Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20826 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20826 Anno 2024
Presidente: CONDELLO NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6186/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE NOME, in persona del Presidente p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO
(CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente –
e sul ricorso incidentale proposto da:
RAGIONE_SOCIALE NOME, in persona del Presidente p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente incidentale- nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2020/2020, depositata in data 30/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
Con la sentenza n. 8033/2019, il Tribunale di Milano, accogliendo l’opposizione di RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti RAGIONE_SOCIALE, riteneva legittimamente esercitato il rifiuto da parte sua delle cessioni di crediti nonché documentalmente provato il pagamento di una parte consistente delle fatture azionate con il provvedimento monitorio; per l’effetto, revocava il decreto n. 38315/2015 con cui era stato ingiunto all’opponente il pagamento di euro 359.230,13 a favore di RAGIONE_SOCIALE,
affermatasi cessionaria dei crediti vantati da alcuni fornitori della ingiunta per la fornitura di servizi e di prodotti farmaceutici e medicali.
Il giudizio di appello che ne era seguito si è concluso con la sentenza n. 2020/2020 della Corte d’appello di Milano che, in accoglimento parziale dell’impugnazione proposta da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE S.p.a., ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’importo di euro 18.612,57, oltre agli interessi di cui al d.lgs. n. 231/2002 dalla data di scadenza delle singole fatture sino al saldo e agli interessi, nella misura di cui all’art. 1284, 4° comma, cod.civ., sugli interessi scaduti almeno sei mesi prima della data di deposito del decreto ingiuntivo.
Segnatamente, per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte d’appello ha ritenuto che: i) contrariamente a quanto preteso dall’appellante, il rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE ed i fornitori cedenti era da qualificare come di somministrazione e non già come di vendita; ii) legittimamente la RAGIONE_SOCIALE, ente pubblico, sebbene non statale, aveva rifiutato, ai sensi dell’art. 117 del d.lgs. n. 163/2006, applicabile anche ai rapporti di durata qual è la somministrazione per cui è causa, gran parte delle cessioni che le erano state notificate; iii) solo con l’atto di citazione in appello RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto la cessazione nel 2012 del contratto di fornitura stipulato con la RAGIONE_SOCIALE, producendo un documento che avrebbe potuto presentare già nel giudizio di prime cure e che la documentazione allegata dalla RAGIONE_SOCIALE nel giudizio dinanzi al Tribunale smentiva la tesi dell’appellante secondo cui l’esaurimento del rapporto era deducibile dai documenti prodotti dalla controparte; iv) risultava provata la notificazione con esito positivo del rifiuto delle cessione dei crediti di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE; v) la notificazione del rifiuto della cessione del credito di RAGIONE_SOCIALE era avvenuta nel termine di 45 giorni di cui all’art.
117 d.lgs. 163/2006; vi) solo con la comparsa conclusionale in appello la cessionaria aveva dedotto la tardività del rifiuto della cessione del credito di RAGIONE_SOCIALE, adducendo a sostegno il doc. 65 prodotto in primo grado dall’appellata; vii) avendo l’appellante provato l’avvenuta notifica delle restanti cessioni alla RAGIONE_SOCIALE -ad esclusione di quella avente ad oggetto il credito della RAGIONE_SOCIALE che risultava estinto prima della notificazione della cessione – e mancando agli atti la prova della notificazione del rifiuto da parte di quest’ultima, era fondata la pretesa dell’importo di euro 18.612,57; viii) era stata documentalmente provata l’estinzione di alcuni dei crediti azionati con il provvedimento monitorio.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando sei motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, basato su due motivi.
La trattazione dei ricorsi è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
Con il primo motivo è dedotta la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5, cod.proc.civ., ‘in relazione alla qualificazione come somministrazione dei rapporti contrattuali tra la RAGIONE_SOCIALE ed i suoi fornitori che hanno ceduto i crediti a BFF’.
Secondo la ricorrente, la Corte d’appello avrebbe fatto discendere la qualificazione come di somministrazione e non di vendita dei contratti oggetto della cessione dalla circostanza che i rapporti relativi risalissero al 2007 e si fossero protratti fino al 2015; detto elemento è, secondo quanto prospettato, inconferente, perché non
esclude che tra le parti siano intercorsi plurimi contratti di vendita, stante che la pluralità di ordini non è un elemento caratterizzante la somministrazione, né il bisogno reiterato e durevole del somministrando può desumersi dalla durata della relazione commerciale.
La qualificazione sarebbe, in aggiunta, frutto dell’omesso esame di due fatti decisivi: a) l’omessa produzione dei contratti intercorsi tra la RAGIONE_SOCIALE e i suoi fornitori; b) nelle fatture dei fornitori era più volte indicata la causale ‘vendita’.
Il motivo va rigettato.
La qualificazione del contratto consta di due fasi, consistenti, la prima, nella individuazione ed interpretazione della comune volontà dei contraenti, la seconda, nell’inquadramento della fattispecie negoziale nello schema legale paradigmatico corrispondente agli elementi, in precedenza individuati, che ne caratterizzano la esistenza” ( ex multis , cfr. Cass. 7/10/2021, n. 27290). Le operazioni ermeneutiche attinenti alla prima fase costituiscono espressione dell’attività tipica del giudizio di merito, il cui risultato, concretandosi in un accertamento di fatto, non è in termini generali sindacabile in sede di legittimità (salvo che per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 cod.civ. e segg.), mentre “la seconda, concernente l’inquadramento della comune volontà, come appurata, nello schema legale corrispondente, si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo” (ancora Cass. 7/10/2021, n. 27290). Può pertanto trarsi una prima conclusione e cioè che a questa Corte sono rimessi la verifica e il
riscontro dell’esito dell’attività di qualificazione operata dal giudice a quo , proprio sulla scorta della giurisprudenza evocata, secondo cui il sindacato di legittimità può “essere utilmente sollecitato su criteri astratti, generali e tecnici applicati dal giudice di merito ai fini della qualificazione giuridica di un contratto” (cfr. Cass. 25/01/2001, n. 1054, seguita da giurisprudenza conforme; tra le decisioni massimate più recenti cfr. Cass. 4/06/2021, n. 15603).
Così delineato il perimetro del sindaco di legittimità, il Collegio ritiene che la Corte d’appello non sia incorsa in errore in relazione alla individuazione sia della rilevanza qualificante degli elementi di fatto, così come previamente accertati, sia delle implicazioni giuridiche conseguenti, dovendo, infatti, escludersi, alla luce degli uni come delle altre, che il corretto paradigma al quale ricondurre la fattispecie per cui è causa fosse quello del contratto di vendita, rectius: del susseguirsi di più contratti di vendita, come preteso dalla società ricorrente.
A favore di tale conclusione militano le seguenti osservazioni: ai sensi dell’art. 1559 cod.civ., ‘la somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso il corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose. Con tutta evidenza non può negarsi l’esistenza di un collegamento tra i tipi ‘vendita’ e ‘somministrazione’ e tra le rispettive discipline, come dimostrano sia l’analisi storica sia il dato normativo (cfr. in particolare l’art. 1570 cod.civ. che rinvia alle regole che disciplinano il contratto a cui corrispondono le singole prestazioni e che si spiega con il fatto che la somministrazione, a seconda del contratto assunto come elemento determinatore della propria direzione, può corrispondere a diversi tipi: somministrazione per vendita o per locazione, per uso, per consumo, ecc. Se si scorrono i repertori di giurisprudenza ci si avvede che sono soprattutto le disposizioni relative alla vendita ad essere utilizzate: garanzia per i vizi e difetti, determinazione del
prezzo, ecc..). Il contratto per cui è causa non è una vendita e neppure, come pretende la ricorrente, ‘una somma di vendite’, perché ha una causa unitaria ravvisabile nel soddisfacimento del bisogno reiterato o durevole del somministrato. L’elemento che permette di distinguere la somministrazione dalla compravendita, a fronte della pluralità (o della continuatività) delle prestazioni, è, infatti, l’unità del rapporto, nel senso che le singole prestazioni, pur avendo una loro autonomia ed una loro specifica disciplina, trovano fondamento in un unitario contratto, dotato di una causa unitaria e di una particolare disciplina (cfr. Cass. 17/11/1983, n. 6864). La somministrazione ha per oggetto una pluralità di prestazioni (o una prestazione continuativa) in funzione di un bisogno periodico o continuativo, perciò ciò che la distingue dalla vendita è la funzione causale del frazionamento, atteso che le parti non hanno né voluto dividere l’unica prestazione dovuta in più consegne periodiche e/o continuative (ipotesi che ricorre nella vendita a consegne ripartite; a tal proposito, in verità, deve rilevarsi che la ricorrente neppure indirizza il suo sforzo confutativo in tale direzione) né stipulare più contratti di vendita, ma conseguire più prestazioni periodiche o una sola prestazione continuativa in corrispondenza del soddisfacimento di un bisogno durevole della parte destinataria della prestazione stessa.
Ora, la Corte territoriale ha fatto riferimento, per individuare i caratteri della somministrazione, alla continuità dei rapporti contrattuali ed all’esistenza di un bisogno periodico e continuativo della somministranda; il che è in sintonia con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui si verte in tema di somministrazione quando il frazionamento delle consegne è determinato dall’interesse del destinatario, per il soddisfacimento di un suo bisogno che si riproduca periodicamente, così da non poter trovare appagamento nella disponibilità delle cose in unica soluzione (Cass. 4/08/1977, n. 3511). La periodicità e la continuità delle prestazioni
sono state considerate elementi essenziali connotanti il contratto stesso, in funzione di un fabbisogno del somministrato (Cass. 04/07/1991, n. 7380; Cass. 11/07/2011, n. 15189). Nessun elemento conducente è stato addotto dalla ricorrente per confutare efficacemente detta qualificazione, perché gli elementi proposti a p. 26 del ricorso, sub § 2.1, sono utilizzati, a tutto concedere, per accreditare la possibilità di connotarli come non escludenti la ricorrenza di una serie di vendite, ma non per inficiare la qualificazione del contratto operata dalla Corte d’appello.
È appena il caso di aggiungere che è del tutto irrilevante la circostanza che le singole fatture recassero nella causale l’indicazione vendita: il nomen iuris eventualmente attribuito dalle parti allo schema contrattuale di per sé non è rilevante, perché ciò che conta non è l’intenzione soggettiva delle parti sulle conseguenze giuridiche delle volontà espresse, ma l’intento empirico di tale manifestazione di volontà. Questa Corte ha già chiarito che ‘Quando perciò si propone di far richiamo alla volontà delle parti per qualificare il negozio, per volontà delle parti si deve intendere il dato dell’intento empirico che le parti hanno dimostrato di voler conseguire’ (Cass. 19/10/2023, n. 29027 che riprende sul punto Cass., Sez. Un., 31/10/2008, n. 26298).
2) Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Anche ammesso che i contratti con i fornitori fossero di somministrazione, il giudice a qu o avrebbe omesso di accertare se essi erano oppure no ancora in corso; se i rapporti fossero cessati, infatti, il rifiuto opposto dalla RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto essere considerato inefficace.
Il motivo è inammissibile.
A p. 8 dell’impugnata sentenza, la Corte d’appello, rilevato che spettava a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, eccipiente, dimostrare l’esaurimento dei rapporti, ha statuito che ‘l’appellante non ha
fornito, né offerto, validi elementi di prova di segno contrario, idonei cioè a dimostrare l’avvenuto esaurimento dei rapporti in questione’. Tanto basta per escludere che la Corte d’appello sia incorsa nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e ciò a prescindere dal se quello denunciato come omesso sia un fatto rilevante ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ.
Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 cod.proc.civ. in relazione alla cessazione o meno del rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE: sostenendo che dal rifiuto della cessione potesse dedursi che il contratto con RAGIONE_SOCIALE fosse ancora in essere, la Corte d’appello avrebbe contraddetto un fatto, cioè il mutamento da parte della RAGIONE_SOCIALE del fornitore dei servizi di telefonia, risultante dal doc. 134.
Il motivo è infondato.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di motivazione se c’è deve emergere dalla sentenza in sé e per sé considerata e non da elementi rispetto ad essa estrinseci (il documento 135): cfr. Cass., Sez. un., 7/04/2014, n. 8053 e successiva giurisprudenza conforme.
Quand’anche riqualificata come denuncia di omesso esame di un fatto decisivo, rappresentato dall’avvenuto passaggio ad altro operatore telefonico, la censura non potrebbe esse accolta, perché il fatto omesso è stato preso in considerazione dalla Corte d’appello (cfr. p. 10 dell’impugnata sentenza).
E ciò anche senza considerare che la ricorrente non ha soddisfatto le prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ., in quanto, per un verso, omette di riprodurre il contenuto del NUMERO_DOCUMENTO di cui lamenta l’omesso esame e, per altro verso, non lo localizza in questo giudizio di legittimità, siccome impone la consolidata giurisprudenza di questa Corte. Anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, COGNOME
e altri c/ RAGIONE_SOCIALE, la quale ha ribadito, in sintesi, che il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia, (ai p.ti 74 e 75 in motivazione), investendo questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950, la quale ha ritenuto soddisfatte le prescrizioni di cui all’art. 366 comma 1°, n. 6 cod.proc.civ., perché parte ricorrente nell’enucleare i motivi di ricorso, aveva ‘fatto specifico riferimento ai diversi atti e documenti allegati nel giudizio innanzi al Tsap, individuandoli in modo sufficientemente chiaro e nei termini in cui già erano stati richiamati nella sentenza di merito, nonché riportandone alcuni estratti’): requisito che può essere concretamente soddisfatto ‘anche’ fornendo nel ricorso, in ottemperanza dell’art. 369, comma 2°, n. 4 cod.proc.civ., i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda’ (Cass. 19/04/2022, n. 12481).
Con il quarto motivo la ricorrente imputa alla Corte d’appello di aver violato o falsamente applicato ‘norme di diritto in relazione alla prova della ricezione da parte di BFF del rifiuto della cessione dei crediti prodotta quale doc. 35’.
La tesi della ricorrente è che dal doc. 35 non si rinvenga alcun avviso di ricevimento, né una ricevuta di consegna, né qualsivoglia attestazione che provi la ricezione del rifiuto della notificazione.
Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla dichiarata inammissibilità della censura relativa alla tardività del rifiuto della cessione dei crediti, prodotta quale doc. 65.
Il documento 65, comprovante la tardività del rifiuto opposto dalla RAGIONE_SOCIALE, non sarebbe stato prodotto con la comparsa conclusionale; nella comparsa conclusionale in appello sarebbe stato dato atto di un refuso, cioè di aver indicato erroneamente il numero del documento (45 anziché 65).
Con il sesto motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla ritenuta idoneità dei documenti prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE a provare l’adempimento di parte dei crediti azionati.
La Corte d’appello avrebbe ammesso alcuni documenti quelli contrassegnati con i numeri NUMERO_CARTA125-126 -quali prova dell’avvenuto pagamento, ma essi sarebbero ‘una mera silloge di corrispondenze email e di un foglio contenente una tabella formata da soggetto e in tempi ignoti’, come contestato.
I motivi quinto, sesto e settimo sono accomunati dal fatto di essere stati formulati in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6, cod.proc.civ. (cfr. supra § 2) e quindi sono inammissibili.
Per le ragioni esposte, il ricorso principale è infondato.
Ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE
Con il primo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod.civ.
La tesi della fondazione ricorrente è che la Corte d’appello abbia erroneamente applicato l’art. 2697 cod.civ., ponendo a suo carico l’onere di provare i fatti costitutivi del credito azionato emissione della fattura, invio e ricezione della stessa da parte del debitore –
gravandola, in particolare, dell’onere di dimostrare di avere rifiutato tempestivamente una fattura mai ricevuta.
Con il secondo motivo è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo, rappresentato dalla mancata ricezione delle fatture oggetto di cessione.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE lamenta che la Corte d’appello non abbia esaminato la circostanza ‘che i crediti portati da fatture mai ricevute dalla RAGIONE_SOCIALE non potevano formare oggetto di rifiuto delle successive cessioni’ e che si sia limitata ‘ad accertare un fatto successivo, ossia il mancato rifiuto delle cessioni di credito all’interno delle quali erano ricomprese le fatture mai ricevute dalla RAGIONE_SOCIALE, senza esaminare se BFF avesse provato l’esistenza del credito fatto valere, fornendo la prova della ricezione delle fatture da parte della RAGIONE_SOCIALE‘.
Entrambi i motivi del ricorso incidentale, che possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
Non è stata colta e quindi non è stata efficacemente confutata la ratio decidendi della sentenza impugnata. A p. 12 si legge, infatti, che, ‘contrariamente a quanto sostenuto dall’appellata, RAGIONE_SOCIALE ha tempestivamente versato in causa la documentazione idonea a dimostrare l’avvenuta notifica di tali cessioni alla RAGIONE_SOCIALE (si vedano i docc. 9, 16, 21, 26, 32 prodotti in primo grado da RAGIONE_SOCIALE)’.
In altri termini, le censure della ricorrente trascurano il fatto che la Corte d’appello ha ritenuto dimostrata l’avvenuta notificazione delle cessioni.
Pertanto, il ricorso incidentale è inammissibile.
Data la reciproca soccombenza, il Collegio dispone la compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra ricorrente principale e ricorrente incidentale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità tra ricorrente principale e ricorrente incidentale.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, da corrispondere all’ufficio del merito competente, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile