Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4076 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 4076  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24539/2020 R.G. proposto da
– ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE ,
– controricorrente – avverso  la  sentenza  n.  2003/2020 della  Corte  d’Appello  di Milano, depositata il 28.7.2020;
udita  la  relazione  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 23.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE stipularono un contratto derivato denominato Interest Rate Swap Tasso Certo , a margine di un contratto di locazione finanziaria a tasso variabile concluso dalla prima società con RAGIONE_SOCIALE All’esito del rapporto RAGIONE_SOCIALE, essendo risultata debitrice di un ingente importo nei confronti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, convenne in giudizio quest’ultima per chiedere l’accertamento della nullità del contratto, oltre al risarcimento dei danni.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale di Milano accolse  le  domande,  condannando  RAGIONE_SOCIALE  al pagamento  della  somma  di  € 1.122.099,95  e  degli  ulteriori importi  versati  in  esecuzione  del  contratto  di IRS dichiarato nullo.
La  sentenza  del  Tribunale  venne  appellata  da  RAGIONE_SOCIALE  e  l a  Corte  d’Appello  di Milano  accolse  il gravame , condannando l’appellata a restituire quanto ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado.
Contro  la  sentenza  della  Corte  territoriale  RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione articolato in dieci motivi.
RAGIONE_SOCIALE  si  è  difesa  con  controricorso, illustrato  anche  con  memoria  depositata nel termine di legge anteriore  alla  data  fissata  per  la  trattazione  in  camera  di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è denuncia «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c.: 1426, 1175 e 1337 c.c., nonché degli artt. 30 e 32 T.U.I.F.».
La ricorrente, sul presupposto che l’accordo sarebbe stato concluso inizialmente in forma orale (tramite telefono), invoca la  nullità  del  contratto  per  mancanza  di  forma  scritta ad substantiam e, conseguentemente, i limiti posti dalla legge alla conversione del contratto nullo (il riferimento normativo corretto  sarebbe quello  all’art.  1424  c.c.)  e  l’inammissibilità della convalida del contratto affetto da nullità (art. 1423 c.c.).
1.1. Il motivo è inammissibile, perché la conversione del negozio nullo e la convalida del contratto nulla hanno a che fare con  la ratio  decidendi della  sentenza  impugnata.  La  Corte d’Appello si è limitata a constatare la documentata presenza di un contratto scritto e a ritenere la  «rinnovazione certamente idonea a superare l’eventuale nullità del precedente contratto concluso a distanza».
A prescindere dalla questione della originaria nullità del contratto in quanto concluso in forma orale (in senso contrario v. Cass. n. 23489/2021), la successiva stipulazione per iscritto rimane comunque attività negoziale sicuramente valida ed efficace, senza necessità di scomodare i ben diversi istituti della conversione del contratto nullo (che esclude qualsiasi attività successiva delle parti, consistendo solo in un’operazione di ricostruzione della loro volontà al momento della conclusione del contratto nullo, «avuto riguardo allo scopo perseguito») e della convalida del contratto (che non consiste in una nuova stipulazione, ma in una esplicita o implicita, ma comunque consapevole, rinuncia ad avvalersi dell’invalidità da parte del contraente al quale spetterebbe la relativa azione: art. 1444 c.c.).
Nell’illustrazione del primo motivo l’originaria conclusione del contratto in forma orale viene però valorizzata anche  al  fine  di  prospettare  un  ulteriore  profilo  di  nullità, connesso alla mancanza di indicazione «nei moduli o formulari consegnati  all ‘ investitore»  della  sua  facoltà  di  recesso  entro sette giorni, qualora il contratto  di collocamento di strumenti finanziari sia concluso fuori della sede dell’intermediario finanziario.
Sotto questo profilo il primo motivo deve essere esaminato congiuntamente ai quattro successivi, in quanto tutti e  cinque  i  motivi  si  incentrano  sulla  questione  della  asserita conclusione del contratto fuori sede.
2.1.  Il  secondo  motivo  denuncia  «violazione  e  falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c.: artt. 1326, 1335, 2721 e 2722 c.c.».
Si contesta la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto non provato che il contratto per cui è causa fosse stato effettivamente concluso fuori sede.
2.2. Il terzo motivo censura «nullità della sentenza o del procedimento in ordine alla valutazione delle prove ex art. 360, n. 4, c.p.c.».
Con questo mezzo si contesta «la palese contraddittorietà del percorso motivo in ordine all’accertamento dei fatti circa il luogo di conclusione del contratto».
2.3. Il quarto motivo  prospetta «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c.: artt. 2697 c.c., 23 e 30 T.U.I.F.».
Si sostiene che la Corte d’Appello avrebbe implicitamente gravato  RAGIONE_SOCIALE  dell’onere  di  provare  il luogo di conclusione del contratto e che, invece, tale onere si sarebbe dovuto far gravare sull’intermediario finanziario, quale presupposto della legittimità della sua pretesa.
2.4. Il quinto motivo denuncia «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c.: artt. 30, commi 6 e 7, T.U.I.F. e art. 56 -quater del decreto legge n. 69 del 21.6.2013».
La Corte d’Appello di Firenze , ha ritenuto non applicabile il diritto di recesso per i contratti stipulati fuori sede a una «negoziazione per conto proprio» di strumenti finanziari conclusa prima del 1°.9.2013. Ciò ha fatto, in deliberato dissenso rispetto a un precedente di legittimità (Cass. n. 7776/2014) e in base a una certa interpretazione dell’efficacia nel tempo dell’art. 56 -quater del d.l. n. 69 del 2013 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013), che modificò l’art. 30, comma 6, del T.U.I.F.
I primi cinque motivi di ricorso sono complessivamente inammissibili,  a  prescindere  da  un  esame  analitico  del  loro contenuto, perché non intaccano una autonoma ratio decidendi che sorregge la sentenza impugnata in punto irrilevanza della questione  relativa  alla  (eventuale)  stipulazione  del  contratto fuori sede e alla conseguente (prospettata) nullità per mancata indicazione nel contratto del termine per esercitare il diritto di recesso.
La Corte d’Appello oltre a ritenere non provato il luogo di conclusione del contratto di IRS e comunque non applicabile, ratione temporis , la norma che riconosce all’investitore il diritto
di  recesso -ha  rilevato  che  «emerge  chiaramente  come  la stipulazione  del  contratto IRS (dovunque  debba  considerarsi giuridicamente avvenuta) non sia stata certamente frutto di una decisione  non  ponderata  dell’investitore  …;  pertanto  nella fattispecie in esame deve escludersi radicalmente che l’appellata abbia subito l’effetto sorpresa, dal quale ora (dopo dieci  anni  dalla  stipulazione  del  contratto)  pretenderebbe  di essere tutelata».
In sostanza, secondo il giudice d’appello, anche qualora si fosse ritenuta astrattamente applicabile la norma invocata dalla ricorrente, la situazione di fatto da lei allegata ed emersa nel corso del giudizio non sarebbe stata in concreto sussumibile in quella previsione normativa (interpretata secondo la sua ratio ) e quindi nemmeno idonea a far sorgere la relativa tutela.
Si tratta, con tutta evidenza, di un’autonoma ratio decidendi , che questa Corte non è chiamata a sindacare nella sua fondatezza, dovendosi limitare a constatare che non è stata fatta oggetto di specifica censura da parte della ricorrente. Con la conseguente applicabilità del principio per cui « ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l ‘ omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l ‘ autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l ‘ annullamento della sentenza » (Cass. n. 17182/2020; conformi, ex multis , Cass. 18 aprile 10815/2019; 7499/2019; 15399/2018; 9752/2017; 2108/2012; 22753/2011).
Il sesto motivo censura «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c.: artt. 1322, 1325, 1343, 1418 c.c. e 21 T.U.I.F.».
Con questo motivo si esamina il contenuto del contratto di RAGIONE_SOCIALE , al fine di contestare alla Corte d’Appello , quale errore di diritto,  di  non  averlo  ritenuto  nullo  per assenza  dell’alea caratteristica di un contratto derivato o, comunque, per iniquità dell’alea ,  sulla  base  della allegazione di parte che il contratto non  avrebbe  mai  potuto  svilupparsi  in  modo  favorevole  al cliente.
Al sesto motivo può essere associato il settimo, il quale denuncia «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c.: artt. 1322, 1325, 1346, 1349, 1418 c.c. e 21 T.U.I.F.».
Sempre con riguardo al contenuto del contratto, in questo caso viene prospettata l’indeterminabilità del suo oggetto, per la mancata specificazione del mark to market e del metodo di calcolo utilizzato per determinarlo, facendosi notare che, in tal modo, in caso di recesso anticipato del cliente, la banca avrebbe potuto determinare la somma dovuta unilateralmente e in modo non controllabile.
I due motivi sono fondati, nei termini di seguito esposti.
6.1.  La  Corte  territoriale  ha  escluso  qualsiasi  profilo  di invalidità del contratto in virtù della duplice valutazione che si trattasse di un IRS con funzione di copertura del rischio tasso connesso al sottostante contratto di leasing e che la mancata indicazione del mark to market fosse irrilevante, trattandosi di elemento  «pienamente  determinabile  in  via  oggettiva»  sulla base dei dati esplicitati nel contratto medesimo («durata, date
di pagamento, capitale di riferimento, tasso fisso pattuito, regola di computo degli interessi»). Quanto al fatto che il mark to market iniziale (valore teorico del contratto sulla base delle previsioni sul futuro andamento del l’Euribor) fosse negativo per la cliente della banca, senza che fosse prevista un ‘ apposita contropartita ( upfront ), la Corte milanese ha statuito che ciò «potrebbe semmai determinare l’obbligo a carico della banca di restituire al cliente tale importo, in quanto non esplicitamente pattuito», ma non certo determinare la nullità del contratto.
6.2. La sentenza impugnata non è conforme, in parte qua , al  ripetuto  e  condivisibile  orientamento  espresso  da  questa Corte  in  merito  alla  causa  e  alle  condizioni  di  validità  dei contratti  derivati  di IRS (v.,  in  particolare,  Cass.  S.U.  n. 8770/2020, nella parte non ex professo dedicata al tema più specifico della possibilità che siffatti contratti siano validamente stipulati dagli enti pubblici locali).
È stato innanzitutto affermato che non è sufficiente, al fine di affermare la liceità della causa del contratto di IRS , il solo accertamento della funzione di copertura di un rischio connesso alla stipulazione di un sottostante contratto di finanziamento (Cass. n. 32705/2022). Il contratto rimane intrinsecamente aleatorio e l’alea integra una causa meritevole di tutela soltanto in presenza di determinate condizioni, dal momento che l’ordinamento e, in particolare, l’art. 23, comma 5, del T.U.I.F. -« non intende autorizzare sic et simpliciter una scommessa, ma delimitare, con un criterio soggettivo, la causa dello swap , ricollegandola espressamente al settore finanziario » (Cass. S.U. n. 8770/2020, cit.).
Da qui la necessità « che gli elementi ed i criteri utilizzati per la determinazione del mark to market siano resi preventivamente conoscibili da parte dell’investitore, ai fini della formazione dell’accordo in ordine alla misura dell’alea, in assenza del quale la causa del contratto resta sostanzialmente indeterminabile », con la conseguente nullità del contratto, « che -è bene precisare -non è quella, virtuale (art. 1418, comma 1, c.c.), di cui si sono occupate due ben note pronunce delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725) per escludere che essa abbia a prospettarsi in caso di inosservanza degli obblighi informativi da parte dell’intermediario, ma una nullità strutturale (art. 1418, comma 2, c.c.), inerente ad elementi essenziali del contratto » (Cass. n. 24654/2022).
6.3. La Corte territoriale si è discostata da tali principi di diritto nella misura in cui si è affidata alla propria soggettiva convinzione circa la chiarezza dell’oggetto del contratto e della struttura dell’alea invece di « verificare -ai fini della liceità dei contratti -se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi, perché il legislatore autorizza questo genere di ‘scommesse razionali ‘ sul presupposto dell ‘ utilità sociale delle scommesse razionali, intese come specie evoluta delle antiche scommesse di pura abilità. E tale accordo non deve limitarsi al mark to market , ma investire, altresì, gli scenari probabilistici, poiché il primo è semplicemente un numero che comunica poco in ordine alla consistenza dell ‘ alea. Esso dovrebbe concernere la misura qualitativa e quantitativa dell ‘ alea e, dunque, la stessa misura dei costi pur se impliciti » (Cass. S.U. n. 8770/2020 cit.).
Nel caso di specie il mark to market non era indicato nel contratto e il giudice d’appello ha ritenuto irrilevante tale circostanza sulla base del rilievo che «il c.d. mark to market non è l’oggetto del contratto di Interest Rate Swap , posto che, palesemente, oggetto del contratto sono le reciproche obbligazioni delle due parti di pagare l’una all’altra , a seconda dei casi, a scadenze prestabilite, il differenziale sussistente tra due somme, calcolate su un medesimo capitale di riferimento, con applicazione di due determinati parametri differenziati per le due parti». L’osservazione che il mark to market non è l’oggetto del contratto è in sé corretta, ma non lo è la conseguenza tratta in merito a ll’irrilevanza, ai fini della validità del contratto, del l’effettivo accordo tra intermediario e investitore, non solo sul mark to market , ma, più in generale, « sulla misura dell’alea », in modo che sia assicurato il « presupposto dell’utilità sociale » che rende meritevoli di tutela le (sole) « scommesse razionali » stipulate nel qualificato e regolamentato contesto del « settore finanziario ».
L’ottavo motivo contesta «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c.: artt. 1418 e 1709 c.c. e art. 21 e 23T.U.I.F.».
Oggetto  di  censura  è  la  motivazione  della  sentenza impugnata nella parte in cui, ritenendo irrilevante la presenza di costi occulti per l’investitore, ha altresì prospettato che tali costi  potessero  trovare  comunque  una  giustificazione  nella discip lina legale del mandato e, in particolare, nell’art. 1709 c.c.
7.1. Il motivo è inammissibile.
Fermo quanto scritto sopra in merito alla necessità e alla rilevanza di un effettivo accordo « sulla misura dell’alea » -di cui
il mark to market iniziale negativo è solo un indicatore -la Corte territoriale ,  pur  avendo  accennato  all’ipotesi  di  ravvisare la legittimità del costo, anche se occulto, nella disciplina legale del mandato,  si  è  tuttavia  limitata  a  constatare  che  RAGIONE_SOCIALE non aveva proposto una specifica ed autonoma domanda di condanna della banca alla restituzione del relativo importo. E siffatta autonoma ratio decidendi non è contestata dalla ricorrente.
Il nono motivo denuncia «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c.: artt. 1427, 1429, 1433 e 1439 c.c.».
Si duole la ricorrente che non sia stata accolta la domanda di  «annullamento  del  contratto  per  errore  o  dolo»,  domanda svolta sul presupposto che il  derivato  non avesse un’effettiva finalità  di  copertura  del  rischio  assunto  con  il  sottostante leasing .
8.1. Anche questo motivo è inammissibile.
La Corte d’Appello ha ritenuto in parte generico e in parte infondato il gravame sotto questo profilo. E la ricorrente, per illustrare il motivo del ricorso, «richiama quanto già dedotto al motivo  di  impugnazione  n.  6»,  in  tal  modo  confermando  la mancanza  di  specificità  e  della  necessaria  autonomia  della presente  censura,  attinente  comunque,  come  la  precedente, all’invalidità del contratto .
Infine, il decimo motivo prospetta «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c.: artt. 1175,  1176,  1375,  1337,  1453,  1455  e  2043  c.c.,  6  e  21 T.U.I.F., 26, 27, 28, 29 e 32 Regolamento Consob 11522/1998».
La  ricorrente  contesta  il  giudizio  espresso  dalla  Corte d’Appello sul rispetto delle norme di condotta gravanti sull’intermediario  finanziario  e,  in  particolare,  de i  doveri  di informazione dell’investitore sulle caratteristiche del contratto concluso in contropartita diretta.
9.1. Il motivo è fondato.
La Corte territoriale ha reputato sufficiente, nei confronti di un «operatore non qualificato», la compilazione del questionario, oltre alla sottoscrizione del documento sui rischi generali e alla comunicazione di una nota informativa. Ma è mancata una verifica sulle eventuali informazioni fornite sullo specifico profilo di rischio che, come si è scritto sopra, non era adeguatamente determinato nel contratto, ovverosia proprio « sulla misura dell’alea », « comprensiva sia del criterio del mark to market sia degli scenari probabilistici, sia dei c.d. costi occulti, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole [l’investitore] di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto » (Cass. S.U. 8770/2020, cit.). A tale necessaria verifica il giudice d’appello ha anche in questo caso sostituito il proprio soggettivo giudizio che il contratto avesse «una struttura assolutamente semplice» e che, quindi, non fossero necessarie ulteriori informazioni specifiche sui rischi.
10. In definitiva, accolti i motivi sesto, settimo e decimo, inammissibili  i  rimanenti,  la  sentenza  impugnata deve essere cassata  in  relazione  ai  motivi  accolti,  con  rinvio  alla  Corte d’Appello  di Milano,  perché  decida,  in  diversa  composizione, anche  sulle  spese  del  giudizio  di  legittimità,  attenendosi  al seguente principio di diritto:
« gli elementi ed i criteri utilizzati per la determinazione del mark to market devono essere preventivamente conoscibili da parte dell ‘ investitore, ai fini della formazione dell ‘ accordo in ordine alla misura quantitativa e qualitativa dell ‘ alea, investendo, altresì, gli scenari probabilistici; in assenza di tale accordo la causa del contratto rimane sostanzialmente indeterminabile; la conoscibilità dei predetti elementi assume altresì rilievo ai fini dell ‘ affermazione della responsabilità della banca per la violazione degli obblighi informativi e di correttezza posti a suo carico dal d.lgs. n. 58 del 1998 e dal regolamento Consob n. 11522 del 1° luglio 1998 ».
P.Q.M.
La Corte:
accoglie  i  motivi  sesto,  settimo  e  decimo  del  ricorso, dichiara  inammissibili  i  rimanenti  motivi,  cassa  la  sentenza impugnata  in  relazione  ai  motivi  accolti  e  rinvia  alla  Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, anche per decidere sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima