Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27441 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 27441 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2993/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE):
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 3702/2019, depositata il 17/09/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del l’ 8/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Sentito il Pubblico Ministero, il sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Sentito il difensore dei ricorrenti, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Sentito il difensore della controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. La società RAGIONE_SOCIALE e il suo legale rappresentante NOME COGNOME hanno chiamato in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE), chiedendo al Tribunale di Treviso di accertare che la convenuta non era creditrice nei confronti dell’attrice e per l’effetto di condannarla alla restituzione di euro 38.325,90, somma illegittimamente riscossa mediante escussione di una fideiussione, di accertare l’inadempimento della convenuta rispetto alle obbligazioni contratte con l’attrice RAGIONE_SOCIALE, nonché di condannarla a risarcire i danni da quest’ultima subiti a titolo di danno emergente, lucro cessante e danno di immagine per la somma complessiva di euro 147.870,41; infine di condannare la convenuta a corrispondere a COGNOME la somma di euro 10.000 a titolo di danno di immagine patito a titolo personale. L’attrice ha dedotto di avere avviato un punto vendita monomarca RAGIONE_SOCIALE in Bari e di avere acquistato la merce per il tramite di un’agenzia a partire dalle stagioni A/I 2009; di avere sottoscritto ordini di merce per la stagione A/I 2012 e che, nonostante i reiterati solleciti, NOME non aveva inviato la merce, cosicché l’attrice aveva dovuto risolvere il contratto di locazione del locale e chiudere il punto vendita; che solo dopo sei mesi la convenuta aveva comunicato la sussistenza di un credito per merce
regolarmente consegnata. Si è costituita in giudizio RAGIONE_SOCIALE, che ha eccepito la mancata conclusione tra le parti di un contratto di fornitura, che gli ordini a cui l’attrice faceva riferimento non erano stati da essa accettati e le condizioni generali riportate sugli ordini prevedevano che ciascuna fornitura non comportava il diritto per l’acquirente di rivendicare rapporti di sorta con RAGIONE_SOCIALE, la mancata prova del nesso causale tra i danni lamentati e gli asseriti inadempimenti di RAGIONE_SOCIALE, il difetto di legittimazione di COGNOME, nonché di essere creditrice di euro 38.325,90.
Con la sentenza n. 1934/2017, il Tribunale di Treviso ha accolto la domanda di risarcimento del danno degli attori: ha accertato che ‘il comportamento di NOME, per come è stato posto in essere, ha assunto i connotati di un rifiuto arbitrario di rifornire la merce ordinata, passibile peraltro di integrare gli estremi dell’abuso di dipendenza economica in danno del rivenditore al dettaglio’; per l’effetto ha condannato la convenuta al pagamento in favore della società attrice del risarcimento del danno patrimoniale, pari a euro 21.000, e del danno all’immagine, pari a euro 40.000; in favore di COGNOME ha condannato la convenuta al pagamento di euro 10.000 per danno all’immagine.
2. La sentenza è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, contestando l’erronea ricostruzione del rapporto contrattuale, l’inesistenza dell’obbligo di accettare l’ordinativo della merce, l’inesistenza della violazione del canone della buona fede contrattuale, l’inesistenza dei danni e comunque la mancanza della relativa prova.
Con la sentenza n. 3702/2019, la Corte d’appello di Venezia ha accolto il primo motivo di gravame, accoglimento che ha ritenuto assorbente dei restanti motivi: in riforma della sentenza di primo grado ha respinto la domanda di condanna al risarcimento del danno proposta dagli attori nei confronti della convenuta.
Avverso la sentenza ricorrono per cassazione RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e COGNOME.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
Memoria è stata depositata sia dai ricorrenti che dalla controricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è articolato in sei motivi.
1. Il primo motivo denuncia falsa applicazione degli artt. 1559, 1565 e 1570 c.c., in relazione all’effettivo rapporto commerciale intercorso tra le parti, errato inquadramento della fattispecie per cui è causa: la Corte d’appello ha sostenuto che tra le parti non è intercorso un contratto di somministrazione di merce, tantomeno in esclusiva, ma di compravendita e che ogni ordinativo veniva accettato espressamente o tacitamente con l’invio della merce richiesta e ha poi osservato che nulla cambierebbe nemmeno se si volesse costruire la fattispecie in termini di contratto di fornitura, posto che il legislatore prevede espressamente la facoltà del somministrante di sospendere la propria prestazione a fronte del conclamato inadempimento di controparte; la Corte d’appello ha male interpretato la natura del rapporto commerciale instaurato fra le parti, ‘fossilizzandosi’ inutilmente sul nomen iuris da attribuire al rapporto commerciale, piuttosto che sui numerosi elementi che rendevano chiaro come le parti avessero inteso instaurare un rapporto continuativo di fornitura di merce, seppure de facto o per facta concludentia .
Il motivo non può essere accolto. La censura della ricorrente si sostanzia in una inammissibile richiesta a questa Corte di rivalutare gli elementi di fatto che hanno portato la Corte d’appello a ritenere che tra le parti non fosse intercorso un contratto di somministrazione di merce, ma di compravendita di singoli ordinativi di merce. La Corte d’appello ha accertato che ogni ordinativo veniva accettato espressamente o tacitamente con
l’invio della merce richiesta e che solo allora si producevano gli effetti del contratto. A fronte di tale accertamento, la ricorrente invita questa Corte a considerare circostanze quali la sottoscrizione della fideiussione bancaria per l’importo di euro 60.000, fideiussione che parlava di forniture di merci, e il fatto che il punto vendita fosse un negozio monomarca RAGIONE_SOCIALE: si tratta di circostanze prive di carattere decisivo alla luce dell’accertamento dello svolgimento del rapporto intercorso tra le parti quale compravendita di singoli ordini di merce.
2. Il secondo motivo lamenta vizio di motivazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio: la Corte d’appello ha parlato di pesante esposizione debitoria dell’ordinante, di passivo di bilancio ingravescente e di assenza di qualsivoglia offerta solutoria; si tratta di un cumulo di asserzioni erronee sia in fatto che in diritto; la Corte d’appello non considera che tali circostanze non sono state poste da RAGIONE_SOCIALE a giustificazione del mancato invio della merce; RAGIONE_SOCIALE è infatti rimasta del tutto silente tra l’inoltro del primo degli ordini per la stagione A/I, in data 8 febbraio 2012, e l’ultima comunicazione di RAGIONE_SOCIALE dell’8 ottobre 2012.
Il motivo non può essere accolto. Le considerazioni evidenziate dai ricorrenti attengono infatti alla escussione della fideiussione, ma non concernono il mancato invio della merce relativa agli ordini in questione, non essendo appunto RAGIONE_SOCIALE obbligata all’invio della merce, dato che secondo l’accertamento in fatto compiuto dal giudice d’appello quest’ultima non si era obbligata, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore della ricorrente, prestazioni periodiche o continuative di cose, ma ciascun ordine era subordinato alla accettazione espressa o tacita da parte della medesima. Il profilo della legittimità della escussione della fideiussione da parte di RAGIONE_SOCIALE è affrontato ad abundantiam dalla Corte d’appello, ma non faceva parte delle questioni ad essa
sottoposte. Se i ricorrenti in primo grado avevano domandato, oltre al risarcimento del danno causato dalla mancata consegna della merce, l’accertamento che RAGIONE_SOCIALE non era debitrice della convenuta, che doveva quindi essere condannata a restituire la somma di euro 38.325,90, illegittimamente riscossa mediante l’escussione della fideiussione, tale domanda non risulta essere stata accolta in primo grado e il mancato accoglimento non è stato contestato dai ricorrenti. Con l’appello incidentale i ricorrenti si sono infatti limitati a chiedere la condanna della convenuta a risarcire i profili di danno non accolti dal giudice di primo grado (cfr. le loro conclusioni d’appello, riportate alle pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata).
I successivi motivi sono tra loro strettamente connessi.
Il terzo motivo contesta falsa applicazione degli artt. 1570 e 1565 c.c. in relazione al rapporto commerciale intercorso tra le parti, falsa applicazione dei principi regolanti la ripartizione dell’onere della prova relativamente ai profili di responsabilità emersi nell’ambito del rapporto commerciale intercorso tra le parti, errata rilettura delle risultanze processuali: non vi è stato alcun inadempimento della ricorrente rispetto ai suoi obblighi di pagamento; la corretta ricostruzione del rapporto in termini di rapporto continuativo di fornitura per facta concludentia imponeva a RAGIONE_SOCIALE l’onere di dimostrare l’altrui inadempimento e la non scarsa entità di quest’ultimo, cosicché doveva essere RAGIONE_SOCIALE a giustificare il proprio inadempimento rispetto all’obbligo di inviare la merce ordinata.
B) Il quarto motivo lamenta vizio di motivazione per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, errata rilettura delle risultanze processuali e falsa applicazione dei principi regolanti la ripartizione dell’onere della prova relativamente ai profili di responsabilità emersi nell’ambito del rapporto commerciale intercorso tra le parti: per ‘massimo scrupolo’ si ribadisce che le locuzioni assertive della
Corte d’appello relative a pregresso debito, assenza di qualsivoglia offerta solutoria, bilancio ingravescente sono state smentite ovvero non sono state oggetto di valutazione da parte del giudice di primo grado, che non aveva svolto alcuna attività istruttoria in proposito, così come il giudice d’appello, e relativamente alle quali RAGIONE_SOCIALE non ha mai fornito alcuna prova.
C) Il quinto motivo denuncia falsa applicazione dell’art. 1565, commi 1 e 2, c.c., errata rilettura delle risultanze processuali: se anche si volesse seguire la tesi della Corte d’appello in relazione all’onere probatorio sancito dall’art. 1565 c.c. per i contratti di somministrazione, i ricorrenti hanno certamente dimostrato che il presunto inadempimento era di lieve entità; la generica contestazione di omesso pagamento era iper-garantita da una fideiussione omnibus a prima richiesta ed è comunque arrivata dopo tre anni di proficuo rapporto commerciale intercorso tra le parti, caratterizzato dall’inoltro di oltre sessanta ordini di merce.
D) Il sesto motivo lamenta la conseguente omessa valutazione della violazione degli obblighi di buona fede e correttezza in ambito commerciale: i gravi errores in iudicando che affliggono la sentenza impugnata hanno indotto la Corte d’appello a tralasciare di considerare i profili connessi agli ineludibili obblighi di buona fede.
I motivi non possono essere accolti alla luce delle considerazioni svolte in relazione al primo e al secondo motivo.
Con il terzo motivo, in particolare, i ricorrenti censurano la parte della sentenza impugnata in cui la Corte d’appello, ad abundantiam , ha osservato che ‘per altro nulla cambia nemmeno laddove si volesse costruire la fattispecie in termini di contratto di fornitura’ (la Corte d’appello usa il termine ‘fornitura’ quale sinonimo di ‘somministrazione’). Si tratta appunto di rilievi svolti ad abundantiam dalla Corte d’appello, che ha basato la propria decisione sulla ratio decidendi di qualificazione dei rapporti
intercorsi tra le parti quali autonomi contratti di compravendita di singoli ordinativi di merci.
Il quarto motivo, a sua volta, è diretto a contestare le osservazioni svolte dal giudice d’appello in relazione al mancato pagamento da parte della società ricorrente e all’escussione della garanzia, osservazioni che come si è già detto sono meramente rafforzative, ma non fanno parte delle questioni sottoposte alla decisione della Corte d’appello.
Il quinto motivo non può essere accolto in quanto, come si è sopra sottolineato, le considerazioni svolte dalla Corte d’appello in relazione al contratto di somministrazione sono da considerarsi ad abundantiam .
Quanto infine al sesto motivo, le censure in esso svolte presuppongono, come riconoscono i ricorrenti, che il rapporto commerciale instaurato tra le parti sia ricostruito nei termini da loro indicati, ossia in modo differente rispetto a quanto è stato ritenuto dalla Corte d’appello, che ha appunto sostenuto che si trattasse di autonomi contratti di compravendita.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in euro 6.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti,
di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi dopo la pubblica udienza, l’8 aprile 2025.
Il Giudice estensore Il Presidente
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