Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9197 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9197 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/04/2024
sul ricorso 11252/2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO
– controricorrente – nonché contro
– intimato – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 1196/2018 depositata il 15/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/1/2024 dal AVV_NOTAIO.
RITENUTO IN FATTO
1. La Provincia di Pavia ricorre per cassazione avverso l’epigrafata sentenza della Corte d’Appello di Milano, che, rigettandone il gravame, ha nuovamente respinto le domande da essa proposte nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, intese a veder dichiarare la nullità del “contratto di locazione di immobile ad uso scolastico con convenzionamento di patti aggiuntivi al rapporto locatizio” -concernenti segnatamente l’esecuzione di lavori di adeguamento e trasformazione dell’immobile locato -stipulato con la prima, che lo aveva ottenuto in leasing dalla seconda, il 24.1.2004 e a sentire pronunciare, di conseguenza, la condanna di COGNOME al rimborso delle somme in ragione di ciò indebitamente percette.
Pur prendendo inizialmente le distanze dalla decisione di primo grado, che aveva ritenuto di riconoscere nel contratto in questione una pubblica fornitura nella forma del contratto misto ex art. 2, comma 1, l. 11 febbraio 1994, n. 109, la Corte territoriale ne ha tuttavia condiviso l’approdo -laddove il primo giudice aveva negato che al contratto in questione, come da lui qualificato, fosse applicabile la disciplina degli appalti pubblici, in ragione dell’accessorietà delle opere eseguende rispetto al valore del negozio -sul filo dei convincimenti già enunciati da questa Corte nella
sentenza 14185/2015, nel senso di escludere che il contratto di locazione stipulato da una pubblica amministrazione costituisca una pubblica fornitura e sia perciò soggetto all’evidenza pubblica imposta dalla disciplina degli appalti, in particolare non realizzando esso il trasferimento della res locata , che resta in proprietà del locatore, ed essendone causa il godimento che da essa intende trarne il locatario. Ha quindi rafforzato questo assunto, di per sé già risolutivo della vicenda al suo esame -tanto da giudicare, non a caso, assorbite le ulteriori ragioni di doglianza -, smentendo che argomento a contrario potesse trarsi dalla giurisprudenza unionale, riferendosi essa a casi di locazione di cosa futura o a specifiche esigenze del committente; richiamando il dettato preclusivo dell’art. 5, comma 2, d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157, che escludeva l’applicabilità delle norme unionali in materia di appalti di pubblici servizi ai contratti di locazione stipulati dalla P.A.; sottoponendo, ancora, il contratto di che trattasi ad una minuziosa indagine ermeneutica, di cui ha suggellato gli esiti con l’affermazione che «in definitiva non è emerso alcun elemento che possa qualificare il contratto di locazione di cui si tratta come contratto prevalentemente avente ad oggetto “lavori pubblici”»; e da ultimo disattendendo l’istanza di disapplicazione della sequenza procedimentale che aveva portato alla conclusione del negozio sul rilievo, evinto da Cass. 5703/2010, che essa è preclusa alla Pubblica Amministrazione che alla pretesa nullità abbia dato luogo.
il proposto ricorso per cassazione si vale di quattro motivi di ricorso, illustrati pure con memoria, ai quali resiste con controricorso e memoria COGNOME, mentre non ha svolto attività processuale RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso lamenta l’erroneità del pronunciamento impugnato nella parte in cui questo aveva fatto richiamo, onde motivare l’estraneità della fattispecie in disamina al campo delle pubbliche forniture cui si renderebbe applicabile la disciplina degli appalti pubblici, all’art. 5, comma, 2, d.lgs. 157/1995, il cui disposto, riguardando la locazione di fabbricati esistenti, non si sarebbe potuto ritenere applicabile al caso in esame, atteso che l’immobile locato, per essere reso idoneo all’uso cui era destinato, necessitava di lavori pubblici di tutta rilevanza. Sempre il medesimo motivo lamenta, poi, l’erroneità della qualificazione impressa alla fattispecie dal giudice d’appello, che aveva ritenuto di trovarsi in presenza di una locazione immobiliare, sebbene non ne fosse realizzabile la causa del godimento in mancanza dei prefati lavori; ed ancora l’erroneità del convincimento espresso parimenti dal giudice d’appello nell’affermare il difetto di pertinenza dei precedenti ritratti dalla giurisprudenza unionale, quantunque, tenuto conto delle opere eseguende per rendere l’immobile funzionale, anche nel caso in trattazione si sarebbero dovute ritenere cogenti le norme in materia di appalti pubblici.
Tutte le declinate doglianze si prestano ad un preliminare riscontro di inammissibilità.
Inammissibile è, per vero, la prima doglianza, giacché essa, ammesso che nell’affermazione censurata sia ravvisabile l’enunciazione di un’autonoma ratio decidendi e non piuttosto l’esposizione di un argomento rafforzativo del complessivo ragionamento decisorio, non si allinea al percorso motivazionale dispiegato dal giudice d’appello, che ha infatti escluso che alla specie in discorso si dovessero applicare le norme sulle pubbliche forniture non già facendo leva sull’affermazione censurata, ma facendo
proprie e condividendo le considerazioni a suo tempo sviluppate da questa Corte con il citato arresto 14185/2015 -ora riprese ancora da SS.UU. 5051/2022 -che, nel dirimere il conflitto negativo di giurisdizione palesatosi sulla questione, ha affermato che «il contratto stipulato dalla P.A. per il reperimento di immobili da adibire alla propria attività istituzionale … rientra nella fattispecie tipica della locazione e non è riconducibile ai “contratti di fornitura” di cose delle P.A., poiché la “res” locata rimane nel patrimonio del proprietario locatore e la causa del contratto, rappresentata dal godimento della cosa per un tempo determinato dietro il pagamento di un canone, non è riconducibile alla fornitura di servizi attesa l’assenza di una prestazione di attività del proprietario in favore del destinatario».
Inammissibile è pure la seconda doglianza, giacché essa intende sollecitare una rinnovata valutazione della fattispecie in fatto, promuovendo la revisione della qualificazione negoziale impressavi da entrambi i giudici di merito, che vi avevano concordemente veduto una locazione-conduzione ed avevano in tal modo esercitato un sindacato meritale inoppugnabile in cassazione per violazione di legge (Cass. 10745/2022).
Inammissibile è infine anche la terza doglianza, giacché fondamento di essa è una diversa qualificazione della fattispecie in disamina, sicché ove questa, come visto a proposito della doglianza precedente, sia inattaccabile, la doglianza si svuota da sé.
Peraltro, inammissibile, poiché non coglie la portata precettiva di tali pronunce e la ratio decidendi dell’impugnata sentenza che ne ha fatto, invece, corretta applicazione, si palesa l’ assunto della Provincia, secondo cui la previsione del compimento, da parte della locatrice, con rimborso da parte della Provincia, di opere di ampliamento degli spazi esistenti comporterebbe l’applicazione della
giurisprudenza unionale, secondo la quale in questi casi non si sarebbe in presenza di un contratto di locazione, bensì di un rapporto equiparabile all’appalto, soggetto, come tale, alla procedura di evidenza pubblica. E’, per vero, agevole rilevare che la giurisprudenza in parola si riferisce alla ben diversa ipotesi in cui la realizzazione dell’opera oggetto del contratto non era stata ancora avviata, per cui tale contratto non poteva avere come oggetto immediato la locazione di immobili (cfr. Corte Giustizia, 29/10/2009, Commissione c/o Germania, C- 536/07, punto 56, citata dalla stessa ricorrente); Corte Giustizia, 22/4/2021, C- 537/19). Se ne deve inferire che tali pronunce si riferiscono alla fattispecie di immobile non ancora esistente, ma da realizzare, e con certo all’ipotesi ricorrente nella specie -di mero ampliamento e ristrutturazione, da compiersi dal proprietario locatore, di un immobile già da tempo esistente.
Il secondo motivo di ricorso lamenta l’erroneità del pronunciamento impugnato per aver inquadrato la fattispecie negoziale in discorso, onde negarne la sua qualificazione utile a rendere applicabile la disciplina pubblicistica degli appalti, nel genus della locazione-conduzione valorizzando in tal senso elementi in tal senso nient’affatto rilevanti a mente dell’art. 1362 cod. civ., precedenti giurisprudenziali di dubbia conferenza e profili fattuali (mancanza di contatti tra amministrazione e l’esecutore delle opere, natura di contraente obbligato della locatrice) privi di concludenza.
Il motivo, nelle sue molteplici articolazioni, si rivela inammissibile.
Né è ragione la considerazione che, ove esso affondi le radici di critica nell’interpretazione della fattispecie negoziale resa dal decidente d’appello, alla sua cognizione in questa sede ostano preventivamente le regole sulla capitolazione in sede di legittimità dell’errore ermeneutico, in ragione delle quali si raccomanda che
nella declinazione della relativa censura si indichino i canoni legali che si asseriscono violati dal giudice di merito ed il punto preciso del ragionamento decisorio in cui la violazione si assume essere avvenuta (Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28319; Cass. 25728/2021; Cass. 10745/2022); nel difetto, come è dato constatare qui, il motivo viene a tradursi in un’allegazione del tutto generica.
Ove, invece, le ragioni della censura risiedono altrove, il motivo rifluisce, non diversamente da quel che si è visto con riguardo agli analoghi profili azionati con il primo motivo di ricorso, nel solco di una critica del ragionamento decisionale priva di effetto.
Il terzo motivo di ricorso lamenta l’erroneità del pronunciamento impugnato per aver disatteso l’istanza, formulata a corredo delle criticità procedimentali che avevano indotto la Provincia a chiedere che fosse dichiarata la nullità del negozio, di disapplicazione della relativa sequenza procedimentale sulla base di un precedente giurisprudenziale espressosi in relazione a tutt’altra fattispecie rispetto a quella in trattazione.
Il quarto motivo di ricorso lamenta, a sua volta, l’erroneità dl pronunciamento impugnato per aver omesso di accertare e dichiarare la dedotta nullità, cosi astenendosi dal pronunciarsi sulla domanda di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte alla locatrice, nonché sulla domanda di restituzione delle spese di lite.
Entrambi i motivi, scrutinabili congiuntamente in quanto svolti a corollario dei precedenti motivi di ricorso, restano assorbiti per effetto della inammissibilità e infondatezza che si è inteso affermare riguardo a questi.
Non merita, infine, seguito neppure l’istanza, conclusivamente dispiegata di rinvio pregiudiziale alla Corte UE ex art. 267 TUEF della
questione concernente l’incompatibilità del «contratto di cui si discute rispetto alle coordinate normative ed ermeneutiche univocamente offerte dall’ordinamento e dalla giurisprudenza comunitaria in funzione di tutela della parità, di trattamento, della concorrenza e del mercato».
Ancorché la ricorrente nell’illustrazione di essa abbia meglio precisato che l’istanza avrebbe ad oggetto l’interpretazione dell’art. 5, comma 2, lett. a), d.lgs. 157/1995, è ostativa alla sua procedibilità la circostanza che i pregressi motivi di ricorso siano stati dichiarati tutti inammissibili, essendosi al riguardo già affermato che «in presenza di una declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, non è accoglibile la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in quanto viene in rilievo un difetto di rilevanza della questione, potendo infatti il giudice unionale rifiutarsi di statuire su domande in via pregiudiziale se è manifesto che l’interpretazione richiesta non ha rapporto con l’effettività o l’oggetto del giudizio principale» (Cass., Sez. U, 16/04/2021, n. 10107). Peraltro, nella specie, la istanza non può trovare accoglimento, tenuto conto anche di quanto in precedenza rilevato sulla effettiva portata precettiva delle pronunce unionali invocate dalla ricorrente.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di
parte resistente in euro 12200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il