Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13175 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13175 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 3788-2024 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 731/2023 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 30/11/2023 R.G.N. 112/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
Oggetto
Differenze retributive
R.G.N. 3788/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 26/03/2025
CC
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da NOME COGNOME nei confronti della datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE volto a condannare quest’ul tima al pagamento di somme dovute a titolo di emolumenti denominati ‘premio di produzione’ e ‘quattordicesima mensilità’ non più erogati a partire dall’agosto 2019 in seguito a disdetta dell’accordo aziendale che li prevedeva;
la Corte, in estrema sintesi e per quanto qui ancora rileva, ha ritenuto tardiva la produzione in grado di appello del contratto individuale di lavoro;
‘in ogni caso ha comunque argomentato la Corte – la produzione (tardiva) del contratto di lavoro non dimostra l’origine individuale e non collettiva dei benefici in questione. Si vuol dire che per dimostrare che gli emolumenti in questione, sin dall’iniz io, fossero entrati a far parte del trattamento concordato a livello individuale con il datore di lavoro e che, come tali, non potessero essere oggetto di revoca o riduzione unilaterale non basta la mera circostanza che essi fossero previsti nel contratto individuale (come normalmente avviene, del resto). È, invece, necessario che ne emerga la presenza di una pattuizione individuale che regoli trattamento economico del lavoratore in modo specifico, discostandosi da quanto previsto dal CCNL di settore’;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con due motivi; ha resistito con controricorso la società intimata;
entrambe le parti hanno comunicato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
il primo motivo di ricorso denuncia la ‘Violazione e falsa applicazione degli art. 115, 116 e 345 c.p.c. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio’, deducendo ‘l’errore del Giudice di appello di non ritenere ammissibile la produzione in appello del contratto individuale e la conseguente erroneità della valutazione delle prove offerte nel giudizio’;
il motivo non può trovare accoglimento per un duplice profilo;
innanzitutto, in violazione del canone della necessaria specificità del motivo di ricorso per cassazione, neanche riporta il contenuto del documento su cui si fonda la censura (lettera di assunzione) affinché questa Corte possa apprezzarne l’indispensabilità per l’acquisizione in appello (cfr. Cass. SS.UU. n. 10790 del 2017);
inoltre, la motivazione contiene una ratio decidendi autonoma che tiene conto anche della produzione tardiva del documento e che non risulta adeguatamente censurata;
è chiara la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, qualora la sentenza impugnata sia basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sé solo,
idoneo a supportare il relativo dictum , la resistenza di una di queste rationes agli appunti mossigli con l’impugnazione comporta che la decisione deve essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato privando in tal modo l’impugnazione dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (Cfr., in merito, ex multis , Cass. n. 4349 del 2001, Cass. n. 4424 del 2001; Cass. n. 24540 del 2009);
2. il secondo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2077 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio’, sostenendo ‘l’erronea applicazione dell’art. 2077 c.c. con il quale è previsto che il contratto di lavoro individuale prevalga sul contratto collettivo qualora preveda clausole migliorative per il prestatore di lavoro’;
la censura è inammissibile;
non solo si lamenta un omesso esame di fatto decisivo al di fuori dei limiti posti dalle Sezioni Unite di questa Corte per la deduzione del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014) ma si denuncia anche un error in iudicando senza evidenziare quale sia la violazione di legge consumata dalla Corte territoriale, piuttosto proponendo una diversa interpretazione delle vicende di causa avuto riguardo all’esistenza in concreto di un patto individuale che regolasse il trattamento economico del lavoratore in modo specifico, a prescindere dalla contrattazione collettiva di livello aziendale o nazionale;
pertanto, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il soccombente al pagamento delle spese liquidate in euro 2.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 26 marzo 2025.