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Contratto di franchising: obblighi e buona fede

Una società affiliata ha risolto unilateralmente il proprio contratto di franchising, accusando l’affiliante di concorrenza sleale per l’apertura di nuovi punti vendita. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, ritenendo illegittima la risoluzione dell’affiliato e configurandola come un grave inadempimento. La sentenza chiarisce i limiti dell’obbligo di buona fede in assenza di una clausola di esclusiva territoriale, sottolineando l’importanza della chiara pattuizione contrattuale.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

Contratto di Franchising: la Cassazione chiarisce gli obblighi di buona fede

Il contratto di franchising è uno strumento fondamentale per lo sviluppo di reti commerciali, ma le dinamiche tra affiliante (franchisor) e affiliato (franchisee) possono generare complesse controversie legali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sugli obblighi delle parti, in particolare sul principio di buona fede e sull’assenza di un’esclusiva territoriale. Analizziamo insieme il caso e le conclusioni dei giudici.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da due contratti di franchising stipulati nel 2007 tra una società della grande distribuzione (l’affiliante) e un’impresa locale (l’affiliato) per la gestione di due supermercati. Anni dopo, l’affiliato lamentava che l’affiliante avesse avviato un’attività di concorrenza sleale aprendo due nuovi supermercati nelle vicinanze e lanciando aggressive campagne promozionali a esclusivo vantaggio dei nuovi punti vendita.

Ritenendo violati i propri diritti e l’equilibrio contrattuale, l’affiliato comunicava la risoluzione dei contratti, per poi pubblicizzare il proprio passaggio a un altro marchio della grande distribuzione. L’affiliante, respingendo ogni accusa, conveniva in giudizio l’affiliato per accertare l’illegittimità della risoluzione e ottenere il risarcimento dei danni per grave inadempimento contrattuale.

Il Percorso Giudiziario e l’Inadempimento nel Contratto di Franchising

Il Tribunale di primo grado rigettava le domande di entrambe le parti. La Corte d’Appello, invece, riformava parzialmente la sentenza, accogliendo le ragioni dell’affiliante. I giudici di secondo grado dichiaravano i contratti risolti per grave inadempimento dell’affiliato, condannandolo al risarcimento del danno. Secondo la Corte territoriale, la risoluzione unilaterale operata dall’affiliato era illegittima e costituiva, essa stessa, una violazione degli obblighi contrattuali.

L’affiliato, insoddisfatto della decisione, proponeva quindi ricorso per Cassazione, basato su undici distinti motivi che spaziavano dalla violazione delle norme sull’interpretazione del contratto alla falsa applicazione del principio di buona fede.

Le Motivazioni della Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’affiliato, confermando la sentenza d’appello. Le motivazioni offrono spunti cruciali per chi opera nel settore del franchising.

1. Clausola Risolutiva Espressa: L’affiliato sosteneva di aver legittimamente esercitato una clausola risolutiva espressa. La Corte ha però chiarito che la clausola in questione era prevista contrattualmente solo a favore dell’affiliante, e non poteva quindi essere invocata dall’affiliato.

2. Buona Fede vs. Esclusiva Territoriale: Il punto centrale della controversia era se le iniziative commerciali dell’affiliante (nuove aperture e promozioni mirate) violassero l’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto. La Cassazione ha stabilito che, in assenza di una clausola di esclusiva territoriale esplicitamente pattuita, l’affiliante non è automaticamente privato della libertà di iniziativa economica. Sebbene il principio di buona fede sia inderogabile e imponga un dovere di solidarietà per preservare gli interessi reciproci, non può spingersi fino a creare un obbligo di protezione territoriale non previsto. La Corte ha ritenuto che limitate attività promozionali per il lancio di un nuovo punto vendita non fossero, nel caso di specie, contrarie a buona fede.

3. L’Esclusiva non è un elemento naturale del franchising: I giudici hanno ribadito un principio consolidato: la clausola di esclusiva non è un elemento essenziale o naturale del contratto di franchising. Deve essere espressamente pattuita tra le parti, come previsto dalla legge sul franchising (L. 129/2004).

4. Valutazione delle Prove: Molti dei motivi di ricorso dell’affiliato criticavano il modo in cui i giudici di merito avevano valutato le prove e quantificato il danno. La Cassazione ha dichiarato inammissibili tali censure, ricordando che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, che nel caso specifico è stata ritenuta adeguata.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La decisione della Corte di Cassazione sottolinea un messaggio fondamentale per tutti gli operatori del settore: la chiarezza e la completezza del testo contrattuale sono essenziali per prevenire le controversie. Gli affiliati che desiderano una protezione territoriale devono assicurarsi che una specifica clausola di esclusiva sia inserita nel contratto. Confidare unicamente nel generico principio di buona fede per limitare l’iniziativa economica dell’affiliante è rischioso, poiché la sua applicazione è valutata caso per caso e non può creare obblighi che le parti non hanno voluto prevedere. Per gli affilianti, la sentenza conferma la libertà di espandere la propria rete, pur nel rispetto di un comportamento leale e corretto che non svuoti di significato il rapporto con i franchisee esistenti.

L’apertura di nuovi punti vendita da parte dell’affiliante costituisce sempre una violazione del contratto di franchising?
No. Secondo la Cassazione, in assenza di una specifica clausola di esclusiva territoriale, l’affiliante mantiene la propria libertà di iniziativa economica. L’apertura di nuovi negozi non è di per sé una violazione, a meno che non si configuri un comportamento contrario al principio generale di buona fede, da valutare caso per caso.

Il principio di buona fede può sostituire una clausola di esclusiva territoriale non prevista nel contratto di franchising?
No. La Corte ha chiarito che il principio di buona fede, sebbene imponga un dovere di correttezza e solidarietà, non può essere utilizzato per creare un obbligo di protezione territoriale (esclusiva) che le parti non hanno esplicitamente pattuito nel contratto.

Un affiliato può dichiarare risolto il contratto se ritiene che l’affiliante stia agendo in modo sleale?
L’affiliato deve agire con estrema cautela. Come dimostra questo caso, una risoluzione unilaterale ritenuta illegittima dai giudici non solo è inefficace, ma si trasforma in un grave inadempimento da parte dell’affiliato stesso, con conseguente obbligo di risarcire i danni subiti dall’affiliante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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