Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3682 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24243/2018 R.G. proposto da:
COGNOME, COGNOME, COGNOME, rappresentate
e difese dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrenti-
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOME;
-intimato-
Civile Ord. Sez. 2   Num. 3682  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/02/2024
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO TORINO n. 944/2018, depositata il 16/05/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7/11/2023 dal
Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
NOME, NOME e NOME COGNOME, comproprietarie di un appartamento sito al piano terreno di un immobile, chiamavano in giudizio davanti al Tribunale di Alessandria NOME COGNOME, proprietario dell’appartamento sovrastante, e NOME COGNOME, titolare della ditta che aveva effettuato il rifacimento dei lastrici solari, dei cornicioni e dei canali di gronda, chiedendo di condannarli in solido al risarcimento dei danni patiti a causa delle infiltrazioni verificatesi nel loro appartamento e nel porticato antistante. Si costituiva NOME COGNOME, sostenendo che il contratto doveva essere qualificato come contratto d’opera e non come contratto d’appalto; eccepiva quindi la prescrizione annuale dell’azione ex 2226 c.c. e precisava che i lavori svolti dalla sua ditta riguardavano mere riparazioni della pavimentazione del terrazzo, non la copertura del cordolo né l’impermeabilizzazione del cornicione. Si costituiva NOME COGNOME, chiedendo di rigettare la domanda e domandando di essere manlevato da COGNOME.
Il  Tribunale di Alessandria, con sentenza del 1° febbraio 2016, qualificava  il  contratto  come  appalto;  condannava  i  convenuti  in solido al pagamento di euro 4.826,80, pari al costo dei lavori per l’eliminazione  dei  danni  causati  dalle  infiltrazioni,  e  condannava COGNOME a pagare alle attrici euro 9.333,89, quale loro quota delle spese  da  sostenere  per  eliminare  i  vizi  dell’opera;  condannava COGNOME a manlevare COGNOME.
La sentenza era impugnata in via principale da COGNOME, che ne  chiedeva  la  riforma  integrale.  NOME,  NOME  e  NOME  COGNOME impugnavano  con  gravame  incidentale  condizionato. La Corte d’appello  di  Torino,  con  la  sentenza  n.  944/2018,  ha  accolto  il
gravame principale; la Corte ha anzitutto qualificato il contratto in oggetto quale contratto d’opera con conseguente applicazione all’azione contrattuale per vizi dell’opera del termine di un anno dalla consegna previsto dall’art. 2226 c.c.; considerato che i lavori commissionati all’impresa RAGIONE_SOCIALE erano stati completati nell’ottobre 2006, era evidente – ha osservato la Corte – che all’epoca del ricorso per accertamento tecnico preventivo, il 20 agosto 2009, era ormai decorso oltre un anno dalla consegna dell’opera; l’eccezione di prescrizione era poi stata tempestivamente proposta da COGNOME, così che la domanda delle signore COGNOME nei confronti di COGNOME doveva essere rigettata per prescrizione dell’azione; non poteva poi essere applicato l’art. 1669 c.c., che presuppone l’avvenuta stipulazione di un contratto di appalto e neppure la responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c. dato che le parti erano legate da un vincolo contrattuale e l’azione esercitata aveva le caratteristiche dell’azione contrattuale; la Corte ha poi accolto il motivo relativo alla contestazione della sussistenza dei presupposti della condanna di COGNOME a manlevare COGNOME, in quanto dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio svolta il primo grado risultava che numerose erano le cause che avevano dato origine alle infiltrazioni e tra queste anche l’assenza di un’adeguata pendenza del terrazzo e altri difetti estranei ai lavori commissionati a COGNOME. La Corte d’appello ha quindi riformato la sentenza di primo grado laddove accoglieva la domanda di manleva proposta da COGNOME nei confronti di COGNOME, dovendo rispondere dei danni patiti dalle signore NOME il solo COGNOME in qualità di custode. La Corte ha infine ritenuto assorbito l’appello incidentale condizionato.
Avverso la sentenza NOME, NOME e NOME COGNOME ricorrono per cassazione.
Resiste con controricorso NOME COGNOME. L’intimato NOME COGNOME non ha proposto difese.
Le ricorrenti e il controricorrente hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in cinque motivi.
I primi tre motivi contestano la qualificazione operata dalla Corte d’appello del contratto come contratto d’opera e sono tra loro strettamente connessi.
Il primo motivo lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: la Corte d’appello ha ritenuto che l’impresa RAGIONE_SOCIALE fosse un’impresa individuale iscritta nell’albo delle imprese artigiane dal 1999 con nessun lavoratore dipendente addetto all’impresa, ma ha considerato quanto emergeva dalla visura camerale relativa agli anni 2010, 2009 e 2008, omettendo di esaminare la consistenza della forza lavoro della ditta nell’anno 2006, anno nel quale sono stati svolti i lavori.
Il secondo motivo lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2083, 2226, 2697, 2947 c.c. e dell’art. 116 c.p.c.: la Corte d’appello ha ritenuto che sussistessero i caratteri della piccola impresa richiamandosi a un elemento quantitativo ossia le sue dimensioni, che come si è detto nel primo motivo, non è ricavabile dai documenti di causa del 2006, e a due ulteriori elementi non rilevanti né dirimenti, ossia l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane e la modesta entità dei lavori.
 Il  terzo  motivo  denuncia  violazione  e/o  falsa  applicazione degli artt. 2222, 2226, 1655, 1669, 2697 c.c.: la Corte d’appello, pur  ritenendo  acclarati  i  lavori  di  impermeabilizzazione,  non  ha ritenuto sussistente tra le parti un contratto di appalto.
I motivi non possono essere accolti.  Quanto al primo motivo la Corte d’appello ha ricavato la mancanza di dipendenti dell’impresa RAGIONE_SOCIALE  dalle  risultanze  relative  agli  anni  dal  2008  al  2010, evidentemente sulla base di un ragionamento presuntivo, ragionamento  rispetto  al  quale  le  ricorrenti  nulla  specificamente contestano,  non  avendo  allegato  che  nell’anno  2006  l’impresa
avesse dipendenti, così che la contestazione appare priva di decisività. Il secondo motivo ancora prospetta, questa volta sotto il profilo della violazione di legge, la censura relativa alla valutazione da parte della Corte d’appello della dimensione dell’impresa COGNOME sulla base di dati non relativi all’anno nel quale sono stati svolti i lavori e ulteriormente contestando profili che hanno portato la Corte d’appello, cui spettava la qualificazione del contratto, a ricondurre il contratto in esame al contratto d’opera. Strettamente collegato al precedente è il terzo motivo, che contesta anch’esso la valutazione in fatto operata dalla Corte d’appello dei lavori posti in essere dall’impresa, qualificandoli come ‘di modesta entità’ e quindi compatibili con la natura di piccolo imprenditore dell’esecutore.
Va ricordato che questa Corte ha precisato che la distinzione tra contratto d’opera e contratto d’appalto, posto che entrambi hanno in comune l’obbligazione verso il committente di compiere a fronte di corrispettivo un’opera senza vincolo di subordinazione e con assunzione del rischio da parte di chi li esegue, si basa sul criterio della struttura e dimensione dell’impresa a cui sono commissionate le opere, il contratto d’opera essendo quello che coinvolge la piccola impresa desumibile dall’art. 2083 c.c., e il contratto di appalto postulando un’organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato è preposto (cfr., per tutte, Cass. n. 7307/2001 e Cass. n. 12519/2010). E l’identificazione della natura dell’impresa interessata, ai fini della qualificazione di un contratto come di appalto o di opera, è rimessa al giudice di merito, coinvolgendo una valutazione delle risultanze probatorie e dei necessari elementi di fatto (Cass. n. 27258/2017 e Cass. n. 9459/2011).
In definitiva, le censure svolte dalle ricorrenti, ancorché prospettata pure sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di norme di legge, mira nella sostanza a contestare la correttezza dell’apprezzamento in fatto operato dal giudice del merito, sebbene
questi  abbia  adeguatamente  giustificato,  anche  con  il  riferimento alle caratteristiche obiettive delle opere commissionate, la qualificazione in termini di contratto d’opera.
B) Il quarto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1655, 1669, 2043 c.c.: la Corte d’appello afferma l’inapplicabilità dell’art. 1669 c.c., che presupporrebbe l’avvenuta stipula di un contratto di appalto ed esclude la responsabilità aquiliana stante il vincolo contrattuale e l’azione esercitata in giudizio, non considerando che la responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c. ha natura extracontrattuale e prescinde dal rapporto negoziale.
Il motivo non può essere accolto. È vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘ l’art. 1669 c.c., benché collocato fra le norme disciplinanti il contratto di appalto, è diretto alla tutela dell’esigenza (avente carattere generale) della conservazione e funzionalità degli edifici e di altri immobili destinati, per loro natura, a lunga durata, sicché l’azione di responsabilità ha natura extracontrattuale e trascende il rapporto negoziale’ (così da ultimo Cass. 23470/2023), così che la pronuncia impugnata, laddove afferma che l’art. 1669 c.c. presuppone l’avvenuta stipulazione di un contratto di appalto tra le parti, va corretta.
Nel caso in esame però, sulla base dell’accertamento in fatto compiuto dalla Corte d’appello, va esclusa l’applicazione dell’art. 1669 c.c., avendo il giudice di merito appunto ritenuto che i lavori oggetto del contratto fossero di modesta entità e non fossero ‘certamente le principali cause delle infiltrazioni’ (in tema di responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c. – ha precisato questa Corte – la qualificazione del vizio come grave costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se motivato, cfr. Cass. 39599/2021).
C) Il quinto motivo lamenta nullità della sentenza per omessa pronuncia: le ricorrenti avevano proposto appello incidentale
condizionato e al riguardo la Corte d’appello si è limitata a dire che tale appello doveva ritenersi assorbito.
Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello non ha omesso di pronunciare sull’appello incidentale condizionato, ma ha ritenuto il gravame assorbito dal passaggio in giudicato della pronuncia di primo grado in relazione alla condanna di COGNOME al pagamento di euro 4826,80 per l’eliminazione dei danni. Ad avviso delle ricorrenti residuerebbe la domanda di essere tenute indenni dai costi di rifacimento delle opere di impermeabilizzazione per le quali era stato condannato il solo COGNOME, ma da quanto risulta dalla sentenza impugnata (vedere le conclusioni riportate alla pag. 3 e la pag. 9 della medesima sentenza) l’appello da loro proposto era unicamente relativo al risarcimento dei danni subiti dal proprio immobile per effetto delle infiltrazioni di acqua.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,  da  parte  delle  ricorrenti,  di  un  ulteriore  importo  a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il  ricorso  e  condanna  le  ricorrenti  in  solido  al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente, che liquida in euro 3.500, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti,  di  un  ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  seconda