Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13526 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13526 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
CONTRATTO D’OPERA PROFESSIONALE CON PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29249/2022 R.G. proposto da
COMUNE DI FORIO D’ISCHIA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’ Avv. NOME COGNOME controricorrente – avverso la sentenza n. 4063/2022 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, depositata il giorno 4 ottobre 2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con delibera del 27 luglio 1998, il Comune di Forio d’Ischia conferì all’architetto NOME COGNOME incarico per la redazione del Piano Regolatore Generale.
Espletato l’incarico, nell’anno 2008 NOME COGNOME assumendo la spettanza di un compenso globalmente pari ad euro 128.315,26 e detratti gli acconti ricevuti, domandò in via monitoria la condanna del Comune di Forio al pagamento della somma di euro 58.248,86.
In conformità all’istanza, l’adito Tribunale di Nola emise il decreto ingiuntivo n. 2699/2008.
Nel dispiegare opposizione, l’ingiunto Comune eccepì, in via preliminare, l’incompetenza per territorio del Tribunale di Nola e la improcedibilità dell’azione per esistenza di clausola arbitrale ; nel merito contestò la pretesa creditoria in quanto, a fronte di un contratto tra le parti con impegno di spesa di euro 70.066,40 era stata corrisposta la somma di euro 65.357,30, sicché residuavano soltanto euro 4.709.
All’esito del giudizio di prime cure, il Tribunale di Nola accolse la opposizione, revocò il provvedimento monitorio e determinò in euro 4.709 il credito ancora spettante al professionista.
La decisione in epigrafe indicata ha accolto l’appello interposto da NOME COGNOME e rigettata l’originaria opposizione dell’ente.
Ricorre per cassazione il Comune di Forio d’Ischia, affidandosi a quattro motivi.
Resiste, con controricorso, NOME COGNOME.
Ambedue le parti depositano memoria illustrativa.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo lamenta violazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. nonché dell’art. 115 cod. proc. civ..
Assume parte ricorrente l’erronea interpretazione della clausola n. 5 del contratto inter partes stipulato, in specie quanto al canone letterale: sostiene che l’utilizzo della locuzione « in via preventiva » era indice della volontà di determinare (nell’importo di euro 70.066
indicato nel preventivo di parcella del professionista) il corrispettivo dell’opera professionale, « onde evitare futuri e deleteri contenziosi ».
1.1. Il motivo è inammissibile.
Trascritto integralmente il disposto dell’art. 5 della convenzione tra le parti conclusa, la Corte territoriale ha valorizzato la previsione pattizia di una duplice parcella: la prima, da allegare alla convenzione, recante una quantificazione presuntiva del corrispettivo dovuto; la seconda, a consuntivo dell ‘opera , redatta tenendo conto « degli onorari al minimo vigenti all’inizio delle varie fasi », munita del visto dell’Ordine professionale, quest’ultimo con « finalità di certificare l’osservanza dei minimi tariffari ».
Ha pertanto così concluso: « poiché, a tenore della convenzione, il saldo sarebbe stato corrisposto ‘a presentazione della parcella redatta a consuntivo’ (art. 5 co. V), è a questa – e non a quella di massima (o preventiva), allegata alla convenzione – che occorre far riferimento per la determinazione del residuo credito spettante al professionista ».
Ciò posto, la doglianza del ricorrente risulta in primis articolata sulla scorta di una riproduzione non fedele né integrale del contenuto della clausola recante la disciplina del corrispettivo del professionista.
In specie, nell’atto introduttivo si omette di trascrivere il primo capoverso dell’art. 5 ( « ai fini della determinazione dell’onorario si farà riferimento ai minimi della tariffa professionale »), invece valorizzato dal giudice territoriale, in uno alle altre previsioni pattizie, per inferire la devoluzione della quantificazione esatta del compenso professionale ad un momento futuro rispetto alla stipula del contratto.
Già questo rilievo pone in evidenza come l’intera argomentazione del ricorrente si risolva (e, ad un tempo, si esaurisca) nel sollecitare questa Corte ad una diversa esegesi della pattuizione transattiva, senza addurre e compiutamente illustrare l’inosservanza di alcuno specifico criterio di ermeneutica negoziale.
Orbene, è noto che l’interpretazione di un contratto fornita dal giudice di merito può condurre al positivo esito del sindacato di legittimità quando essa sia grammaticalmente, sistematicamente o logicamente scorretta, ma non già quando rappresenti una delle possibili e plausibili interpretazioni del negozio.
La valutazione della Corte di cassazione non può infatti investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’àmbito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce soltanto alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica dettati dagli artt. 1362 e seguenti del codice civile e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di qualsivoglia critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nel rappresentare una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati ( ex plurimis , Cass. 10/02/2023, n. 4272; Cass. 14/12/2022, n. 36516; Cass. 09/04/2021, n. 9461; 09/04/2021, n. 9461; Cass. 20/01/2021, n. 995; Cass. 26/05/2016, n. 10891; Cass. 09/04/2015, n. 7118; Cass. 10/02/2015, n. 2465).
Nel caso di specie, il Comune ricorrente, sotto la apparente veste della denuncia di inosservanza di criteri legali di ermeneutica, nella sostanza contrappone una propria lettura esegetica del contratto a quella adottata dal giudice territoriale, la quale di per sé si connota come non implausibile, siccome ancorata a non erronee accezioni semantiche delle locuzioni contenute nella clausola n. 5 del contratto ed una verosimile ratio ispiratrice di tale pattuizione.
2. Il secondo motivo denuncia « violazione degli artt. 632 e 633 cod. proc. civ. in relazione all’art. 116 cod. proc. civ. e all’art. 2697 cod. civ. » nonché violazione dell’art. 111 Cost. .
Ad avviso del ricorrente parte opposta, non assolvendo l’onere della prova su di lei gravante, ha omesso di dimostrare « che la somma preventivata era lievitata per varianti in corso di espletamento della
attività professionale » e che « il Consiglio Comunale avesse adottato definitivamente il piano dopo aver esaminato le osservazioni ».
2.1. Il motivo è inammissibile.
Esso prospetta questioni nuove, cioè a dire sollevate per la prima volta in sede di legittimità: parte ricorrente non specifica, infatti, l’avvenuta deduzione dell a relativa eccezione davanti al giudice di merito e manca di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità dell’ asserzione, prima di esaminarne il merito (cfr. Cass. 31/01/2024, n. 2887; Cass. 17/11/2022, n. 33925; Cass. 30/01/2020, n. 2193).
Anzi, al contenuto dell’originario atto di opposizione ex art. 645 cod. proc. civ. trascritto nel ricorso di adizione di questa Corte paiono estranee doglianze circa il compimento delle prestazioni professionali rendicontate con parcella dall’opposto e l’approvazione dello strumento urbanistico: ed anche la gravata sentenza, al riguardo, rileva come siano in lite « incontestati l’esistenza del rapporto negoziale, l’avvenuto espletamento dell’attività professionale e la congruità della parcella ».
Sicché il motivo finisce con il risultare – e tanto giustifica altresì la declaratoria di inammissibilità – eccentrico ed inconferente rispetto alla ratio decidendi della pronuncia, non rivolgendo considerazione critica alcuna alla valutazione (che fonda la reiezione della opposizione del Comune) di non contestazione dell’esatto adempimento dell’obbligo contrattualmente assunto ad opera del professionista.
3. Il terzo motivo prospetta « violazione e falsa applicazione dell’art. 2222 cod. civ. e dell’obbligo del contratto in forma scritta ad substantiam in relazione all’art. 191 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 ».
Deduce che « la somma liquidata sulla base della parcella non corrispondeva ed eccedeva all’importo determinato nella deliberazione n. 2/98, che costituiva l’unico onere per il Comune », in base al principio per cui « l’affidamento dell’incarico professionale senza copertura
finanziaria è invalido »: nel caso « la copertura finanziaria vi era nei limiti di euro 70.066», per cui «l’impegno a pagare ogni altra somma è nullo e non opponibile all’ente ».
Il quarto motivo rileva violazione degli « artt. 113 e 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 24 del d.l. 2 marzo 1989, n. 66 ».
Così opina parte ricorrente: « un impegno di spesa senza copertura finanziaria è nullo e, quindi, non addebitabile all’ente che non è legittimato al pagamento neppure nella ipotesi di cui all’art. 2041 cod. civ. per indebito arricchimento derivante dalla asserita prestazione in ogni caso la responsabilità è da ricondurre al funzionario che ha adottata la deliberazione in violazione di legge: mai l’arch. COGNOME avrebbe potuto richiedere al Comune, carente di legittimazione passiva, il pagamento della ulteriore somma di euro 58.248,86, derivante dalla parcella vidimata dal suo Ordine professionale ».
I due motivi da scrutinare congiuntamente, per l’intrinseca connessione che li avvince – sono inammissibili.
In linea generale, devesi ribadire che ogni atto col quale un ente locale assume un obbligo contrattuale è valido a condizione che sia emesso un impegno di spesa destinato a incidere, vincolandolo, su un determinato capitolo di bilancio, con attestazione della sussistenza della relativa copertura finanziaria, come previsto dall ‘ art. 191 d.lgs. n. 267 del 2000: diversamente si è in presenza di una nullità tanto della deliberazione che lo autorizza quanto del susseguente contratto stipulato in attuazione di essa, ferma l ‘ eventuale obbligazione a carico dell ‘ amministratore, funzionario o dipendente del medesimo ente che sia responsabile della violazione (da ultimo, Cass. 14/05/2024, n. 13159; Cass. 05/04/2023, n. 9364; Cass. 19/12/2019, n. 33768).
È del pari orientamento consolidato che detta nullità sia rilevabile di ufficio anche in cassazione: ma a condizione che i dati a tal fine determinanti emergano da quanto già acquisito nel corso del giudizio
di merito e siano somministrati alla Corte di legittimità in maniera conforme alle regole proprie del giudizio che si svolge innanzi ad essa, ovvero nell’osservanza degli oneri allegativi posti a carico della parte ricorrente dall’art. 366 del codice di ri to.
Orbene, il ricorso de quo non rispetta la prescrizione di contenuto – forma ora richiamata, dalla legge espressamente stabilita a pena di inammissibilità, siccome espressione del principio di autonomia (altrimenti detto di autosufficienza) che informa l’atto introduttivo del giudizio di legittimità: della delibera commissariale e del contratto per cui è causa (cioè a dire dei documenti su cui fonda la sviluppata argomentazione) parte ricorrente omette radicalmente l’ indicazione circa la loro collocazione nel fascicolo di ufficio dei gradi di merito e, soprattutto, circa la loro produzione o acquisizione nel giudizio di legittimità (sull’onere di c.d. localizzazione degli atti, cfr., ex aliis, Cass. Sez. U., 18/03/2022, n. 8950; Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34469).
Tale carenza allegativa preclude a questa Corte di verificare, in concreto, la corrispondenza al vero dell’assunto sostenuto , nonché, in punto di diritto, di pronunciare (se del caso, anche nell’interesse della legge) sulla validità o meno di un contratto concluso dall’ente locale in ipotesi di impegno di spesa (non del tutto mancante, ma) assunto in misura inferiore a quanto contrattualmente dovuto dall’ente , quando non pure di impegno di spesa indeterminato nella sua misura massima: la relativa questione resta, pertanto, del tutto impregiudicata.
Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Il regolamento delle spese del grado segue la soccombenza.
A tteso l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1-bis dell ‘ art. 13.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 7.700 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge, se spettanti.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione