Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24128 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24128 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 31735-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1881/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/06/2019 R.G.N. 3591/2015 più 1; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 519/2015 il Tribunale di Velletri aveva rigettato il ricorso con il quale COGNOME NOME, subagente della
Oggetto
Contratto di subagenzia
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/06/2024
CC
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) dal 1988, pacificamente receduto senza giusta causa il 5.3.2008, aveva chiesto condannarsi detta società convenuta al pagamento dell’indennità di cui all’art. 1751 c.c. (indennità di risoluzione contrattuale), e, nel provvedere sulle domande riconvenzionali della resistente, aveva dichiarato la propria incompetenza quanto alla domanda di risarcimento del danno da concorrenza sleale, ed aveva rigettato per il resto tali domande (di restituzione delle quote non maturate di provvigioni su polizze pluriennali e di pagamento dell’indennità di mancato preavviso).
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Roma, dando atto degli appelli separatamente proposti da entrambe le parti contro detta sentenza, così provvedeva: rigettava l’appello proposto dallo COGNOME; accoglieva, invece, l’appello pro posto dalla RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, confermata nel resto, condannava lo COGNOME a corrispondere a detta società la somma di € 30.336,09, a titolo di rimborso degli storni provvigional i su polizze poliennali e la somma di € 25.000,00 a titolo di indennità di mancato preavviso, oltre accessori di legge.
2.1. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale respingeva il motivo d’appello del subagente con il quale censurava la sentenza di primo grado per aver ritenuto applicabile il nuovo testo dell’art. 1751 c.c. e non la previgente normativa, sulla base di una diversa interpretazione del quadro normativo che privilegiava il riferimento dell’art. 6 d.lgs. n. 303/1991 all’entrata in vigore della riforma (1° gennaio 1993), sicché l’indennità di risoluzione del rapporto, da lui rivendicata,
era dovuta perché il contratto di agenzia del 1988 era sorto nella vigenza della vecchia disciplina (per la quale nessuna rilevanza avevano il motivo e l’iniziativa del recesso).
2.2. La Corte giudicava fondato, invece, il motivo d’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE sulla base del disposto dell’art. 1748 c.c. dove stabilisce che l’agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse solo nella ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente. Pertanto, riteneva provata anche nel quantum la pretesa restitutoria avanzata dalla società, per gli storni di provvigioni addebitabili al subagente.
2.3. La stessa Corte, infine, reputava fondata anche la domanda della società relativa all’indennità di preavviso, ritenendo nulla la clausola con la quale le parti pattuiscono il recesso senza preavviso; clausola della quale nella specie si era avvalso il subagente; e tanto sul rilievo che il recesso dal contratto di agenzia era disciplinato da alcune disposizioni inderogabili del codice civile, tra le quali l’art. 1750, che subordina il recesso dal contratto al preavviso, nel caso di sei mesi.
Avverso tale decisione COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’intimata società è rimasta tale, non avendo svolto difese in questa sede.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 303/1991 e dell’art. 1753 c.c.’. In sintesi, secondo lo stesso, l’interpretazione fornita dalla Corte d’appello dell’art. 6 d.lgs. n. 303/1991 non poteva essere condivisa, in quanto porterebbe ad elidere un diritto già quesito dal subagente nell’ambito del suo pregresso rapporto di lavoro subordinato; tale interpretazione, inoltre, non era ‘costituzionalmente orientata’. Torna, poi, a sostenere che il comma 2 di tale art. 6 non contiene alcun riferimento ai contratti già in corso. Addebita, inoltre, alla Corte di aver totalmente obliterato l’art. 1753 c.c., nella parte in cui impone di far precedente gli usi alle norme del codice civile.
Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione dell’art. 1748 c.c., al quale è stata data erroneamente prevalenza rispetto al contratto individuale; violazione dell’art. 416 c.p.c. e degli artt. 111 e 112 cpc, per aver sostituito le ragioni di diritto invocate dalla parte convenuta, con altri presupposti giuridici dell’azione, mai dedotti a fondamento della domanda riconvenzionale del relativo appello’.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione dell’art. 1750 c.c., in relazione alla diversa previsione del contratto individuale di subagenzia circa la durata del preavviso; violazione dell’art. 1753 c.c. e delle norme collettive ivi richiamate; rinuncia al preavviso da parte della società RAGIONE_SOCIALE.
Il primo motivo (da ricondurre al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., pur in difetto di indicazioni di parte), è infondato.
Giova premettere che l’art. 6 d.lgs. n. 303/1991 recita: ‘1. Le disposizioni del presente decreto si applicano ai contratti
già in corso alla data del 1° gennaio 1990, a decorrere dal 1° gennaio 2004. 2. Salvo quanto previsto dal comma 1, le disposizioni di cui all’art. 4 si applicano a decorrere dal 1° gennaio 1993′. E l’art. 4 dello stesso d.lgs. n. 303/1991 è la norma che av eva integralmente novellato l’art. 1751 c.c. in tema di ‘Indennità in caso di cessazione del rapporto’.
5.1. La Corte di merito, in base a tale disciplina, ha ritenuto che le nuove norme, ‘che incidono sulla indennità ex art. 1751 c.c.’, trovavano applicazione dal 1993, e che, ‘poiché il contratto de quo era stato stipulato prima del 1990, rimane soggetto alla novella, a far data dal 1993’. Ha osservato, ancora, che: .
5.2. Tale interpretazione delle specifiche disposizioni di diritto intertemporale su riportate, aderente al loro tenore letterale, è conforme ai precedenti di questa Corte di legittimità.
In particolare, già Cass., sez. lav., 6.5.2000, n. 5612, proprio in caso relativo a subagenzia assicurativa, aveva deciso che, in tema di rapporto di agenzia, la disciplina della indennità per lo scioglimento del contratto, di cui all’art. 1751 c.c. (nella sua formulazione anteriore alla modifica introdotta dal d.lgs. 10 settembre 1991, n. 303, di attuazione della direttiva 86/653/Cee a norma dell’art. 15 l. 29 novembre 1990, n, 428), -secondo cui all’agente è dovuta un’indennità proporzionale all’ammontar e delle provvigioni liquidategli nel corso del
rapporto, senza operare alcuna distinzione tra le varie cause di risoluzione del contratto -trova applicazione anche al rapporto di subagenzia, risoltosi prima del 1 gennaio 1993, data di entrata in vigore della modifica suddetta, che ha previsto come non dovuta l’indennità in questione nel caso in cui il rapporto si rivolva a seguito di recesso dell’agente.
Ma anche successivamente è stato ribadito che le norme attuative nella legislazione nazionale delle disposizioni della cit. direttiva comunitaria ‘hanno cominciato ad essere operative, ad eccezione degli aspetti concernenti l’indennità di cessazione del ra pporto (per i quali l’efficacia della nuova normativa è stata anticipata al 1993), a decorrere dal 1994 (in tal senso Cass., sez. lav., 14.9.2005, n. 18202).
Pure più di recente, inoltre, l’art. 1751 c.c. novellato è stato ritenuto applicabile anche ai rapporti di subagenzia (cfr. Cass. n. 21602/2019 e n. 4708/2011).
Nel caso, pertanto, del contratto di subagenzia inter partes , stipulato l’1.12.1988, e quindi pacificamente ancora in corso alla data dell’1.1.1990, l’art. 1751 c.c. nella versione come riformulata nel 1991, ha trovato applicazione al relativo rapporto dall’1.1.1993.
6.1. Correttamente, perciò, la Corte territoriale dall’applicazione di tale nuova previsione (poi ulteriormente integrata ex d.lgs. n. 65/1999, ma su aspetti non rilevanti in causa) ha fatto discendere la non debenza al subagente dell’indennità di cessazio ne del rapporto per aver lui receduto dal contratto senza che ricorressero le condizioni tuttora previste (recesso ‘giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all’agente, quali, età,
infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività’).
E’ infondato il secondo motivo di ricorso, che presenta evidenti profili d’inammissibilità.
7.1. In particolare, il ricorrente in un unico motivo, anch’esso non esplicitamente riferito a uno o più mezzi di quelli previsti dall’art. 360, comma primo, c.p.c., si duole promiscuamente di un error in iudicando , quale la dedotta violazione di norma di diritto, ossia, del l’art. 1748 c.c., e di un error in procedendo , peraltro senza dedurre la nullità della sentenza ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c.
In ogni caso privo di fondamento è il vizio di extrapetizione di cui si duole il ricorrente ex art. 112 c.p.c.
8.1. Giova ricordare che il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione ( petitum e causa petendi ), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso -nemmeno implicitamente o virtualmente -nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti (così, tra le tante, di recente, Cass. n. 18583/2023). E’ stato, inoltre, specificato che il dovere imposto al giudice di non pronunciare, oltre i limiti della domanda, né di pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti, non comporta l’obbligo di attene rsi all’interpretazione prospettata dalle parti in ordine ai fatti, agli atti ed ai negozi giuridici posti a base delle loro domande ed eccezioni, essendo la valutazione degli elementi documentali e processuali, necessaria per la decisione, pur sempre devoluta al
giudice, indipendentemente dalle opinioni, ancorché concordi, espresse in proposito dai contendenti. Al riguardo non è configurabile un vizio di ultrapetizione, ravvisabile unicamente nel caso in cui il giudice attribuisce alla parte un bene non richiesto, o maggiore di quello richiesto (in tal senso Cass. n. 16608/2021).
Inoltre, è pacifico che il giudice ben può assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto, diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (cfr., ad es., Cass. n. 25140/2010; n. 12943/2012).
8.2. Ebbene, ineccepibilmente la Corte di merito ha stabilito che l’obbligo restitutorio in capo al subagente trovasse fondamento in specifica previsione dell’art. 1748 c.c., piuttosto che nell’istituto dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. o, come in subordine dedotto dalla società, nell’azione generale di arricchimento ex art. 2041 c.c.
Com’è agevole riscontrare, infatti, tale più corretta qualificazione di detta domanda della preponente non ha comportato alcuna alterazione del petitum e della causa petendi in fatto della stessa domanda.
La Corte, difatti, ha giudicato fondata tale domanda in base alle risultanze processuali già agli atti, comprese quelle di una C.T.U. contabile, e tenendo conto di quanto dedotto dalle parti (cfr. facciate 3-5 della sua sentenza).
8.3. Mette conto aggiungere che, stante l’applicabilità ratione temporis al rapporto -questa volta a decorrere
dall’1.1.1994 (per le ragioni già espresse nell’esaminare il primo motivo) anche dell’art. 1748 c.c., come modificato dall’art. 2 del già cit. d.lgs. n. 303/1991 (e poi dall’art. 3 d.lgs. n. 65/1999), è esatta la sussunzione dell’obbligo fatto valere dal la mandante nell’ipotesi di cui al penultimo comma di tale articolo 1748 (‘L’agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse solo nella ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente. E’ nullo ogni patto più sfavorevole all’agente’).
Tale specifica previsione, pertanto, prevede un obbligo restitutorio a carico dell’agente, quando la riscossione di provvigioni, come già considerato da questa Corte, si riveli ‘priva di giustificazione causale’ (così nella motivazione Cass., sez. VI, 5.10.2022, n. 28878), in modo non dissimile dalla condictio ob causam finitam rientrante nell’art 2033 c.c.
Incensurabilmente, perciò, anche sul piano del diritto sostanziale, la Corte di merito, in relazione alle provvigioni che il subagente aveva riscosso in ordine a polizze c.d. poliennali, ha accertato che la mancata prosecuzione di tali contratti non era dovuta a cause imputabili alla società, dipendendo invece da fattori riconducibili ai clienti assicurati, e in base alle ulteriori considerazioni a riguardo svolte ha anche quantificato il debito relativo in capo al subagente.
E’, infine, infondato il terzo motivo (da ricondurre al mezzo ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c.).
Più nello specifico, la Corte d’appello ha considerato che ‘la lettera di autorizzazione’, integrante il contratto di subagenzia del 1988, al punto 3, prevedeva che ‘la presente
autorizzazione potrà cessare in qualsiasi momento anche senza preavviso da entrambe le parti’.
Orbene, le considerazioni svolte dalla Corte di merito circa l’illegittimità del recesso immediato del subagente restano condivisibili.
11.1. Questa Corte, infatti, ha ritenuto che, in tema di contratto di agenzia a tempo indeterminato il termine di preavviso, ai sensi dell’art. 1750 cod. civ. (come sostituito dall’art. 3 del d.lgs. 10 settembre 1991, n. 303), non può essere inferiore ad un mese per ogni anno, o frazione di anno, di durata del contratto fino ad un massimo di sei mesi, poiché il legislatore italiano -come consentito dall’art. 15 della Direttiva del Consiglio CEE del 18 dicembre 1986, n. 86/653/CEE -ferma la tutela inderogabile per il primo triennio -ha previsto, anche per gli anni successivi al terzo, termini crescenti di quattro, cinque e sei mesi (rispettivamente, per il quarto, il quinto, il sesto e i successivi anni) non derogabili ad opera delle parti (così Cass., sez. lav., 18.7.2014, n. 16487).
11.2. E occorre, inoltre, sottolineare che, sempre in base alla disciplina di diritto transitorio sopra esaminata, anche tali previsioni sopravvenute e inderogabili sono divenute applicabili al rapporto di subagenzia per cui è causa a far tempo dall’1.1.1994, e quindi dovevano essere osservate da entrambe le parti, anche in presenza di clausola contrattuale che come quella sopra premessa le abilitava a recedere pure senza alcun preavviso.
11.3. Pertanto, il recesso ad nutum ed immediato all’epoca in cui fu esercitato dal subagente e poi ricevuto dall’agenzia, preponente rispetto a lui (il 5.3.2008, come considerato dalla
Corte di merito), non era più consentito, in base alla norma sopravvenuta in corso di rapporto.
Resta da dire che è inammissibile il profilo della censura che fa leva sull’art. 13 dell’Accordo nazionale Agenti del 2003 (cfr. pagg. 29-30 del ricorso), in quanto, non solo non è stata prodotta copia integrale di tale accordo collettivo nazionale (in violazione dell’art. 369, comma secondo, n. 4), c.p.c.), ma in parte qua si pone una questione nuova, non trattata nella precedente fase di merito. Parimenti inammissibili sono le deduzioni del ricorrente sull’affidamento che avrebbe in lui indotto il dat o che la rivendicazione dell’indennità di mancato preavviso fu fatta dalla società per la prima volta con la memoria di costituzione con domanda riconvenzionale del 3.5.2012, dopo oltre quattro anni da quando la società mandante aveva ricevuto la comunicazione di recesso senza preavviso, oppure sulla rinuncia al preavviso attribuita alla controparte (cfr. pagg. 3031). Trattasi, difatti, di temi anche questi non affrontati nel grado precedente (cfr. facciate 56 dell’impugnata sentenza) e che comunque riflettono accertamenti fattuali estranei a quelli ivi compiuti.
Nulla dev’essere statuito quanto alle spese di questo giudizio di legittimità in ragione dell’assenza di difese dell’intimata. Nondimeno il ricorrente è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 12.6.2024.