Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8215 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8215 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1283/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME
NOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 1401/2020 depositata il 26/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Ritenuto che
1.- NOME COGNOME è titolare di una impresa individuale che gestisce un’azienda agricola. Allo scopo di alimentare tale azienda, dell’energia necessaria al suo funzionamento, ha concluso con la società RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) un contratto di somministrazione di gas, con il quale quest’ultima società ha fornito in comodato quattro serbatoi, realizzando a proprie spese l’impianto di distribuzione; per contro, la COGNOME si è impegnata a non acquistare gas da altre società (patto di esclusiva) ed a vincolarsi ad una durata quinquennale del contratto.
2.- Nel corso del rapporto, per via del mancato pagamento di alcune fatture, la RAGIONE_SOCIALE ha fatto valere la clausola risolutiva espressa, pretendendo il pagamento della penale pattuita ed il rimborso delle spese di realizzazione dell’impianto.
Ciò è accaduto anche perché, a dire della somministrante, la COGNOME aveva violato l’obbligo di esclusiva, consentendo ad altra impresa di allacciarsi all’impianto e fornirle altro gas.
Per ottenere il pagamento di tutto ciò, la società somministrante ha adito il Tribunale di Reggio Emilia, davanti al quale si è costituita la RAGIONE_SOCIALE che ha eccepito la nullità del contratto, per violazione dell’articolo 10 l. 32 del 1998.
4.- Il giudice di primo grado ha accolto la domanda, e questa statuizione è stata confermata dalla Corte di Appello di Bologna.
5.Quest’ultima decisione è qui impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE con tre motivi.
Considerato che
6.La ratio della decisione impugnata .
La Corte di Appello ha qualificato il contratto come di somministrazione di gas, da un lato, e comodato dei serbatoi dall’altro; ma ha osservato che tale fattispecie è disciplinata dall’articolo 10 della legge n. 32 del 1998, il quale prevede un regime di tutela per il somministrato, che acquista il gas, in quanto vieta di obbligarlo all’esclusiva e vieta altresì che il contratto superi una durata massima (uno o due anni a seconda dei casi).
Le norme imperative di questa legge sarebbero state violate, anzi espressamente derogate dalle parti, con la conseguenza che le clausole in deroga vanno sostituite dalle norme imperative.
7.I motivi di ricorso.
Questa ratio è contestata con tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta erronea interpretazione dell’articolo 10 l. n. 32 del 1998.
La censura è articolata su più argomenti. Innanzitutto, si sostiene che la norma si applica ai contratti di somministrazione e non a quelli di fornitura, quale deve intendersi quello intercorso tra le parti in causa.
In secondo luogo, si osserva che la norma non può valere per il caso in cui l’impianto è realizzato dall’impresa, ma solo per quello in cui l’ha semplicemente fornito: la realizzazione dell’impianto comporta un investimento che giustifica la durata quinquennale pattuita, e dunque la deroga a quella biennale o annuale prevista dal contratto.
Infine, si osserva che la norma non prevede la nullità del contratto, che non è espressamente dichiarata.
8.- Con il secondo motivo , oltre che prospettarsi una erronea interpretazione dell’articolo 10 l. 32 del 1998, si assume che la Corte di Appello ha violato altresì gli articoli 1339 e 1419 c.c.
In un certo senso, le censure sono analoghe a quelle di cui al motivo precedente.
Ritiene la società ricorrente che il giudice ha comunque errato nell’applicare la durata massima di un anno al contratto di cui è causa, in quanto, per contro, la durata avrebbe dovuto essere di due anni, al limite, che è quella prevista per il caso di comodato del serbatoio.
La Corte in altri termini, pur nella ipotesi in cui si ammettesse la necessità di sostituire automaticamente le clausole pattuite con le previsioni di legge, ha errato nel prevedere la durata massima di un anno anziché quella di due.
9.- Con il terzo motivo si prospetta una violazione dell’articolo 1341 c.c.
La tesi della ricorrente è che le parti avevano pattuito il rinnovo tacito del contratto e la clausola che ha previsto tale rinnovo è stata sottoscritta da entrambe.
La Corte di appello, che pure avrebbe errato nell’individuare la data di scadenza del contratto, avrebbe dovuto tenere conto che il rapporto si era rinnovato tacitamente e che dunque la risoluzione era avvenuta in costanza di rinnovo tacito.
Questi tre motivi pongono una questione comune, può farsene scrutinio unitario.
I motivi sono infondati.
La questione è quella del regime dei contratti di somministrazione di gas, e della applicazione a tali contratti della legge n. 32 del 1998, il cui articolo 10 introduce un regime di tutela per il somministrato, ossia per chi acquista il Gas dall’impresa che lo somministra, e questa tutela consiste essenzialmente nel prevendere che, se il somministrante fornisce anche i serbatoi, non può, in ragione di ciò, imporre una esclusiva al cliente, e soprattutto non può imporre una durata superiore a due anni se il serbatoio è venduto, o ad un anno se dato in comodato.
E’ una disciplina dettata per le somministrazioni. La ricorrente assume che il contratto in questione era di fornitura e non di somministrazione, ma la questione è speciosa, e comunque infondata: non è dato capire quale sia la fattispecie del contratto di fornitura, e come si differenzi dalla somministrazione. Per il caso in cui taluno eroghi a tale altro energia o altro bene di consumo, periodicamente, si tratta di somministrazione, essendo il termine fornitura l’equivalente gergale, per l’appunto, della somministrazione: del resto, nella presente fattispecie, si è trattato di somministrazione periodica di gas, per come è pacifico.
Dunque, si applica l’articolo 10 l. 32 del 1998. E deve ritenersi corretta la tesi della Corte di Appello secondo cui le norme contenute in tale articolo sono imperative, non possono essere derogate: si tratta cioè di norme che pongono limiti all’autonomia privata nell’interesse della parte più debole. Ed una norma che pone limiti all’autonomia privata (impedendo che essa preveda un diritto di esclusiva o una libera durata del contratto) non può, per definizione, essere derogata dall’autonomia privata, come espressamente le parti hanno, nel caso presente, previsto, sia quanto alla esclusiva che alla durata del rapporto.
Altrettanto correttamente la Corte di Appello ha ritenuto che la violazione di tali norme imperative, anziché comportare la nullità dell’intero contratto, produce la nullità della singola clausola contrastante.
La ricorrente ritiene che questa conclusione è stata assunta per via di una erronea interpretazione della giurisprudenza di questa Corte (si allude a 16356/2003 e 18370/2017) che non ha sancito la nullità delle clausole per contrasto, ma ha regolato un caso di diritto intertemporale, escludendo anzi la nullità.
La resi è infondata.
Quelle decisioni hanno previsto che ai contratti stipulati prima della entrata in vigore della legge non può applicarsi la sanzione della
nullità, ma solo la risoluzione di diritto ove non siano stati adeguati alla norma sopravvenuta, dando per pacifico che per quelli invece stipulati successivamente la conseguenza è proprio la nullità.
Ciò rende ovviamente infondata la tesi sostenuta con il terzo motivo e secondo la quale il contratto di sarebbe prorogato tacitamente, non essendo intervenuta disdetta (la risoluzione di diritto infatti sarebbe intervenuta a contratto rinnovato): questa tesi non tiene conto del fatto che, poiché la durata non può superare un anno o due, a seconda dei casi, non opera la rinnovazione tacita, che, a tacere di ogni altro argomento, vanifica l’imposizione di un termine massimo di durata.
Ovviamente non può neanche sostenersi che la previsione del citato articolo 10 non riguarda i casi di comodato dei serbatori ma quelli in cui il serbatoio è acquistato dal cliente o da costui realizzato: tesi che si basa sull’argomento che, quando invece è fornito dalla impresa somministrante, quest’ultima ha effettuato un investimento dei cui costi può rientrare solo se il contratto dura e c’è l’esclusiva.
Questa tesi non ha fondamento nella norma, che non opera questa distinzione, e che si limita solo a stabilire tra le due ipotesi (caso di serbatoio in locazione comodato, e caso di serbatoio proprio) una diversa durata: due anni oppure uno.
La Corte ha altresì correttamente ritenuto che l’ipotesi che ci occupa è quella disciplinata dalla prima parte dell’articolo 10, ossia relativa al caso in cui, oltre al serbatoio, è fornito il gas, e dunque la durata non può superare l’anno, poiché in tal caso si vuole evitare che, avendo il somministrante, fornito anche il serbatoio, possa in tal modo costringere il cliente ad una durata maggiore e vincolarlo alla esclusiva.
Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella misura di 2.800,00 euro per onorari, oltre a 200,00 euro per esborsi, oltre a spese generali ed accessori.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 20/02/2024