Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 28295 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 28295 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 45/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO;
ricorrente
contro
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 2071/2019 della Corte d’ appello di Bari, depositata il 7-10-2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24-62025 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo emesso il 16-7-2013 dal Tribunale di Foggia, con il quale gli era stato
OGGETTO:
contratto d’opera
RG. 45/2020
C.C. 24-6-2025
ingiunto il pagamento di Euro 7.020,00, oltre interessi e spese di procedura, a RAGIONE_SOCIALE per lavori di estirpazione di vigneti siti in località Torretta e località Vulcano eseguiti nel 2011. L’opponente ha negato l’esistenza del credito, dichiarando che non era mai stato concluso dalle parti un contratto avente a oggetto i lavori in questione, in quanto l’estirpazione di viti e tendone sui terreni in località Torretta era stata eseguita da NOME e NOME COGNOME nel 2009 ed era stata interamente pagata, mentre i lavori di scavo in località Vulcano erano stati ugualmente eseguiti dai COGNOME nel 2010 e pagati a loro.
L’opposta RAGIONE_SOCIALE ha chiesto il rigetto dell’opposizione, sostenendo di avere eseguito i lavori di estirpazione di vigneti oggetto della domanda in località Vulcano e località Torretta-Borgo Mezzanone nel 2011, mentre i lavori ai quali si riferiva l’opponente erano altri.
Con sentenza n. 472/2017 depositata il 24-2-2017 il Tribunale di Foggia ha rigettato l’opposizione e confermato il decreto ingiuntivo e avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto appello, che la Corte d’appello di Bari ha accolto con sentenza n. 2071/2019 pubblicata il 7 -10-2019. La sentenza in sostanza ha escluso che la società avesse dato la prova della stipulazione del contratto in forza del quale le prestazioni di cui alle fatture fossero state eseguite dalla RAGIONE_SOCIALEerativa tramite propri soci o dipendenti. Ha dichiarato che dagli atti di causa non vi era alcun elemento dal quale desumere che NOME COGNOME avesse commissionato i lavori a RAGIONE_SOCIALE e non a COGNOME e non vi era prova che COGNOME avesse il potere di agire in nome e per conto della società.
Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 24-6-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, censurando la sentenza impugnata per avere dichiarato che la società aveva l’onere di provare la propria legittimazione attiva; evidenzia che l’opponente non aveva sollevato alcuna eccezione di difetto di legittimazione attiva, in quanto lo stesso aveva sostenuto che i lavori per i quali era chiesto il pagamento erano stati eseguiti prima che RAGIONE_SOCIALE fosse costituita ed erano stati pagati all’esecutore dei lavori stessi.
1.1. Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio della pronuncia e perciò non la censura in modo pertinente.
È vero che la sentenza impugnata (pag. 4) ha dichiarato che era la società opposta ad avere l’onere di provare ‘la propria legittimazione attiva’, però ha subito dopo aggiunto ‘a iniziare dalla prova che tra la società RAGIONE_SOCIALEerativa e l’opponente era stato stipulato un contratto d’opera, in virtù del quale le prestazioni di cui alle fatture erano state eseguite da essa RAGIONE_SOCIALEerativa, tramite propri soci e/o dipendenti’. Quindi, è evidente che la sentenza non ha rigettato la domanda della RAGIONE_SOCIALEerativa per avere ritenuto la sua carenza di legittimazione attiva, ma per avere ritenuto che la stessa non avesse provato di essere titolare del diritto azionato, e cioè non avesse provato che tra le parti era stato concluso contratto in forza del quale la società avesse eseguito le prestazioni di cui chiedeva il pagamento. È pacifico e non è confutato neppure dalla ricorrente che, a fronte delle contestazioni
della controparte, l’onere della prova gravante sulla società avesse quell’oggetto.
2. Con il secondo motivo, proposto ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., la ricorrente lamenta che la sentenza non abbia considerato le dichiarazioni dei testimoni, i quali avevano affermato che nel giugno 2011 NOME COGNOME aveva ricevuto l’incarico da COGNOME per procedere all’estirpazione dei vigneti su un fondo di quattr o ettari ubicato in agro di Foggia alla località Vulcano, che l’attività era stata svolta a fine giugno 2011 per tre giorni, che a giugno 2011 la società aveva ricevuto l’incarico di procedere all’estirpazione di vigneti anche in località Torretta-INDIRIZZO Mezzanotte, l’attività era stata espletata a luglio 2011 e aveva riguardato anche la realizzazione di uno scavo di m. 750. Aggiunge che la sentenza ha omesso anche l’esame dei documenti ‘formulari rifiuti’, datati 1 -7-2011 e 4-7-2011, dai quali risultava che la società aveva venduto rottame di ferro ricavato dall’estirpazione dei vigneti, indicando i luoghi di carico che corrispondevano ai luoghi nei quali erano ubicati i terreni di NOME COGNOME; rileva che la sentenza ha omesso di esaminare anche le testimonianze di NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali avevano dichiarato di essersi recati sul posto per caricare il materiale ferroso chiamati da NOME COGNOME per conto di RAGIONE_SOCIALE. Quindi lamenta che la sentenza sia incorsa in un travisamento della prova, perché l’informazione probatoria utilizzata ai fini della decisione è diversa da quella contenuta nei documenti relativi al formulario rifiuti e tale informazione è decisiva.
2.1. Il motivo non può essere accolto.
È acquisito che l’art. 360 co.1 n.5 cod. proc. civ. nella formulazione attuale prevede vizio relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra
le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, co.1 n. 6 e 369, co.2 n.4 cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico il cui esame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, 7-4-2014 n. 8053; Cass. Sez. 2, 29-10-2018 n. 27415; Cass. Sez. 2, 20-6-2024 n. 17005). Invece, spetta al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento e, a tal fine, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., Sez. U, 11-6-1998 n. 5802, per tutte).
Alla luce di tali principi, il motivo di ricorso, in primo luogo, presenta profili di inammissibilità per le modalità con le quali è formulato, laddove fa riferimento alle risultanze istruttorie nel loro insieme , sostenendo che la Corte d’appello avrebbe dovuto darne una diversa interpretazione e perciò criticando la complessiva valutazione riservata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità. Inoltre, il motivo non riesce a individuare un qualche fatto storico del quale la sentenza abbia o messo l’esame, perché la Corte d’appello ha considerato sia le dichiarazioni del testimone NOME COGNOME, sia le dichiarazioni dei testimoni titolari della ditta RAGIONE_SOCIALE, anche con riguardo al fatto da loro riferito che i formulari rifiuti erano stati intestati alla società RAGIONE_SOCIALE. La sentenza ha ritenuto tali elementi inidonei a dimostrare la conclusione del contratto tra la
società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, specificamente per il fatto che era stato provato che l’attività era stata svolta da NOME COGNOME e non era stato dimostrato che lo stesso avesse il potere di agire in nome e per conto della società. Questa precisa statuizione, essenziale nel ragionamento svolto dalla Corte d’appello, non è stata oggetto di censura in termini ammissibili in sede di legittimità e costituisce il fondamento del rigetto della domanda proposta dalla società. Per questo, risulta confermato che non si verte in ipotesi di omesso esame di fatti decisivi, a fronte del dato che i fatti, anche quelli relativi ai formulari rifiuti, sono stati considerati e ritenuti inidonei alla prova, rimanendo tale valutazione sfavorevole alla società estranea al paradigma del motivo ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. Non si verte neppure in ipotesi di travisamento del contenuto oggettivo della prova, che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé (Cass., Sez. U, 5-3-2024 n. 5792), perché gli argomenti della ricorrente non individuano alcuna svista della Corte d’appello nella percezione dei fatti probatori, ma si limitano a riproporre la lettura delle risultanze probatorie nel senso del raggiungimento di quella prova che la Corte d’appello ha ritenuto mancante.
In conclusione, il ricorso è integralmente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.200,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art. 13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 24-6-2025.
La Presidente NOME COGNOME