Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9834 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9834 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16454/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME.
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME. -controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 891/2021 depositata il 18/03/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/03/2024
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Nell’anno 2007 RAGIONE_SOCIALE, successivamente incorporata da RAGIONE_SOCIALE, stipulava con RAGIONE_SOCIALE due contratti di franchising in relazione a due supermercati in Agrate Brianza ed Azzano San Paolo.
Successivamente lamentava che, avendo assunto la gestione diretta di un supermercato (ex Billa) in Gorgonzola ed avendo aperto un altro supermercato in Bellusco, la RAGIONE_SOCIALE stesse svolgendo illecita attività concorrenziale con effetti pregiudizievoli per i punti vendita di Agrate e di Azzano; GS rispondeva a tale comunicazione di NOME respingendo qualsiasi addebito.
Nell’anno 2015 NOME comunicava la risoluzione dei due contratti di franchising in corso, lamentando concorrenza sleale e sviamento di clientela da parte di RAGIONE_SOCIALE, la quale comunicava a sua volta a NOME, che aveva intanto pubblicizzato il passaggio al marchio Conad, che non intendeva liberarla dagli obblighi contrattuali e la invitava al corretto adempimento.
Pertanto, GS conveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE, poi incorporata in RAGIONE_SOCIALE, avanti al Tribunale di Milano perché fosse accertata e dichiarata l’illegittimità della risoluzione dei due contratti di franchising stipulati inter partes relativi ai punti vendita di Azzano e di Agrate, e fosse accertato e dichiarato, invece, l’inadempimento di non scarsa importanza di RAGIONE_SOCIALE alle obbligazioni in tali scaturenti contratti contenute, e, per l’effetto, accertare e dichiarare che i contratti si erano risolti ex art. 1453 cod. civ. per fatto e colpa di NOME, con conseguente
condanna di quest’ultima a pagare, a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante, la somma di euro 1.192.303, oltre agli interessi dalla data della domanda fino al saldo, e, a titolo di risarcimento del danno emergente, la somma da determinare in corso di causa, all’esito di apposita espletanda CTU, o, in subordine, la somma da liquidare ex art. 1226 cod. civ.
Si costituiva resistendo NOME, in via riconvenzionale chiedendo l’accertamento degli inadempimenti e della condotta di concorrenza sleale di GS e per l’effetto di risolvere ovvero di dichiarare nulli i contratti di franchising, nonché di condannarla, ex art. 2598, n. 2 e n. 3 cod. civ. ed ex art. 2043 cod. civ. al risarcimento del danno patito, nella misura da quantificarsi in corso di causa.
2.1. Con sentenza n. 7693/2019 del 30 luglio 2019 il Tribunale di Milano rigettava sia le domande di parte attrice sia le domande riconvenzionali di parte convenuta.
Avverso tale sentenza proponeva appello RAGIONE_SOCIALE e si costituiva, resistendo al gravame, RAGIONE_SOCIALE, quale incorporante RAGIONE_SOCIALE
3.1. Con sentenza n. 891/2021 del 18 marzo 2021 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava risolti i due contratti di franchising stipulati inter partes per grave inadempimento di RAGIONE_SOCIALE; condannava RAGIONE_SOCIALE, nella sua qualità di incorporante di RAGIONE_SOCIALE, a risarcire il danno subito da RAGIONE_SOCIALE
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione di detta sentenza, affidato a undici motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, anche proponendo ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi.
Con controricorso ex art. 371, comma 4, cod. proc. civ. NOME ha replicato al ricorso incidentale condizionato di GS.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza
camerale ai sensi dell’art. 380 -bis
.1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Parte resistente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1456, comma 2, e 1362 e ss. cod. civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ.
Lamenta che erroneamente la corte territoriale ha escluso che la comunicazione di NOME del 2015 potesse qualificarsi come dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, facendo mal governo del disposto dell’art. 1456 cod. civ.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1370 e 1371 e ss. cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Lamenta che la corte non ha ritenuto la clausola risolutiva espressa, di cui all’art. 14 del contratto di franchising, estensibile anche all’affiliato.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1363 e 1367 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ.
Lamenta che la corte non ha ritenuto violato da parte dell’affiliante l’obbligo contrattuale previsto alla clausola 3.1.2 lett. c) del contratto (rendere partecipe l’affiliato del know how ), anche con motivazione che viola il n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.), violazione e falsa applicazione (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. con riferimento al doc. 15 di
contro
parte e nullità della sentenza per motivazione manifestamente illogica, oggettivamente incomprensibile, e contraddittoria (art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) nella parte in cui ha affermato che ‘la campagna promozionale riguardante esclusivamente i nuovi punti vendita … ha avuto la durata limitata di due settimane’.
Lamenta che la corte non ha tenuto conto che la campagna promozionale sui nuovi punti vendita, lungi dal durare solo due settimane, è sostanzialmente durata per circa due mesi.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 112, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.; nullità della sentenza ex n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ., per motivazione manifestamente illogica, oggettivamente incomprensibile e contraddittoria o del procedimento.
Censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha affermato che ‘rileva il periodo in cui i buoni sconto sono stati concessi e non certo il giorno fino al quale tali buoni, già acquisiti per una spesa fatta in precedenza avrebbero potuto essere incassati’.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ. e nullità della sentenza per omessa pronuncia o del procedimento ex n. 4 art. 360 cod. proc. civ.
Lamenta che la corte avrebbe disapplicato il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto di franchising, omettendo di considerare le concrete modalità del comportamento di GS nella conduzione della campagna promozionale dei nuovi punti vendita.
Con il settimo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ.
Lamenta che la corte ha ritenuto ‘derogabile’ il principio di
buona fede nell’esecuzione del contratto.
Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della legge 129/2004, artt. 1, 3, comma 4, lett. a) e 4, comma 1, lett. d) ed e), ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ.
Lamenta che la corte non ha ritenuto compreso tra gli obblighi dell’affiliante quello di assicurare un minimo grado di ‘protezione territoriale’ all’affiliato.
Con il nono motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ.
Lamenta che la corte di merito ha erroneamente escluso che l’affiliato avesse un obbligo di approvvigionamento presso l’affiliante.
Con il decimo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., nonché violazione ex n. 4 art. 360 cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini della liquidazione del danno da lucro cessante, ha applicato il margine del 9,77% soltanto dedotto da NOME e sempre contestato da NOME.
Con l’undicesimo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4, cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per omessa e contraddittoria motivazione nella parte in cui ha quantificato i vari costi da portare in detrazione.
Il primo motivo è inammissibile.
Anzitutto perché non risulta correlato alla motivazione dell’impugnata sentenza, che parla di vera e propria
‘insussistenza della clausola’ (v. p. 15 della sentenza), rilevando che all’art. 14 del contratto di franchising è prevista una clausola risolutiva espressa unicamente a favore del franchisor e non già a favore del franchisee.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, per un verso, ‘il motivo di impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto di impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, poiché per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto di impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere’ (Cass., 22/04/2020, n. 8036).
Inoltre, il motivo viene dedotto in violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., dal momento che neppure riproduce o trascrive il testo della invocata clausola e non pone questa Corte in condizione di comprendere l’oggetto della controversia ed il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa (v. Cass., 04/03/2022, n. 7186; Cass., 19/04/2022, n. 12481, secondo cui il disposto di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., è compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza, ritenere rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il
contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati).
13. Il secondo motivo è inammissibile.
Al pari del primo, è dedotto senza riprodurre il contenuto della clausola, con conseguente violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.
Inoltre invoca le regole del codice civile in tema di interpretazione dei contratti senza tenere conto del costante orientamento di questa Corte, secondo cui la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (v., tra le tante, Cass. 28/11/2017, n. 28319; Cass., 27/06/2018, n. 16987); come detto in sede di scrutinio del primo motivo, la sentenza impugnata ha congruamente motivato affermando che il tenore letterale della clausola riserva la facoltà di invocazione della risoluzione soltanto all’affiliante.
14. Il terzo motivo è inammissibile.
Anche questo motivo, in parte riproduttivo delle stesse censure formulate con quello precedente, in relazione alla prospettata violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, risulta nella sostanza direttamente fattuale, nel senso che si limita a ricostruzioni alternative sul piano del merito.
Inoltre, sia in relazione al dedotto vizio di violazione di legge, sia in relazione alla censura di illogicità e contraddittorietà della motivazione, il motivo parte dal presupposto per cui la corte di merito ‘ha omesso di trascrivere la prima parte dell’art. 3.1.2 lett. c)’, che farebbe riferimento all’obbligo del franchisee di rendere partecipe il franchisor del proprio know how: di tale questione non vi è specifico riferimento nella sentenza impugnata, ma, in ossequio al principio codificato all’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., la ricorrente avrebbe dovuto dar conto del se, dove e quando, nel contesto processuale, essa stessa l’aveva sollevata (Cass., 02/11/2018, n. 28060; Cass., 22069/2015).
Infine, il vizio non è stato ritualmente denunciato, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., dato che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, al fine di poter dedurre il vizio di motivazione apparente, anche come irriducibile contraddittorietà della stessa, occorre che il vizio “emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata” (Cass., Sez. un., 07/04/2014, n. 8053), vale a dire “prescindendo dal confronto con le risultanze processuali” (così, tra le molte, Cass., 20/06/2018, n. NUMERO_DOCUMENTO, non massimata).
15. In disparte il non marginale rilievo per cui propone, in maniera cumulativa e ‘mista’, i vizi di violazione del n. 3, del n. 4 e del n. 5 art. 360 cod. proc. civ. senza che vengano dedotte separatamente le varie doglianze in relazione ai diversi vizi prospettati (v. Cass., Sez. un., 06/05/2015, n. 9100), il quarto motivo è inammissibile, al pari del quinto motivo, insieme al
quale può essere scrutinato, data la stretta connessione.
Sia il quarto sia il quinto motivo, infatti, propongono una diversa interpretazione dei fatti di causa, contrapponendola alla valutazione assunta dalla corte di merito in ordine al comportamento tenuto dalla GS in occasione della campagna promozionale dei supermercati in Gorgonzola ed in Bellusco, nonché alla durata della campagna medesima ed alle modalità con cui si è svolta. In tal modo però la ricorrente finisce per sollecitare la rivalutazione del fatto e della prova, preclusa in sede di legittimità.
16. Per gli stessi motivi, ed in relazione ai principi posti da Cass., 10/06/2016, n. 11892, ribaditi da Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020, non risultano ammissibilmente dedotti le doglianze in ordine alla violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.
La violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime. n tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 cod.
proc. civ. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.
Nel caso di specie, le critiche che il ricorrente rivolge alla impugnata sentenza si risolvono, in effetti, al di là dell’apparente deduzione di vizi di violazione di legge, in una contestazione del cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove (non legali) da parte del giudice di merito, sollecitando un sindacato che è invece precluso in sede di legittimità.
Come già nel motivo precedente, poi, la violazione del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ., è inammissibilmente dedotta, in quanto, lungi dal coglierne la intrinseca illogicità o contraddittorietà, raffronta la motivazione dell’impugnata sentenza con una propria interpretazione del fatto e della prova.
Nessun omesso esame emerge infine dalla sentenza impugnata, che sul punto ha motivato considerando il complessivo compendio probatorio.
Il sesto ed il settimo motivo, che possono essere scrutinati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati.
Là dove vengono svolte doglianze in ordine al comportamento tenuto da GS nella conduzione della campagna promozionale, prospettato come illecitamente concorrenziale, si sollecita una diversa interpretazione dei fatti di causa e delle risultanze probatorie acquisite, precluso in sede di legittimità, solo rispetto alle quali ultime (e dunque, inammissibilmente, ab extrinseco ) anche prospetta la nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, cod. proc. civ.
Quanto al fatto per cui viene censurata la motivazione dell’impugnata sentenza là dove ha considerato la condotta tenuta da GS nella citata campagna promozionale ‘una legittima deroga’ (v. p. 20 della sentenza) al principio della esecuzione secondo buona fede del contratto di franchising senza esclusiva territoriale, va rilevato che la corte territoriale ha formulato un asserto in sé errato (v. tra le tante Cass., 14/06/2021, n. 16743; Cass., 04/05/2009, n. 10182, secondo cui il principio di buona fede è inderogabile in quanto connesso al generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra): il rilievo non è tuttavia tale da condurre alla cassazione della sentenza, perché ha congruamente e logicamente, con valutazione in fatto insindacabile nella presente sede di legittimità, motivato nel senso per cui ‘non può essere ritenuto contrario a buona fede il fatto che l’affiliante riservi a tale nuovo punto vendita, per un periodo ragionevolmente limitato, attività promozionali non concesse ai punti vendita, già operativi da tempo’ (p. 20 cit.): con tale complessiva motivazione la corte d’appello ha escluso che l’affiliante GS abbia violato il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, dunque sostanzialmente considerandolo valido ed operante secondo i principi posti da questa Corte di legittimità.
18. L’ottavo motivo è infondato.
Si riferisce alla suggestiva nozione di ‘protezione territoriale’, che è in fatto, mentre sotto lo stretto profilo di diritto i contratti di franchising stipulati tra le parti non prevedono alcuna clausola di esclusiva, come accertato e motivato dalla corte di merito.
Va inoltre precisato: a) che sebbene la legge disciplini espressamente la clausola (o il patto) di esclusiva, con cui una parte o entrambe le parti limitano il loro diritto di iniziativa economica, solamente con riferimento a determinati modelli
contrattuali (artt. 1567, 1743 cod. civ.), ne va ammesso l’utilizzo che, nella prassi, si riscontra sia in relazione a contratti tipici che a contratti atipici, tra cui appunto il franchising; b) che, tuttavia, tale clausola, che pur concorrendo a determinare l’assetto negoziale voluto dalle parti, costituisce elemento non già essenziale, ma naturale del contratto (Cass., 05/08/2011, n. 17063), per cui deve essere eventualmente ed espressamente pattuita (così l’art. 3 lett. c) della legge 120/2004).
In difetto di pattuizione e, come rilevato nello scrutinio del sesto e del settimo motivo, nell’accertamento, con motivata valutazione in fatto della corte di merito, della condotta dell’affiliante GS rispettosa del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, il motivo non può dunque essere accolto.
Il nono motivo è inammissibile perché, al pari del secondo, non deduce il vizio di violazione di violazione delle regole ermeneutiche secondo i principi posti dalla giurisprudenza di questa Corte, ma si risolve nel contrapporre una sua diversa, e preferibile, interpretazione della quaestio facti rispetto a quella adottata dal giudice di merito, che ha ampiamente motivato sul punto (v. p. 22 della sentenza impugnata).
Il decimo e l’undicesimo motivo, che possono essere scrutinati congiuntamente stante la loro stretta connessione, sono inammissibili.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., 23 maggio 2014, n. 11511; Cass., 4 luglio 2017, n. 16467), la valutazione delle risultanze delle prove, così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione involgano apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto a un’esplicita confutazione degli altri
elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti. Come consuetamente si afferma, compito della Cassazione non è, infatti, quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere a una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, dovendo soltanto controllare, ai sensi degli artt. 132, n. 4) e 360, n. 4), cod. proc. civ., se i giudici di merito abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente, come chiarito da Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).
Inoltre, la corte di merito non è incorsa in alcun vizio di omessa pronuncia né, come prospettato nel decimo motivo, di omessa e apparente motivazione: ha infatti tenuto in considerazione il comportamento processuale di NOME e lo ha motivatamente valutato (v. p. 26: ‘NOME, come detto, non ha contestato l’entità dei ricavi indicati da GS, ma ha sostenuto che il margine del 9,77% … si riferisce unicamente alle vendite ed acquisti di merci, trascurando del tutto invece altre importanti voci di costo quali le prestazioni dei servizi su cui si basava il rapporto con i franchisees e i contributi a favore del franchisees’)
20.1. L’ulteriore censura in ordine alla erroneità della liquidazione equitativa svolta dalla corte, è infondata.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la liquidazione equitativa ex art. 1226 cod. civ. (richiamato, per la responsabilità extracontrattuale, dall’art. 2056 c.c.) presuppone che, a fronte dell’avvenuta dimostrazione dell’esistenza e dell’entità materiale del danno, per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo esatto ammontare, ferma restando la necessità di riferirsi all’integralità dei pregiudizi accertati (Cass., n. 31546 del 06/12/2018).
Tale liquidazione equitativa, anche nella sua forma c.d. ‘pura’, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato sul rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento.
Ne consegue che, allorché non siano indicate le ragioni dell’operato apprezzamento e non siano richiamati gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre sia nel vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente ridotta al disotto del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.) sia nel vizio di violazione dell’art. 1226 cod. civ. (Cass., n. 18795 del 02/07/2021; Cass., n. 22272 del 13/09/2018).
L’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa diviene dunque insuscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, attraverso la specifica indicazione del processo logico e valutativo seguito (cfr. anche Cass., n. 24070 del 13/10/2017; Cass., 19/10/2015, n. 21087).
20.2. Orbene, l’impugnata sentenza si è conformata ai suindicati principi, dato che dalla sua motivazione (v. pp. 25 e ss.) risulta che la corte milanese ha esaminato il compendio probatorio, anche tenendo conto delle contestazioni di NOME, ha liquidato il danno sì in via equitativa ma indicando i parametri oggettivi adoperati, così da rendere possibile il controllo del percorso logico seguito dal giudice di merito nella relativa quantificazione (v. di recente, seppure con riferimento alla liquidazione del danno non patrimoniale, Cass., 11/10/2023, n.
28429, secondo cui: ‘Ai fini della liquidazione di un danno non patrimoniale (nella specie, di un danno non patrimoniale subito da un ente territoriale a causa dell’infedele esercizio delle funzioni di un proprio organo), è necessario che il giudice di merito proceda, dapprima, all’individuazione di un parametro di natura quantitativa, in termini monetari, direttamente o indirettamente collegato alla natura degli interessi incisi dal fatto dannoso e, di seguito, all’adeguamento quantitativo di detto parametro monetario attraverso il riferimento a uno o più fattori necessariamente caratterizzati da oggettività, controllabilità e non manifesta incongruità (né per eccesso, né per difetto), idonei a consentire a posteriori il controllo dell’intero percorso di specificazione dell’importo liquidato’).
Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato GS denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., dell’art. 2729 cod. civ. e dell’art. 3 della L. 6.5.2004, n. 129.
Lamenta che erroneamente la corte d’appello ha ritenuto sussistente una ‘vicinanza’ tra i supermercati gestiti da GS e quelli di NOME, anche non correttamente svolgendo il ragionamento presuntivo in ordine al comportamento del ‘cliente medio’ nel recarsi al supermercato; il tutto senza considerare che i contratti stipulati tra le parti non prevedevano alcuna esclusiva a favore di NOME.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato GS denuncia nullità della sentenza per motivazione meramente apparente e contraddittoria.
Svolge le medesime doglianze dedotte nel primo motivo.
Entrambi i motivi vanno dichiarati assorbiti, stante il rigetto del ricorso principale.
In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato; il ricorso incidentale condizionato va dichiarato assorbito.
25. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza