Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25094 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25094 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15337-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOME
– intimata –
avverso la sentenza n. 1572/2019 della CORTE DI APPELLO di L’AQUILA , depositata il 03/10/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 19.3.2013 COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME, e COGNOME NOME evocavano in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Sulmona, chiedendo la risoluzione di due contratti di mantenimento stipulati il 5.11.2009 ed il 1.12.2009 a fronte dei quali la COGNOME si era impegnata a prestare assistenza ai coniugi NOME COGNOME, poi deceduto, e NOME COGNOME a fronte della cessione della proprietà di alcuni immobili. Gli attori contestavano alla convenuta l’inadempimento dell’obbligo di assistenza e ne chiedevano la condanna alla restituzione dei cespiti ricevuti in forza dei contratti di cui anzidetto.
Nella resistenza della convenuta il Tribunale, con sentenza n. 220/2015, accoglieva la domanda.
Con la sentenza impugnata, n. 1572/2019, la Corte di Appello di L’Aquila rigettava il gravame proposto dall’originaria attrice avverso la decisione di prime cure, confermandola.
Propone ricorso per la cassazione della pronuncia di secondo grado COGNOME NOME, affidandosi a cinque motivi. Il ricorso è stato notificato a COGNOME NOME e COGNOME NOME, anche quali eredi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, deceduti in corso di causa.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
COGNOME NOME, intimata, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
Con istanza del 12.5.2023 la parte ricorrente, dopo aver ricevuto la comunicazione della proposta di decisione ai sensi di quanto previsto dall’art. 380-bis c.p.c., ha chiesto la decisione del ricorso.
Il ricorso è stato chiamato all’adunanza camerale del 6.12.2023, prima della quale la parte ricorrente ha depositato istanza di ricusazione del consigliere COGNOME, in quanto redattore della proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e dunque incompatibile a prender parte al collegio incaricato di decidere il ricorso in camera di consiglio, a seguito della presentazione, da parte dell’interessato, di richiesta di decisione.
La predetta istanza di ricusazione è stata, in quella stessa data, rinviata a nuovo ruolo con ordinanza interlocutoria, da altro collegio non composto dal consigliere ricusato, in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione della predetta incompatibilità.
A seguito della decisione assunta dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 9661/2024, con la quale è stata esclusa la sussistenza di un’ipotesi di incompatibilità (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 10/04/2024, Rv. 670667), l’istanza di ricusazione, nuovamente fissata per esser trattata nell’adunanza camerale dell’8.5.2024, è stata rigettata con ordinanza n. 13263/2024.
Il ricorso è stato quindi nuovamente fissato all’odierna adunanza camerale, in prossimità della quale la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1175, 1176, 1218 e 1220 c.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la COGNOME fosse consapevole del comportamento del vitaliziato COGNOME NOME, che dunque aveva accettato all’atto della stipulazione dei contratti di cui è causa, senza
considerare che nessuna disposizione contenuta in questi ultimi fa menzione di tale specifica circostanza. La Corte distrettuale, dunque, non avrebbe tenuto conto che le bizzarrie comportamentali del COGNOME, peggiorate nel corso del tempo, avevano di fatto precluso alla odierna ricorrente di poter assicurare l’adempimento delle prestazioni desunte nei due contratti di vitalizio anzidetti. Infine, il giudice di appello non avrebbe dato rilievo alla comunicazione scritta con la quale la COGNOME si era dichiarata disponibile a riprendere l’opera di assistenza prevista dai detti contratti, ove le condotte del COGNOME fossero cessate.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1218 e 1453 c.c., perché la Corte territoriale non avrebbe valorizzato il fatto che la COGNOME aveva reiteratamente dichiarato di essere pronta a riprendere a svolgere la prestazione di assistenza. Di conseguenza, i due contratti oggetto di causa non avrebbero potuto esser dichiarati risolti per inadempimento della vitaliziante.
Con il terzo motivo, la ricorrente si duole della violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte abruzzese avrebbe erroneamente valutato le risultanze istruttorie, ritenendo dimostrati alcuni fatti che in realtà non trovano alcun riscontro nel materiale probatorio acquisito agli atti del giudizio. Inoltre, la Corte di merito avrebbe erroneamente ricostruito le dichiarazioni di alcuni testimoni, senza valutarne il coinvolgimento nella vicenda e dunque l’interesse alla causa.
Con il quarto motivo, la ricorrente contesta la violazione dell’art. 167 c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente condiviso la statuizione del Tribunale, che aveva configurato la domanda della COGNOME di restituzione delle prestazioni già rese in adempimento dei due contratti di cui è causa sub specie di domanda riconvenzionale
subordinata, ritenendola tardiva perché proposta oltre i termini di cui all’art. 167 c.p.c., senza considerare che la restituzione costituisce conseguenza automatica della risoluzione del rapporto in forza del quale la prestazione era stata resa.
Con il quinto ed ultimo motivo, infine, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 13, comma 1-quater, del D. Lgs. n. 115 del 2002, perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente posto a carico della COGNOME un ulteriore importo corrispondente a quello dovuto a titolo di contributo unificato per l’impugnazione, nonostante avesse affermato la fondatezza delle doglianze con le quali la medesima si era doluta, in seconde cure, del mancato esame delle cause dell’inadempimento da parte del Tribunale.
La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c. è del seguente specifico tenore: ‘INAMMISSIBILITÀ e/o MANIFESTA INFONDATEZZA del ricorso avverso pronuncia di accoglimento della domanda di risoluzione per inadempimento di contratto di vitalizio (doppia conforme).
Primo e secondo motivo : inammissibili, o comunque manifestamente infondati, in quanto con essi la ricorrente lamenta che la Corte di Appello non abbia tenuto conto delle condotte di prevaricazione poste in essere da uno dei vitalizianti, che, sole avevano giustificato l’interruzione momentanea delle prestazioni di assistenza, e del fatto che, comunque, la ricorrente aveva offerto reiteratamente di riprendere le dette prestazioni.
Terzo motivo : inammissibile, o comunque manifestamente infondato, in quanto attinge la motivazione resa dalla Corte distrettuale a sostegno della ricostruzione del fatto e delle prove.
Tutte e tre le censure propongono una lettura alternativa del fatto e delle risultanze istruttorie, rispetto a quanto ritenuto dal giudice di
merito, e non tengono conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Quarto motivo : inammissibile, o comunque manifestamente infondato, perché attinge la statuizione con la quale la Corte di Appello, confermando la sentenza di prime cure, ha ritenuto che la richiesta di restituzione delle prestazioni eseguite dalla vitaliziante costituisse domanda riconvenzionale subordinata, e che essa fosse stata tardivamente proposta, oltre il termine di cui all’art. 167 c.p.c. La ricorrente sostiene, a contrario, che la restituzione costituirebbe conseguenza automatica della risoluzione del rapporto contrattuale.
In realtà, la risoluzione per inadempimento produce un effetto liberatorio ex nunc rispetto alle prestazioni da eseguire ed un effetto recuperatorio ex tunc rispetto a quelle già eseguite, ma con l’eccezione dei contratti ad esecuzione continuata o periodica (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4604 del 22/02/2008, Rv. 601804), tra i quali va inquadrato il vitalizio (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2419 del 14/04/1984, Rv. 434451). Ne consegue la correttezza della statuizione attinta dal motivo in esame.
Quinto motivo : inammissibile, o comunque manifestamente infondato, poiché con esso si contesta la statuizione con la quale, a fronte del rigetto dell’appello, l’appellante, odierna ricorrente, è stata condannata al pagamento del doppio del contributo unificato: si tratta, invero, di conseguenza prevista ope legis per il caso di rigetto dell’impugnazione’.
Il Collegio condivide il contenuto della proposta di decisione.
La memoria depositata dalla parte ricorrente non offre argomenti ulteriori rispetto ai motivi del ricorso, dei quali è meramente riproduttiva.
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c.- il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Con riferimento all’applicazione dell’art. 96 c.p.c. va data continuità al principio secondo cui ‘In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c.- codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché non attenersi ad una valutazione del proponente poi confermata nella decisione definitiva lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente’ (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023, Rv. 668909).
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.900 per compensi,
oltre spese forfettarie nella misura del 15%, iva, cassa avvocati, ed agli esborsi, liquidati in € 200 con accessori tutti come per legge.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 commi 3° e 4° c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al pagamento della somma di € 3.000 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda