Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19804 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19804 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
Oggetto: locazione – contratto scritto ma non registrato -conseguenze – inammissibilità del ricorso per estraneità alla ratio decidendi .
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 6562/21 proposto da:
-) COGNOME NOME COGNOME, NOME, NOME , domiciliati ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
-) COGNOME
– intimata – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma 3 agosto 2020 n. 3899; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Secondo quanto riferito (in modo frammentario) nel ricorso, nel 2013 COGNOME convenne dinanzi al Tribunale di Roma gli odierni ricorrenti, deducendo che essi avevano occupato senza titolo l’immobile di proprietà dell’attrice sito a Roma, INDIRIZZOINDIRIZZO, dal 1°.12.2006 al 30.4.2010 e chiedendone la condanna al risarcimento del conseguente danno.
Con sentenza 15.9.2015 n. 18180 il Tribunale accolse la domanda e condannò i convenuti in solido al risarcimento del danno.
Il Tribunale, rilevato che le parti avevano stipulato un contratto di locazione in forma scritta senza registrarlo, concluse che a causa della mancata registrazione il rapporto tra le parti andava qualificato come situazione di fatto; di conseguenza liquidò il danno patito dall’attrice in via equitativa, in base al valore locativo dell’ immobile ed assumendo come parametro orientativo il canone concordato fra le parti.
La sentenza fu appellata dai soccombenti.
Con sentenza 3.8.2020 n. 3899 -erroneamente indicata con il numero di ruolo del giudizio nell’intestazione del ricorso – la Corte d’appello di Roma rigettò il gravame. Per quanto ancora rileva in questa sede, l a Corte d’appello ritenne che:
-) correttamente il Tribunale liquidò il danno in via equitativa, piuttosto che in base ai criteri invocati dagli appellanti (e cioè in misura pari al canone determinato ai sensi dell’art. 13, comma 5, della l. 431/98);
-) infatti l’art. 13, comma 5, l. 431/98 disciplina l’ipotesi in cui occorra determinare il canone dovuto nel caso di stipula di un contratto nullo per mancanza di forma scritta, ma non nel caso di stipula di un contratto nullo per mancata registrazione;
-) in ogni caso i convenuti erano decaduti dalla pretesa di rideterminare il canone nella misura stabilita dall’art. 13, comma 5, l. 431/98, per inutile decorso del termine di decadenza semestrale ivi previsto.
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione dagli appellanti soccombenti con ricorso fondato su quattro motivi.
COGNOME non si è difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
Col primo motivo è denunciata sia la violazione degli artt. 1418 c.c., 13 della l. 431/98 em 1, comma 346 della l. 311/04; sia la ‘ omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo’ .
Nella illustrazione del motivo si sostiene che il contratto di locazione stipulato tra le parti del presente giudizio, non essendo stato registrato, si doveva consid erare nullo. La Corte d’appello invece, violando la previsione di nullità stabilita dall’art. 1, comma 346, l. 311/04, lo considerò ‘ valido ma inefficace’ . Dopo avere esposto questo principio, l’illustrazione del motivo prosegue con vari anacoluti (pag. 10) e periodi tra loro logicamente slegati, per concludersi con l’affermazione (p. 10-11) generale ed astratta per cui i pagamenti eseguiti in adempimento d’un contratto nullo costituiscono un indebito oggettivo, e che ‘ pertanto’ (congiunzione inspiegabile agli occhi di questa Corte) il risarcimento del danno dovuto a COGNOME si sarebbe dovuto quantificare ‘ ai sensi del comma 3 dell’articolo 2 , ovvero sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative’ (p. 11).
1.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
In primo luogo è inammissibile perché non individua in modo chiaro la motivazione che vorrebbe censurare.
In secondo luogo è inammissibile perché formula censure che dalla sentenza impugnata non risultano prospettate in grado di appello.
1.2. Sotto il primo profilo, la Corte d’appello ha basato la propria decisione sui seguenti princìpi:
il diritto del conduttore di pagare al locatore l’indennità nella misura prevista dall’art. 13, comma 5, l. 431/98 ‘ nella formulazione all’epoca vigente’ (e quindi tra il 2006 ed il 2010) era subordinato alla stipula verbale di un contratto di locazione; a tale ipotesi tuttavia non può equipararsi quella del contratto scritto ma non registrato;
in ogni caso, la liquidazione dell’indennità dovuta al locatore nella misura stabilita dall’art. 13, comma 5, l. 431/98 presuppone ‘ che sia stato il locatore ad aver preteso l’instaurazione di un rapporto di fatto’
N.R.G.: 6562/21
Camera di consiglio del 18 febbraio 2025
Tuttavia né l’uno, né l’altro di tali princìpi – quale che ne fosse la correttezza – vengono esaminati e censurati nel primo motivo di ricorso.
1.3. Sotto il secondo profilo, il ricorso assume che la nullità del contratto per mancata registrazione avrebbe dovuto determinare non il riconoscimento di un’indennità di occupazione , ma di un danno ex art. 2043 c.c. o di una somma a titolo di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c..
Tuttavia la sentenza impugnata riferisce il primo motivo di appello come volto ad ottenere la rideterminazione del canone ai sensi dell’art. 13, comma 5 , l. 431/98 (parrebbe, nella versione attualmente vigente).
Dalla sentenza impugnata risulta, dunque, che gli odierni ricorrenti, in grado di appello, non domandarono affatto la condanna della locatrice ex art. 2043 c.c. o al pagamento dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c..
Le (ambigue) deduzioni in tal senso formulate a p. 10 del ricorso debbono pertanto ritenersi inammissibili perché nuove.
1.4. Se, poi, quelle deduzioni fossero state effettivamente e ritualmente formulate nei gradi di merito, il ricorso resterebbe comunque inammissibile ai sensi dell’art. 366, nn. 3 e 6 c.p.c., dal momento che in esso non si fa cenno dei termini in cui quelle richieste furono formulate, e dell’atto processuale in cui furono espresse.
1.4. Ad abundantiam , infine, rileva il Collegio che:
la censura di omesso rilievo della nullità è manifestamente infondata, poiché sia il Tribunale, sia la Corte d’appello, trascrivendo alla lettera una passo della sentenza delle SS.UU. di questa Corte (23601/17), hanno chiaramente lasciato intendere di considerare affetto da nullità il contratto stipulato tra le parti;
la censura di ‘omessa od insufficiente motivazione’ viene annunciata ma non illustrata, tanto meno nei ristretti limiti in cui è consentita dal vigente testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c..
Il Collegio aggiunge altresì quanto segue a commento della motivazione -giusta o sbagliata che sia stata -enunciata dalla sentenza a pag. 4, ultima proposizione e 5 fino alla terza, fermo restando il rilievo che di essa il ricorso si disinteressa.
Tale motivazione va interpretata considerando che la corte capitolina l’ha riferita al regime dell’art. 13, comma 5 della l. n. 431 del 1998 ‘all’epoca vigente’, che effettivamente era il seguente: <>.
Effettivamente, le ipotesi contemplate non comprendevano il caso del contratto di cui è causa, giacché, a stare ai motivi di appello per come riferiti dalla sentenza e non invece dai ricorrenti, essi avevano sollecitato l’applicazione del comma 5 assumendo che l’obbligo di registrazione se l’era assunto la parte locatrice.
In tale modo al giudice di appello -sempre a stare a come riferisce il primo motivo di appello (pag. 3, terzultima proposizione) -non risultava deferita la questione della applicabilità al contratto del comma 4 dell’art. 13, che rappresenta la prima ipotesi, all’epoca dei fatti , cioè per la durata del rapporto fino al rilascio, contemplata dal comma 5 dello stesso articolo.
Non era stata prospettata -a stare sempre a come la sentenza riferisce dell’appello – la circostanza che il contratto scritto avesse contenuti illegittimi ai sensi del comma 4. Ma nemmeno era stata prospettata la riconducibilità della vicenda alla seconda ipotesi dell’originario comma 5 e nemmeno era prospettabile, in quanto vi era contratto scritto e non di ‘fatto’ per pretesa del locatore.
Dunque, il conduttore poteva procedere alla registrazione e fare emergere il contratto.
D’altro canto, va considerato che il rapporto è cessato prima della prima normativa che si preoccupò di incentivare la registrazione dei contratti non registrati, cioè il d.lgs. del 2011. Il meccanismo da tale norma immaginato e poi, a seguito della declaratoria di incostituzionalità di essa e della norma di proroga, sfociato nell’attuale testo ridimensionatore del comma 5, non poteva e non può trovare applicazione alla vicenda, dato che essa si esaurì nel 2010.
Tutte queste considerazioni avrebbero dovuto e potuto essere svolte dalla corte capitolina in relazione al caso per come ad essa devoluto con il tenore dell’appello e non lo sono state.
Ma, ripetesi, ciò che assume valore assorbente ai fini della sorte del motivo è l’omessa critica della motivazione enunciata dalla corte romana.
2. Il secondo motivo di ricorso.
Col secondo motivo è denunciata la violazione di nove diverse disposizioni di legge: degli artt. 1175, 1322, 1337, 1366, 1375, 1421, 2033 c.c.; nonché dell’art. 1, comma 346, della l. 311/04 e dell’art. 53 della Costituzione.
Al di là di tali riferimenti normativi (gran parte dei quali richiamati con una buona dose di casualità), nella illustrazione del motivo si torna a sostenere che:
-) il contratto di locazione non registrato è nullo (p. 12);
-) se un contratto di locazione è nullo perché non registrato, al locatore spetta soltanto l’indennità calcolata ai sensi dell’art. 13, comma 5, della l. 431/98;
-) applicando tali criteri, il canone annuo si sarebbe dovuto determinare in euro 13.624,80, e non nella differente misura ‘ determinata ingiustamente dal giudice di prime cure’ .
Dopo l’affermazione di tali princìpi segue (pp.13 -15) il richiamo ad alcune decisioni di questa Corte.
2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile per difetto di decisività.
La Corte d’appello, infatti, tra i vari argomenti spesi a sostegno della propria decisione, ha dichiarato gli odierni ricorrenti decaduti dal diritto alla determinazione del canone nella misura stabilita dall’art. 2, comma 3, l. 431/98 (p. 5, quarto capoverso, della sentenza impugnata).
Giusta o sbagliata che fosse tale statuizione, essa avrebbe dovuto essere impugnata con un ‘attività argomentativa , se non con un motivo ad hoc . Né l’una né l’atra risultano svolte in alcun modo.
3. Il terzo motivo di ricorso.
Col terzo motivo è censurata la sentenza d’appello nella parte in cui ha accolto la domanda di risarcimento del danno da illegittima occupazione dell’immobile. Sostengono i ricorrenti che il danno da illegittima occupazione di un immobile non può ritenersi in re ipsa , ma deve essere provato in concreto, e nel caso di specie il giudice di merito non aveva provveduto a tale accertamento.
3.1. Il motivo è inammissibile perché pone una questione nuova, di cui la sentenza impugnata non risulta essersi occupata.
I motivi d’appello per come riassunti alle pp. 3 -4 della sentenza impugnata infatti non prospettano la questione del danno in re ipsa , né il ricorso indica in violazione dell’onere di cui all’art. 366, n. 3, c.p.c. se e gradatamente in che termini la suddetta questione fu sottoposta alla Corte d’appello.
4. Il quarto motivo di ricorso.
Col quarto motivo la sentenza d’appello è censurata nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di prescrizione del credito avente ad oggetto la rifusione delle somme spese da COGNOME per pagare bollette ed oneri condominiali nel periodo in cui gli odierni ricorrenti occuparono l’immobile. Sostengono i ricorrenti che tali oneri sono soggetti a prescrizione biennale ai 6, ultimo comma, l. 22.12.1973 n. 841, e non alla prescrizione sensi dell’art. quinquennale come ritenuto dalla Corte d’appello.
4.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
Innanzitutto è inammissibile ai sensi dell’art. 366, nn. 3 e 4, c.p.c..
La norma invocata dalla ricorrente è stata infatti abrogata dall’art. 24, comma primo, d.l. 25.6.2008 n. 112, con decorrenza dal 22.12.2008.
Per effetto dell’abrogazione (anche se si volesse condividere la tesi per cui la spesa per oneri condominiali sostenuta dal proprietario durante il tempo dell’occupazione illegittima costituisca un credito contrattuale, e non un danno extracontrattuale) il credito di cui si discorre è tornato ad essere soggetto alla prescrizione quinquennale.
4.2. In secondo luogo il motivo è inammissibile perché formulato in modo tale che non consente di apprezzarne la decisività.
L’occupazione dell’immobile oggetto del presente giudizio è cessata il 30.4.2010. Deve dunque supporsi che i crediti della proprietaria per oneri condominiali e spese di gestione sostenuti dal 22.12.2008 al 30.4.2010 siano soggetti alla prescrizione quinquennale.
Tuttavia i ricorrenti nella illustrazione del quarto motivo di ricorso fanno generico riferimento all’eccezione di prescrizione di ‘ oneri accessori e canoni ‘ , senza precisare quale sarebbe il momento dell’ exordium praescriptionis (sarà appena il caso di ricordare che, per gli oneri condominiali sostenuti dal proprietario, la prescrizione decorre dalla data in cui l’assemblea del
condominio ha approvato il consuntivo ed il riparto delle spese tra i condomini: Sez. 3, Sentenza n. 5160 del 27/11/1989). La formulazione del motivo, pertanto impedisce di valutarne la rilevanza e la decisività.
4.3. In terzo luogo, il motivo è inammissibile perché – come il primo ed il secondo motivo trascura di prendere in esame e censurare l’effettiva ragione per la quale la Corte d’appello ha rigettato il gravame sul punto (p. 7), e cioè la ritenuta natura extracontrattuale del credito vantato dall’originaria attrice e, dunque, l’irrilevanza per tale ragione della norma del 1973.
Non è luogo a provvedere sulle spese, per indefensio della parte intimata. P.q.m.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della