Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5284 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1   Num. 5284  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
AVV_NOTAIO: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
SENTENZA
sul ricorso RG 2706 anno 2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE ,  rappresentata  e  difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME ;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE ,  rappresentata  e  difesa dall’avvocato NOME  COGNOME,  domiciliata presso  l’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 4653/2018 depositata il 17 ottobre 2018 della Corte di appello di Napoli.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del l’8 gennaio 202 4 dal AVV_NOTAIO;
udito  il  P.M.,  in  persona  del  AVV_NOTAIO NOME  AVV_NOTAIO  che  ha  concluso  per  l’accoglimento  del ricorso; uditi l’avvocato NOME COGNOME per parte ricorrente e l’avvocato NOME COGNOME per parte controricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. RAGIONE_SOCIALE ha agito in giudizio chiedendo che fosse dichiarata la nullità di un contratto di conto corrente da essa intrattenuto con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, siccome mancante di forma scritta, e che, in subordine, venisse accertato che la convenuta si  era  resa  responsabile  di  grave  inadempimento  per  violazione  dei doveri di buona fede e diligenza nella fase di esecuzione del contratto.
Nella resistenza della banca il Tribunale di Napoli ha riconosciuto la  nullità  contrattuale  per  difetto  di  forma,  osservando  come  il documento negoziale presentasse la sola  sottoscrizione della società correntista;  ha  quindi  accertato  il  diritto  di  questa  ad  esigere  dalla banca  la  somma  di  euro  56.159,54,  oltre  interessi,  ma  ha  reputato infondata la doglianza attorea circa l’addebito di interessi usurari.
In sede di gravame la sentenza è stata riformata dalla Corte di appello di Napoli: questa ha fatto applicazione del principio per cui il requisito della forma scritta del contratto per vizio di forma va inteso non in senso strutturale ma funzionale, onde esso deve ritenersi rispettato ove il negozio sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente. La detta Corte ha poi disatteso il gravame incidentale di RAGIONE_SOCIALE osservando come, per un verso, presentasse carattere di novità la deduzione dell’appellante circa l’esistenza di una usura originaria e come, per al tro verso, l’impugnazione consistesse in una «prolissa disquisizione sulle opinioni giurisprudenziali, di matematica finanziaria e dottrinarie, senza riferimento alcuno al caso concreto oggetto di lite e, soprattutto, senza riferimento a specifica
censura  a quanto  esposto  nella sentenza  di primo  grado  sulla questione».
RAGIONE_SOCIALE ha impugnato per cassazione, con due mezzi, la sentenza di appello; RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il giudizio, avviato alla trattazione camerale, è stato rimesso in pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 27837 del 2023.
Sono state depositate memorie.
Il  Pubblico  Ministero  ha  concluso  per  l’accoglimento  del  primo motivo di ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Precede  la  questione  in  rito enucleata  dall’ordinanza interlocutoria, e vertente sull’inter venuto fallimento di RAGIONE_SOCIALE.
1.1. – Ebbene, d eve ritenersi, con la giurisprudenza di questa Corte, che il difensore della parte che fallisce nel corso del giudizio in cassazione conserva il potere di rappresentare il suo assistito nel processo, il quale non si interrompe per effetto della perdita della capacità di stare in giudizio della parte (Cass. 23 dicembre 2022, n. 37719): l’intervenuta modifica dell’art. 43 l. fall. per effetto dell’art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006, nella parte in cui stabilisce che « l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo », non comporta, dunque, l’interruzione del giudizio di legittimità (Cass. 8 giugno 2021, n. 15928; Cass. 15 novembre 2017, n. 27143; Cass. 13 ottobre 2010, n. 21153): infatti, nell’ambito del giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge. Né il principio trova deroga quando, dopo la proposizione del ricorso, si rendano necessari atti od iniziative della parte o del difensore, atteso che, pure in questi casi, la mancata previsione dell’interruzione non implica lesione del diritto di difesa o menomazione del contraddittorio,
restando a carico dell’interessato di attivarsi per ovviare ad evenienze conosciute o comunque conoscibili (Cass. Sez. U. 14 ottobre 1992, n. 11195; Cass. Sez. U. 8 marzo 1993, n. 2756).
-Col primo motivo sono denunciate la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e 346 c.p.c., degli artt. 117 e 117 bis t.u.b., nonché degli artt. 1173 e 1375 c.c. e dell’art. 644 c.p.. Il ricorrente lamenta che la Corte di appello non si sia pronunciata su alcune domande che erano state espressamente riproposte in sede di gravame: domande dirette, rispettivamente, alla declaratoria di nullità del contratto di conto corrente per mancata consegna del relativo documento da parte della banca e all’accertamento dell’inadempimento di quest’ultima quanto ai doveri di buona fede e diligenza nella fase di esecuzione del contratto, avendo particolare riguardo alla nullità di cui sarebbe stato affetto il «contratto di accredito e/o di affidamento», che risultava essere carente della forma scritta.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente fa questione di domande che assume spiegate in primo grado e ribadite in appello.
2.2. Non viene fornito tuttavia riscontro del fatto che una domanda basata sulla mancata consegna del documento contrattuale fosse stata proposta avanti al Tribunale: l’odierna istante si limita infatti a riportare un piccolo stralcio della citazione di primo grado (a pag. 20 del ricorso) ove la società stessa avrebbe affermato di non essere in possesso del detto scritto, di cui aveva richiesto copia; si ignora, però, se tale richiesta sia da intendere riferita al momento della conclusione del negozio o, piuttosto, a un momento successivo, in ragione di una perdita del documento ricevuto all orquando si perfezionò l’accordo : l’ indicazione è del tutto vaga e non è oltretutto nemmeno correlata dalla ricorrente a una vera e propria domanda.
Sotto tale profilo,  quella  formulata  in  appello,  di  accertamento della nullità «per mancata consegna della copia cliente» (pag. 13 del
ricorso), è una domanda  che,  oltre a non potersi considerare riproposizione di altra domanda già appartenente al giudizio di primo grado, costituisce iniziativa  giudiziaria  basata su di un’allegazione quella  relativa  al  mancato  possesso  del  documento,  svolta  avanti  al Tribunale – che è priva di consistenza ai fini che interessano.
Ora, è pur vero che le Sezioni Unite (con arresto reso in materia di intermediazione finanziaria, ma pacificamente riferibile anche ai rapporti bancari: da ultimo, Cass. 12 ottobre 2023, n. 28500) hanno affermato che il vincolo di forma imposto dal legislatore (cfr. art. 23, comma 1, t.u.f e art. 117, comma 1, t.u.b.) è « composito, in quanto vi rientra, per specifico disposto normativa, anche la consegna del documento contrattuale » (Cass. Sez. U. 16 gennaio 2018 n. 898, in motivazione); è altrettanto vero, però, che chi intenda far valere in giudizio la mancata consegna del documento contrattuale deve allegare specificamente la circostanza, per consentire alla controparte di difendersi sul punto e permettere al giudice di comprendere con esattezza i termini del thema decidendum e, conseguentemente, del thema probandum : tanto più ove si consideri che sul punto dell’avvenuta consegna la controparte potrebbe opporre, e il giudice valorizzare, presunzioni semplici.
Dopodiché, va ricordato che l’omessa pronuncia, qualora abbia ad oggetto una domanda  inammissibile, non costituisce vizio della sentenza e non rileva nemmeno come motivo di ricorso per cassazione, in quanto alla proposizione di una tale domanda non consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito di quella domanda (ad es.: Cass. 16 luglio 2021, n. 20363; Cass. 25 settembre 2018, n. 22784; Cass. 2 dicembre 2010, n. 24445).
2.3. Quanto alla domanda vertente sugli obblighi di buona fede e  diligenza,  essa  è  del  tutto  indeterminata  nel  contenuto,  in  quanto raccorda l’inadempimento a obblighi di forma incidenti sulla validità del contratto. Vale, per essa, quanto si è appena rilevato in ordine alla non
configurabilità di una omessa pronuncia su di una domanda inammissibile.
Quel che è stato in proposito dedotto da RAGIONE_SOCIALE è, oltretutto, carente di autosufficienza. La ricorrente richiama una propria domanda basata sul rilievo per cui, ai fini della deroga al requisito della forma scritta del contratto di apertura di credito prevista dalla delib. CICR del 4 marzo 2003 è necessario che il contratto di conto corrente stipulato per iscritto sia sufficientemente determinato in relazione al credito che viene concesso; deduce che, nel caso in esame, il contratto di conto corrente prodotto dalla banca non conterrebbe alcuna compiuta regolamentazione del finanziamento. La censura non riproduce, tuttavia, per la parte che interessa, gli atti processuali, di primo e di secondo grado, contenenti la detta domanda, non spiega quali documenti fossero stati prodotti a sostegno della pretesa, né chiarisce quale fosse la localizzazione dei medesimi all’interno dei fascicoli di causa.
Il secondo mezzo oppone la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., 117 e 198 t.u.b. (d.lgs. n. 385/1993), dell’art. 1815 c.c. e dell’art. 644 c.p.. Si deduce che la domanda relativa all’usura era stata tempestivamente integrata dall’attrice nel termine fissato dal Giudice di primo grado, che «i parametri e gli elementi da cui ricavare l’esistenza dell’usura ampiamente emersi dalle risultanze della c.t.u.» e che in appello il ricorrente aveva ritirato tutte le domande rivolte all’accertamento dell’illegittimità delle condizioni imposte dalla banca.
3.1. Anche tale motivo è inammissibile.
La ricorrente non coglie la ratio  decidendi posta a fondamento della pronuncia assunta con riferimento all’appello incidentale , la quale, come si è visto, è basata sulla novità della domanda relativa all’usura originaria e sull ‘assenza di specificità del motivo di gravame.
Il  mezzo  doveva  quindi  misurarsi  con  tali  statuizioni  che,  di
contro
, non risultano puntualmente aggredite.
Per farlo, del resto, era necessario procedere alla trascrizione del motivo di appello per la parte necessaria a dar ragione della comprensibilità e della decisività della censura. Infatti, la deduzione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il «fatto processuale» (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181): la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo , in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude, infatti, che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (così Cass. 13 marzo 2018, n. 6014: cfr. pure: Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 8 giugno 2016, n. 11738; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410). In particolare, la deduzione della questione dell’inammissibilità dell’appello, a norma dell’art. 342 c.p.c. non affranca la parte dal rispetto del principio di specificità di cui all’art. 366, n. 4 e n. 6, c.p.c., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri contro Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse (Cass. 4 febbraio 2022, n. 3612).
– Il ricorso va in conclusione dichiarato inammissibile.
– Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La  Corte
dichiara  inammissibile  il  ricorso;  condanna  parte  ricorrente  al
pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione