una interpretazione del testo compiuta secondo
buona fede e in modo da valorizzare la comune volontà delle parti (Cass., n. 1373/24).
Nella specie, la ricorrente assume che il c.t.u aveva espunto le c.m.s. solo dal calcolo relativo al saldo di un conto corrente, calcolandole invece per gli altri rapporti di conto corrente, senza indicarne le modalità di calcolo, ma l’indicazione delle modalità di calcolo esclude, per quanto esposto, ogni profilo d’illegittimità del calcolo in questione. Stante la validità della clausola, non rileva pertanto la questione dello scorporo della c.m.s. dal calcolo in discorso.
L’undicesimo motivo deduce nullità della sentenza e del procedimento per mancanza della motivazione e/o per motivazione apparente, in relazione agli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111, co. 6, Cost. (art. 360, n. 4, c.p.c.); nullità della sentenza e del procedimento per ultrapetizione e/o extrapetizione (art. 112 c.p.c.); in subordine, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 127 T.u.b. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), per non aver la Corte d’appello spiegato le ragioni della propria adesione alla tesi del c.t.u. che, di fatto, del tutto arbitrariamente, aveva disapplicato le variazioni in melius disposte dalla banca nel corso del rapporto in relazione al conto 22365.90, considerando altresì che la banca non si era doluta di tali variazioni.
Il motivo è inammissibile, in quanto la denuncia di motivazione apparente è formulata irritualmente mediante il confronto con le risultanze processuali, e non per l’intima non percepibilità della ratio decidendi .
Il ricorso del COGNOME, parimenti infondato, consta di tredici motivi, dei quali i primi due aggiunti a quelli oggetto del ricorso principale della RAGIONE_SOCIALE
Il primo motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 117, co. 6, T.u.b., e degli artt. 1936, 1362, 1363 e 1370 c.c. (art. 360, co.
1, n. 3, c.p.c.) per aver la Corte distrettuale erroneamente ritenuto che quella sottoscritta dal COGNOME fosse una garanzia autonoma, mentre si trattava di mere fideiussioni, lamentando al riguardo che la qualificazione giuridica era in contrasto con i canoni ermeneutici, dei quali si lamenta l’erronea applicazione.
Il motivo è inammissibile per inerenza al risultato interpretativo.
Al riguardo, occorre premettere quale sia lo stato della giurisprudenza di questa Corte sulla questione in esame. Va osservato che ai fini della distinzione tra contratto autonomo di garanzia e contratto di fideiussione, la presenza nell’accordo di una clausola “a prima richiesta” non assume carattere decisivo, dovendosi in ogni caso accertare la relazione causale in cui le parti hanno inteso porre l’obbligazione principale e l’obbligazione di garanzia, a tal fine trovando applicazione gli ordinari strumenti interpretativi nella disponibilità del giudice (Cass., n. 31105/2024).
In particolare, la deroga all’art. 1957 c.c. non può ritenersi implicita laddove sia inserita, all’interno del contratto di fideiussione, una clausola di “pagamento a prima richiesta”, o altra equivalente, non solo perché la disposizione è espressione di un’esigenza di protezione del fideiussore che, prescindendo dall’esistenza di un vincolo di accessorietà tra l’obbligazione di garanzia e quella del debitore principale, può essere considerata meritevole di tutela anche quando tale collegamento sia assente, ma anche perché una tale clausola non ha rilievo decisivo per la qualificazione di un negozio come “contratto autonomo di garanzia” o come “fideiussione”, potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome), sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell’obbligazione garantita, sia, infine, a clausole il cui
inserimento nel contratto di garanzia è finalizzato, nella comune intenzione dei contraenti, a una deroga parziale della disciplina dettata dal citato art. 1957 c.c. (ad esempio, limitata alla previsione che una semplice richiesta scritta sia sufficiente ad escludere l’estinzione della garanzia), esonerando il creditore dall’onere di proporre l’azione giudiziaria.
Ne consegue che, non essendo la clausola di pagamento “a prima richiesta” incompatibile con l’applicazione dell’art. 1957 c.c., spetta al giudice di merito accertare la volontà in concreto manifestata dalle parti con la sua stipulazione (Cass., n. 16825/2016); invero, è stato precisato che l’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” generalmente, è idonea a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo però quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale, sicché, ai fini dell’interpretazione della volontà delle parti, pur in presenza della clausola predetta, il giudice è sempre tenuto a valutarla alla luce della lettura dell’intero contratto (Cass, n. 4717/19).
Ora, nella specie, la Corte di merito ha formulato il convincimento della stipula del contratto autonomo di garanzia mediante l’interpretazione negoziale complessiva e, dunque, dell’intenzione effettiva delle parti.
Invero, la Corte d’appello ha così motivato: ‘ il garante si è impegnato a pagare immediatamente alla banca, a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione del debitore principale, quanto dovutole per capitale, interessi, spese, tasse ed ogni altro accessorio’ (art. 7). Inoltre si è stabilito che ‘nell’ipotesi in cu i le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la presente fideiussione s’intende fin d’ora
estesa a garanzia dell’obbligo di restituzione delle somme comunque erogate ‘ .
Orbene, la Corte è pervenuta al suddetto esito interpretativo, argomentando non solo dal rilievo della clausola del pagamento a prima richiesta, ma anche dalla clausola che contemplava, nell’ipotesi in cui le obbligazioni garantite fossero dichiarate invalide, l’estensione della ‘ fideiussione ‘ a garanzia dell’obbligo di restituzio ne delle somme comunque erogate. E’ dunque evidente che la Corte abbia ritenuto che le varie suddette clausole contrattuali fossero da interpretare, nel loro complessivo, quali espressione della scissione tra obbligazione principale e accessoria di garanzia , frutto dell’effettiva intenzione delle parti.
Né è persuasivo il rilievo del COGNOME, nel senso di attribuire alla suddetta clausola del l’art. 8 del contratto in esame una valenza ermeneutica espressiva della contraria intenzione delle parti di stipulare un contratto autonomo di garanzia e non una fideiussione (ciò in quanto, se le parti avessero inteso concludere un contratto autonomo di garanzia, non avrebbero inserito nel contratto il predetto art. 8).
Invero, seppure s’intenda sostenere che l’accezione di contratto autonomo di garanzia non avrebbe reso necessaria la clausola in questione, ciò però non equivale a ritenere irrilevante quest’ultima, il cui inserimento, anzi, può ragionevolmente aver informato il ragionamento della Corte territoriale nel senso di ritenere la norma contrattuale rafforzativa della reale volontà negoziale delle parti.
Per le medesime ragioni, non può deporre a favore del ricorrente l ‘art. 9 della fideiussione del 10/11/2000, nello stabilire che « nessuna eccezione può essere opposta dal fidejussore riguardo al momento in
cui la Banca esercita la sua facoltà di recedere dai rapporti col debitore, per inferirne che si tratterebbe di mera variante della fideiussione.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass., n. 2465/2015; n. 1091/2016).
Nel caso concreto, l’approdo interpretativo oggetto della censura in esame non è suscettibile di censura in quanto fondato su conclusioni plausibilmente correlate ai documenti oggetto del ricorso; giova rilevare che sono sindacabili in sede di legittimità solo i vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale, per cui quando in sede di legittimità venga denunziata la violazione di tali regole, è necessaria la specifica dimostrazione del modo in cui il ragionamento seguito dal giudice di merito abbia deviato dalle regole nei detti articoli stabilite, non essendo sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera proposizione di una diversa e più favorevole interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante (Cass, n. 12946/2007).
Il secondo motivo del ricorso incidentale deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.); in subordine, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.); in via
maggiormente gradata, nullità della sentenza per motivazione assente o meramente apparente (art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.); in via ancor più gradata, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1322, 1362, 1372 co. 1, 1283, 1284, 1346, 1418, 1419 e 1421 c.c. e degli artt. 117 e 127 T.u.b. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.).
Al riguardo, il motivo attinge la sentenza impugnata nella parte in cui questa, accogliendo il terzo motivo dell’appello incidentale della banca, ha statuito che, in relazione al rapporto di provvista, il garante autonomo avrebbe potuto opporre al creditore unicamente le eccezioni inerenti all’usura, con esclusione delle altre; l’errore della Corte di merito sarebbe consistito nell’escludere la proponibilità delle eccezioni inerenti agli interessi ultralegali, alla capitalizzazione e alle violazioni dell’a rt. 117 T.u.b., mentre il COGNOME era legittimato ad opporre alla banca non solo l’eccezione di usura, ma anche le eccezioni di nullità dei titoli negoziali dell’obbligazione garanti ta, ivi incluse quelle di cui al Testo unico bancario.
Il motivo è inammissibile.
Invero, la ricorrente propone un’interpretazione della clausola incompatibile con la ratio decidendi , che resta ferma all’esito dell’inammissibilità del precedente motivo, in termini di contratto autonomo di garanzia.
Gli altri undici motivi sono assorbiti una volta che resti ferma la qualifica in termini di contratto autonomo di garanzia, salvo per la censura sull’usura, di cui al nono motivo.
Tale motivo è parimenti inammissibile. Nel contratto autonomo di garanzia, improntandosi il rapporto tra il garante e il creditore beneficiario a piena autonomia, il garante non può opporre al creditore la nullità di un patto relativo al rapporto fondamentale, salvo che essa dipenda da contrarietà a norme imperative o dall’illiceità della causa e
che, attraverso il medesimo contratto autonomo, si intenda assicurare il risultato vietato dall’ordinamento; tuttavia si deve escludere che la nullità della pattuizione di interessi ultralegali si comunichi sempre al contratto autonomo di garanzia, atteso che detta pattuizione – eccezion fatta per la previsione di interessi usurari -non è contraria all’ordinamento, non vietando quest’ultimo in modo assoluto finanche l’anatocismo, così come si ricava dagli artt. 1283 c.c. e 120 del d.lgs. n. 385 del 1993 (Cass., n. 20397/17).
Nel caso concreto, la doglianza è inammissibile per quanto osservato circa il settimo motivo del ricorso principale, al quale si rinvia.
Infine, va comunque osservato che tali undici motivi hanno la medesima formulazione del ricorso principale ed impongono dunque la stessa decisione adottata per quest’ultimo.
Per quanto esposto, i due ricorsi vanno rigettati.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e condanna le parti ricorrenti al pagamento, in favore delle rispettive parti controricorrenti, delle spese del giudizio che liquida, per ciascun rapporto processuale, nella somma di euro 4.500,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei due ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 6 maggio 2025.
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME