Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33632 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33632 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
PASCIPASCOLO O VENDITA A CAMPO DI FORAGGIO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3029/2021 R.G. proposto da NOME COGNOME NOMECOGNOME IN PROPRIO E QUALE RAPPRESENTANTE DELLA COMUNIONE COMPOSTA DA NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME E NOME COGNOME NOMECOGNOME NONCHE’ NOME COGNOME NOME COGNOME rappresentate e difese dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME NOME COGNOME NOME
Avverso la sentenza n. 732/2020 della CORTE DI APPELLO DI ANCONA, depositata il giorno 20 luglio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1° ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME richiese giudizialmente la condanna di NOME COGNOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME alla consegna del foraggio, eventualmente mediante pascolo diretto, fino al termine dell’annata agraria 2004/2005 o, in via subordinata, al risarcimento del danno; eguali domande rivolse nei riguardi di NOME COGNOME ma limitatamente ai fondi da questi condotti in affitto; nei confronti di NOME COGNOME formulò domanda, subordinata al mancato accoglimento delle altre, di risarcimento del danno.
In punto di fatto, l’attrice rappresentò che:
) in data 1° settembre 2002, aveva stipulato con NOME COGNOME quest’ultimo quale amministratore dell’azienda agraria COGNOME NOME COGNOME, un contratto di vendita « a campo » di foraggio di erba medica e melitolo, coltivato su terreni di proprietà -sia in via esclusiva che in comunione tra loro -di NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per la durata di tre annate agrarie;
-) regolarmente eseguito il contratto fino all’agosto 2003 (con apprensione del foraggio mediante pascolo di greggi sui fondi), nel settembre 2003 un appezzamento venne arato da NOME COGNOME al quale, con contratti successivi a quello di vendita del foraggio, larga parte dei terreni (circa trentacinque ettari su cinquanta totali) era stata concessa in affitto, con cessione del contratto di vendita di erbe.
Nel resistere, NOME e NOME COGNOME eccepirono, tra l’altro, il difetto di potere rappresentativo di NOME COGNOME e
spiegarono verso l’attrice domanda riconvenzionale di risarcimento del danno per il foraggio appreso illegittimamente, in via gradata di risoluzione del contratto di vendita delle erbe e di risarcimento del danno, nonché, in via di ulteriore subordine ed in caso di eventuale loro condanna, domanda di condanna di NOME COGNOME alla manleva.
NOME COGNOME propose domanda riconvenzionale di condanna delle Milesi COGNOME a manlevarlo da ogni conseguenza pregiudizievole.
NOME COGNOME invocò il rigetto delle avverse domande.
L’adito Tribunale di Macerata, dopo aver istruito la causa (anche con esperimento di consulenza tecnica di ufficio), con sentenza n. 1096/2015 emessa il giorno 11 novembre 2015, ravvisando la materia del contendere in un contratto di pascipascolo, declinò la propria competenza in favore della Sezione specializzata agraria dello stesso Ufficio giudiziario, compensando le spese di lite tra le parti.
Riassumendo la controversia, NOME COGNOME limitò le proprie domande, abbandonando quella di adempimento contrattuale alla consegna del foraggio ed insistendo per le richieste risarcitorie.
Queste ultime vennero rigettate dal Tribunale di Macerata -Sezione specializzata agraria con la sentenza n. 1004/2017 del 30 ottobre 2017, sul rilievo della mancata dimostrazione dell’ammontare del danno da mancata raccolta del foraggio.
Pronunciando sulle contrapposte impugnazioni sollevate dalle parti (in via principale, da NOME COGNOME; in via riconvenzionale -onde ottenere declaratoria di invalidità del contratto di vendita del foraggio per carenza di potere rappresentativo in capo a NOME COGNOME – da NOME e NOME COGNOME COGNOME; in riconvenzionale condizionata, da NOME COGNOME a fini di manleva in eventualità di accoglimento della domanda attorea), la decisione in epigrafe indicata ha condannato NOME NOME, NOME e NOME COGNOME, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore di NOME COGNOME ed alla
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refusione delle spese dei vari gradi di giudizio, ponendo a carico delle soccombenti anche « gli oneri della C.T.U. del primo grado di giudizio ».
Ricorrono uno actu per cassazione NOME COGNOME in proprio e quale rappresentante della comunione composta da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché NOME COGNOME affidandosi a quattro motivi.
Resiste, con controricorso, NOME COGNOME.
Parte ricorrente deposita memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare, va dichiarato inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME quale rappresentante della « comunione relativa al fondo distinto al catasto terreni del Comune di Treia al fg. 3, p.lle 81, 90, 128, 129 e 133, composta » dalla stessa NOME COGNOME, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME.
Come riportato nella decisione qui gravata, sulla capacità di essere parte di detta comunione si è espressa, in senso negativo (sul rilievo che la stessa fosse priva di soggettività giuridica) la sentenza declinatoria di competenza resa dal Tribunale di Macerata all’esito del giudizio di primo grado: siffatta statuizione, in quanto non impugnata con il rimedio dell’appello, è divenuta cosa giudicata.
Tanto esclude la ammissibilità dell’impugnazione di legittimità oggi dispiegata dalla presunta rappresentante di detta comunione.
Va invece scrutinato nel merito il ricorso per cassazione proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME in proprio: esso si articola in quattro motivi, in appresso esaminati.
Il primo motivo denuncia « violazione dell’art. 1223 c.c. e dell’art. 132, secondo comma, num. 4, c.p.c. (in relazione all’art. 360, primo comma, numm. 3 e 4, c.p.c.) per aver erroneamente individuato il lucro cessante risarcibile e per aver affermato che il contratto datato
01/09/02, qualificato ‘pascipascolo’ avrebbe consentito l’apprensione del foraggio anche senza pascolamento ».
Le ricorrenti criticano la sentenza gravata sotto un duplice profilo:
(i) per aver liquidato il danno alla stregua del « risultato della sottrazione dei costi di raccolta dal valore della presunta produzione totale del foraggio »: ma la quantità di foraggio che la COGNOME avrebbe avuto diritto di raccogliere era impossibile da determinare, per mancata indicazione dei dati relativi al numero ed alla razza dei capi di bestiame da introdurre nel fondo (non avendo peraltro la COGNOME disponibilità di bestiame – poiché abbattuto -nelle annate agrarie 2003/2004 e 2004/2005), parametri essenziali per individuare la quantità di foraggio venduto nel contratto di pascipascolo;
(ii) per aver affermato che « la vendita del foraggio a campo resta tale anche senza l’apprensione mediante pascolo », in contraddizione con la definizione come pascipascolo (contratto nel quale la raccolta delle erbe avviene mediante l’introduzione di animali nel fondo altrui) attribuita al negozio giuridico intercorso tra le parti.
2.1. Il motivo è, sotto i due aspetti illustrati, infondato.
Giova, al riguardo, rimarcare che la qualificazione in termini di « pascipascolo, ossia contratto di vendita a campo del foraggio » del contratto oggetto del contendere è stata operata dalla Corte territoriale al fine di escludere la riconduzione del rapporto sub specie di affitto di fondo pascolativo, ovvero allo scopo di escludere « un affidamento dei terreni a pascolo », cioè a dire la consegna dei fondi alla COGNOME, negando così che quest’ultima fosse stata immessa nel diretto godimento dei terreni per ivi compiere un’attività di coltivazione o di stimolazione della produzione dell’erba.
Posto così (ed alle specificate finalità) il discrimen con l’affitto, la Corte dorica ha ritenuto non eccentrica rispetto alla figura contrattuale ravvisata la facoltà – alternativa alla raccolta mediante conduzione
degli ovini sui fondi – di apprensione diretta del foraggio, facoltà che ha ritenuto riconosciuta alla parte acquirente dal concreto regolamento d’interessi intercorso tra i contraenti.
Si tratta, allora, di una valutazione condotta non sulla scorta delle astratte e dogmatiche connotazioni del contratto di pascipascolo (sulle quali, invece, si incentra l’intera argomentazione delle ricorrenti) ma in base ad una indagine sulla concreta ed effettiva conformazione della vicenda negoziale controversa: una vendita di foraggio a campo nella quale, per volontà delle parti, l’ acquirente è abilitato ad apprendere l’erba facendo pascolare il gregge o, su sua opzione, raccoglie rla con altro mezzo, da ciò nessuna alterazione derivando per la posizione del venditore, obbligato, nell’un modo o nell’altro, alla consegna dell’erba.
Logicamente coerente con questa premessa è la ritenuta irrilevanza della disponibilità, da parte dell’acquirente, di capi di bestiame da introdurre nei fondi, potendo avvenire l’apprensione del foraggio anche senza il pascolo di animali: e logicamente conseguenziale considerare inadempiente la parte venditrice, per non aver più consentito la raccolta dell’erba sui terreni, affittati ad altra persona.
Così ripercorsa la trama motivazionale della decisione gravata, essa, per un verso, non risulta inficiata da alcuna contraddittorietà e, per altro verso, resiste alle critiche rivolte dalle odierne impugnanti, tutte argomentate su un concetto astratto di pascipascolo (sul quale, da ultimo, cfr. Cass. 10/04/2024, n. 9725), non già sulla vicenda contrattuale concretamente ricostruita dal giudice territoriale.
Il secondo motivo denuncia « violazione dell’art. 336 c.p.c. (sul giudicato interno), degli artt. 112 e 346 c.p.c. (sulla corrispondenza tra chiesto -da determinarsi anche ai sensi dell’art. 346 c.p.c. e pronunciato) e dell’art. 2697 c.c. (sull’onere della prova), per aver liquidato il danno da inadempimento computandovi anche quello da mancata raccolta del foraggio mediante pascolo pur essendosi formato
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il giudicato interno sulla impossibilità di calcolarlo, e pur in mancanza sia di richiesta in tal senso dell’appellante sia dei dati necessari per la liquidazione (in relazione all’art. 360, primo comma, numm. 3 e 4, c.p.c.) ».
Assume, in sintesi, parte impugnante che « nel suo appello la COGNOME non ha mai chiesto che tra i danni da essa subiti si includesse quello da mancata raccolta del foraggio mediante pascolo » e che invece « la Corte, preso atto dell’affermazione del c.t.u. secondo cui era impossibile raccogliere il foraggio invernale con mezzi meccanici avrebbe dovuto considerare che non era possibile nemmeno liquidare il danno da mancata raccolta del foraggio invernale mediante pascolo ».
La doglianza è inammissibile.
3.1. In ordine ai pretesi errores in procedendo , la loro deduzione, in astratto legittimante l’esercizio ad opera del giudice di legittimità del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, da valutarsi alla luce del principio di specificità (altrimenti detto « di autonomia ») sancito, a pena di inammissibilità del ricorso, dalle prescrizioni dettate dall’art. 366, primo comma, numm. 4 e 6, cod. proc. civ., declinate, nella loro concreta operatività, alla stregua delle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME RAGIONE_SOCIALE c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza.
Siffatti criteri, come scolpiti dal giudice sovranazionale, sono realizzati con la trascrizione – essenziale e per le parti d’interesse -degli atti e dei documenti richiamati (dei quali deve invece escludersi la necessità di una integrale riproduzione), in guisa da contemperare il fine legittimo di semplificare (e non già pregiudicare) lo scrutinio del giudice di legittimità e, allo stesso tempo, garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la
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funzione nomofilattica della Corte ( ex multis, Cass. 03/03/2023, n. 6524; Cass. 14/03/2022, n. 8117; Cass. 04/02/2022, n. 3612).
L’applicazione di detti princìpi nel caso in esame esigeva, per la parte ricorrente, l’adeguata illustrazione, nel ricorso di adizione di questa Corte, non soltanto della motivazione della sentenza di prime cure ma anche del contenuto dell’avverso atto di appello: di questo, tuttavia, il ricorso riproduce soltanto disorganici e decontestualizzati stralci, mancanti – e la considerazione è dirimente – delle conclusioni rassegnate e delle domande avanzate al giudice d’appello nonché di una compiuta (o quantomeno sufficiente) descrizione della tipologia dei pregiudizi di cui si invocava il ristoro.
La evidenziata deficienza espositiva non consente a questa Corte di poter vagliare la sussistenza dei prospettati vizi processuali.
3.2. Del pari inammissibile la contestazione relativa alla asserita inosservanza dell’art. 2697 c.c..
Basti rammentare, al riguardo, che la violazione di siffatta norma abilita alla proposizione del ricorso per cassazione soltanto nell ‘ ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l ‘ onere della prova ad una parte diversa da quella sui quali esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni: Cass. 23/10/2018, n. 26769; Cass., Sez. U, 05/08/2016, n. 16598, in motivazione espressa).
Ciò posto, chiara si appalesa la disomogeneità della censura in vaglio, in ultima analisi tesa a sollecitare una (non consentita in questa sede) rivalutazione delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio espletata nel corso del giudizio di merito.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. per avere la Corte d’appello « proceduto alla liquidazione del danno in mancanza dei dati necessari alla sua corretta liquidazione », in specie delle informazioni denunciate come mancanti dal consulente
tecnico di ufficio nominato in grado di appello, sicché la relazione da quest’ultimo elaborata (e poi recepita dalla gravata sentenza) era contraddittoria e comunque inidonea a stimare il danno lamentato.
4.1. Anche questo motivo è inammissibile, per più ragioni.
Innanzitutto, quanto alla supposta trasgressione dell’art. 2697 c.c., per le considerazioni testé estrinsecate, al § 3.2..
Il motivo non rispetta poi i criteri con i quali ed i limiti nei quali è possibile dispiegare un’impugnazione di legittimità per violazione dell’art. 115 c.p.c., esperibile, per fermo orientamento di legittimità, solo qualora il giudice, in espressa o implicita contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti o mai acquisite in giudizio oppure non introdotte dalle parti ma disposte di propria iniziativa fuori dai poteri istruttori officiosi riconosciutigli (tra le tantissime, v. Cass. 22/07/2024, n. 20428; Cass. 26/04/2022, n. 12971; Cass. 01/03/2022, n. 6774; Cass., Sez. U, 30/09/2020, n. 20867; Cass. 23/10/2018, n. 26769).
Da ultimo – ed al fondo – la contestazione mossa dalle ricorrenti si concreta (e, ad un tempo, si esaurisce) nel richiedere al giudice di legittimità un riesame del contenuto dell’elaborato peritale del consulente officioso da condurre alla stregua di imprescindibilmente necessari accertamenti di fatto: attività del tutto estranee, per natura e per funzione, al giudizio di legittimità.
Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 91 e 336 c.p.c. per avere la impugnata sentenza « posto a carico delle ricorrenti le spese della C.T.U. disposta nel giudizio R.G. n. 1203/04 del Tribunale di Macerata nonostante che questo si fosse concluso con una sentenza ci dichiarazione di incompetenza che compensò le spese di lite, e che peraltro l’ appellante ha ammesso di non aver mai impugnato ».
5.1. Il motivo è fondato.
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Nel regolare le spese processuali dell’intero giudizio sulla scorta del complessivo esito della lite, la sentenza impugnata ha tra l’altro -posto a carico della COGNOME « gli oneri della C.T.U. del giudizio di primo grado »: locuzione, in tutta evidenza, riferita agli esborsi per la consulenza tecnica officiosa esperita nel corso del giudizio in origine intentato innanzi il Tribunale di Macerata in composizione monocratica, dacché nella prosecuzione di detta controversia di prime cure celebrata innanzi la Sezione specializzata agraria del medesimo Ufficio non è stata svolta alcuna altra consulenza tecnica di ufficio.
Tanto precisato, la statuizione in parola non è conforme a diritto. Definendo il giudizio innanzi a sé con declinatoria di competenza, il giudice monocratico del Tribunale di Macerata (con la sentenza n. 1096/2015) provvide sulle spese di lite, compensandole per intero tra le parti, senza differenziare la disciplina degli esborsi per la consulenza tecnica di ufficio, ricompresi perciò nella disposta compensazione.
Avverso siffatta disciplina delle spese (legittimamente pronunciata, dacché il giudice che si dichiara incompetente è tenuto a provvedere sulle spese della fase del giudizio celebrata davanti a lui: ex aliis, Cass. 07/02/2017, n. 3122) non risulta formulata impugnazione (da muovere in parte qua con il rimedio dell’appello: Cass. 08/06/2016, n. 11764; Cass. 20/10/2011, n. 21697): da ciò deriva che il giudice innanzi al quale la causa venne riassunta doveva regolare unicamente le spese dei gradi di giudizio successivi alla riassunzione.
Accolto il motivo, va cassata la sentenza in relazione allo stesso e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, va adottata decisione nel merito con annullamento della pronuncia di condanna delle RAGIONE_SOCIALE al pagamento degli oneri della consulenza tecnica di ufficio svolta nel giudizio R.G. 1203/2004, fermo quanto disposto per il resto dalla sentenza impugnata.
La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibili il secondo ed il terzo motivo; accoglie il quarto motivo, cassa la sentenza limitatamente al motivo accolto e, decidendo nel merito, annulla la condanna di NOME COGNOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento degli esborsi relativi alla c.t.u. svolta nel primo grado di giudizio, ferma ogni altra statuizione disposta nella sentenza impugnata.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione