Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18413 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18413 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
R.G.N. 19356/20
C.C. 11/06/2025
Appalto -Servizi -Pagamento compenso
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 19356/2020) proposto da: RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (P.IVA: P_IVA, in persona del suo liquidatore e legale rappresentante pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del suo direttore generale e procuratore speciale NOME NOME COGNOME in forza di procura per atto pubblico rep. n. 18.459, racc. n. 10.894, registrata a Potenza il 4 febbraio 2019, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Potenza n. 550/2019, pubblicata il 24 luglio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11 giugno 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse della controricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 14 settembre 2005, la RAGIONE_SOCIALE conveniva, davanti al Tribunale di Potenza, l’RAGIONE_SOCIALE chiedendo che la convenuta, nella sua qualità di committente, fosse condannata al pagamento della somma di euro 22.802,11, IVA inclusa, come da fattura n. 1 del 7 gennaio 2005, a titolo di corrispettivo maturato per l’anno 2004 per l’esecuzione del servizio di gestione e manutenzione dell’impianto di depurazione delle acque reflue asservito alla zona P.I.P. del Comune di Barile, al quale era subentrata, sin dal luglio 2003, la società RAGIONE_SOCIALE o -in subordine -a titolo di indennità per la gestione di affari altrui ovvero a titolo di indennizzo per arricchimento senza giusta causa.
Si costituiva in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, la quale contestava la domanda avversaria, negando la sussistenza di qualsivoglia rapporto contrattuale con la società attrice per la gestione del depuratore oggetto di causa.
Nel corso del giudizio era assunta la prova orale ammessa.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1320/2010, depositata l’11 novembre 2010, notificata il 2 dicembre 2010,
accoglieva la domanda principale e, per l’effetto, condannava la convenuta al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di euro 22.802,11, oltre interessi legali dalla costituzione in mora al soddisfo.
2. -Con atto di citazione notificato il 28 dicembre 2010, l’RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure, lamentando: 1) l’erronea, contraddittoria e illogica motivazione sull’asserita gestione dell’impianto di depurazione da parte della società Di Felice per conto dell’RAGIONE_SOCIALE, in difetto di alcun contratto di gestione tra le parti e neanche con il Comune di Barile, che aveva affidato a detta società solo l’esecuzione di lavori in economia per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria; 2) l’arbitraria gestione dell’impianto da parte della società Di Felice, senza alcun contratto con l’Acquedotto Lucano, con l’illegittimo mantenimento del suo possesso; 3) l’erronea, illogica e contraddittoria motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie e al quantum debeatur , in mancanza di conferma del raggiungimento di alcun accordo tra le parti circa la gestione dell’impianto e sul prezzo del servizio.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, la quale instava per il rigetto dell’appello e per la conseguente conferma della sentenza impugnata.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Potenza, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva l’impugnazione e, per l’effetto, in totale riforma della pronuncia impugnata, rigettava la domanda di pagamento del compenso preteso per la gestione dell’impianto di depurazione.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che il rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Barile si era definitivamente interrotto allorquando la gestione del servizio idrico integrato era stata affidata dall’ATO ad RAGIONE_SOCIALE, nel luglio 2003, momento in cui il Comune di Barile aveva ordinato all’impresa Di Felice di rendere detto impianto funzionante e in efficienza, in vista della sua consegna all’Acquedotto Lucano; b ) che dalle deposizioni testimoniali emergeva, inoltre, che -nell’anno 2004 vi erano stati effettivamente contatti e incontri tra il legale rappresentante della società COGNOME e i dipendenti e funzionari di Acquedotto Lucano, nei relativi uffici, senza che fosse riferito il contenuto specifico dei relativi colloqui, sicché poteva desumersi che, nel corso di tali incontri, si erano probabilmente svolte trattative relative all’affidamento del servizio di gestione e manutenzione dell’impianto, tuttavia evid entemente non andate a buon fine; c ) che non vi era, infatti, alcun riscontro delle affermazioni della Di COGNOME circa la conclusione dell’accordo per l’affidamento del servizio, neppure verbalmente, ovvero del raggiungimento di un’intesa sul compenso richiesto, né in ordine alla presenza ai richiamati incontri del legale rappresentante dell’Acquedotto Lucano; d ) che risultava, tuttavia, che -anche dopo l’assunzione del servizio idrico integrato, ivi compresa la gestione dell’impianto di depurazione di spe cie a cura dell’Acquedotto Lucano, e durante dette ipotizzate trattative la COGNOME era rimasta nella disponibilità materiale delle chiavi di accesso all’impianto, tanto che la RAGIONE_SOCIALE, incaricata dall’Acquedotto Lucano dell’effettuazione di prelievi ed esami sulle
acque reflue, aveva concordato con la COGNOME l’accesso all’impianto, così come su incarico della Di Felice -altre imprese avevano provveduto ad effettuare piccoli lavori di manutenzione (sostituzione del cavo di alimentazione della pompa nel dicembre 2005, per una spesa di euro 240,00, sostituzione del lucchetto nel gennaio 2007, per una spesa di euro 36,00, fornitura di un tubo antigelo nel gennaio 2007, per una spesa di euro 11,88, sostituzione del cestello per il depuratore nell’aprile 2007, per una spesa di euro 108,00); e ) che, relativamente all’anno 2004, non era stata documentata alcuna attività svolta.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito, con controricorso, l’intimata RAGIONE_SOCIALE
-La controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-In primis , deve essere affrontata l’eccezione sollevata dalla controricorrente circa l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di sinteticità e chiarezza.
1.1. -L’eccezione è infondata.
Dalla disamina dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità si evincono, infatti, gli aspetti rilevanti dell’ excursus processuale, anche con riferimento agli esiti decisori -ossia la concisa esposizione dei fatti di causa -, nonché le censure articolate avverso la sentenza impugnata.
-Tanto premesso, con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la
nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111, sesto comma, Cost., per avere la Corte di merito affermato, in termini manifestamente contraddittori e/o illogici, -da un lato -che probabilmente, nel 2004, si erano svolte delle trattative per l’affidamento del servizio di gestione e manutenzione dell’impianto di depurazione dall’Acquedotto Lucano alla Di Felice, evidentemente non andate a buon fine, e -dall’altro che, dopo il precedente rapporto di appalto per la gestione dell’impianto tra il Comune di Barile e la COGNOME, definitivamente interrotto nel luglio 2003, quest’ultima, nel 2004, era rimasta nella disponibilità delle chiavi di accesso all’impianto e aveva provveduto ad incaricare altre imprese per l’effettuazione di piccoli lavori di manutenzione sul detto impianto dal 2005 al 2007.
Osserva l’istante che il possesso delle chiavi di accesso all’impianto sarebbe stato indicativo della conclusione del contratto tra l’Acquedotto Lucano e la COGNOME e della reale sussistenza di rapporti inter partes in ordine all’affidamento del servizio di gestione e manutenzione dell’impianto di depurazione; così come l’affidamento di piccoli lavori di manutenzione presso detto impianto, negli anni dal 2005 al 2007, avrebbe giustificato tale conclusione.
3. -Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 167 e 115 c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.c., con riferimento al principio giurisprudenziale di non contestazione nella formulazione antecedente alla novella del 2009 e applicabile ratione temporis ,
per avere la Corte territoriale omesso di considerare che l’Acquedotto Lucano il quale aveva l’onere di contestare il fatto costitutivo dell’esistenza del rapporto contrattuale -aveva eccepito, nella comparsa di costituzione e nella memoria integrativa del thema decidendum , di avere puntualmente curato, nell’anno 2004, perché di propria esclusiva competenza e senza avvalersi di alcuno, la gestione dell’impianto di depurazione in questione, mentre, nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, aveva dedotto di non avere ricevuto la consegna di detto impianto, né dall’ATO, né dal Comune di Barile, impianto che era stato invece abusivamente gestito dalla COGNOME.
Per l’effetto, obietta l’istante che l’Acquedotto Lucano avrebbe, in realtà, implicitamente ammesso -ovvero contestato in modo generico e contraddittorio -il rapporto contrattuale esistente per l’affidamento del servizio di gestione e manutenzione dell’impianto di depurazione dei reflui.
3.1. -I due motivi -che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di connessione logica e giuridica -sono infondati.
E ciò perché non sussiste alcun contrasto irriducibile tra le affermazioni rese dalla sentenza impugnata circa il fatto che non vi fosse prova della stipulazione di un contratto per la gestione dell’impianto di depurazione in favore della RAGIONE_SOCIALE e la circostanza che quest’ultima avesse mantenuto il possesso delle chiavi di accesso a tale impianto, come consegnate dal precedente committente Comune di Barile, provvedendo anche ad ordinare, negli anni dal 2005 al 2007, piccoli lavori di manutenzione sull’impianto medesimo.
Tali accadimenti non sono, infatti, significativi della conclusione del contratto, essendo piuttosto riconducibili a contegni unilaterali assunti dal precedente gestore, senza il consenso dell’Acquedotto Lucano.
Peraltro, la sentenza impugnata ha valorizzato un altro profilo, nient’affatto contestato dalla ricorrente, attinente alla mancanza di alcuna dimostrazione di attività svolte dalla RAGIONE_SOCIALE, nell’anno 2004, per la gestione e manutenzione dell’impianto di depurazione.
4. -Con il terzo motivo (subordinato al mancato accoglimento del secondo) la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omessa considerazione di un fatto decisivo, per avere la Corte distrettuale tralasciato di rilevare il contenuto delle dichiarazioni testimoniali rese da COGNOME NOME e COGNOME NOME -come risultanti dalla sentenza di primo grado e dal verbale d’udienza del 23 aprile 2008 , secondo cui la Di Felice, dopo che l’impianto di depurazione era stato consegnato dal Comune di Barile all’Acquedotto Lucano nel novembre 2003, aveva dato esecuzione al servizio di gestione del detto impianto, per conto dell’Acquedotto, curandolo per tutto l’anno 2004.
Deduce l’istante che dalle testimonianze assunte sarebbe risultato: A) che l’impianto di depurazione era stato consegnato dal Comune di Barile all’Acquedotto Lucano nel novembre 2003, tanto che nel predetto mese il Comune di Barile aveva ‘trasferito il consumo di energia elettrica’ all’Acquedotto; B) che la società COGNOME aveva materialmente eseguito il servizio di gestione e manutenzione dell’impianto di depurazione della zona P.I.P. del Comune di Barile per conto dell’Acquedotto Lucano.
Segnatamente dalla deposizione di COGNOME NOMECOGNOME quale responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune di Barile, sarebbe emerso che l’impianto di depurazione, dal gennaio 2004, era passato sotto la gestione dell’Acquedotto Lucano (per mezzo di COGNOME NOMECOGNOME, che aveva ordinato anche l’effettuazione di taluni interventi sullo stesso, interventi materialmente eseguiti dalla società COGNOME NOME; mentre dalla deposizione di COGNOME NOMECOGNOME quale impiegata dell’Acquedotto Lucano e responsabile del settore depurazione, sarebbe risultato che, nell’estate 2004 o inizio 2005, l’impianto di depurazione era gestito da COGNOME NOME COGNOME per conto del Comune.
5. -Con il quarto motivo (subordinato al mancato accoglimento del terzo) la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., il travisamento delle risultanze probatorie, per avere la Corte dell’impugnazione riportato ed utilizzato un’informazione probatoria, ai fini di fondare la decisione con la quale è stata esclusa la conclusione dell’accordo per l’affidamento della gestione dell’impianto di depurazione oggetto di causa, in mancanza di riscontro probatorio, mentre dalle dichiarazioni testimoniali rese da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME sarebbe emersa una realtà diversa e inconciliabile, ossia la conclusione di tale accordo.
5.1. -I due motivi -che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi -sono infondati.
Infatti, l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e
sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19011 del 31/07/2017; Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016; Sez. L, Sentenza n. 17097 del 21/07/2010; Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006; nello stesso senso, tra le più recenti, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 10344 del 19/04/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 9507 del 11/04/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 9398 del 10/04/2025; Sez. 1, Ordinanza n. 7356 del 19/03/2025).
Del resto, in tema di ricorso per cassazione, esula dal vizio di legittimità ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. qualsiasi contestazione volta a criticare il ‘convincimento’ che il giudice di merito si è formato, ex art. 116, primo e secondo comma, c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15276 del 01/06/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 6519 del
06/03/2019; Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014; Sez. 65, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014).
Né dalle deposizioni testimoniali, come riportate nel corpo del ricorso, è dato ricavare alcun travisamento della prova.
I testi evocati non hanno, al riguardo, dichiarato che l’Acquedotto Lucano (e non già il Comune di Barile) avesse conferito alla società COGNOME l’appalto relativo alla gestione e manutenzione dell’impianto di depurazione per l’anno 2004.
E d’altronde alcun elemento era emerso in ordine allo svolgimento di tale attività nel corso di tale anno.
Il mero richiamo a singole attività demandate, di propria iniziativa, dalla RAGIONE_SOCIALE a soggetti terzi, peraltro negli anni dal 2005 al 2007, non è indicativo della stipulazione di un siffatto appalto di servizi.
-Con il quinto motivo (subordinato al mancato accoglimento del secondo, terzo e quarto) la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. nonché 2727 e 2729 c.c., per avere la Corte d’appello attribuito alle dichiarazioni testimoniali rese da COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME e COGNOME NOME, quali dipendenti dell’Acquedotto Lucano, una valenza decisiva esattamente contraria, anche in termini temporali (anno 2004 anziché anno 2005), rispetto a quanto tali testi avrebbero riferito -ossia che vi erano stati dei contatti ed incontri tra il legale rappresentante della società COGNOME e i dipendenti e funzionari dell’Acquedotto Lucano, ma che non era stato indicato il contenuto di tali colloqui -, da ciò desumendo, sulla base di presunzioni prive dei caratteri della
gravità, precisione e concordanza, che probabilmente si erano svolte delle trattative per l’affidamento alla società Di Felice della gestione dell’impianto di depurazione da parte dell’Acquedotto Lucano, non andate però a buon fine.
Evidenzia l’istante che tale errore avrebbe avuto un’influenza decisiva sulla ricostruzione del fatto, avendo il giudice di merito ascritto tali incontri alla fase precontrattuale relativa all’affidamento della gestione dell’impianto, anziché alla fase esecutiva del contratto, ritenendo così che non vi fosse la prova della conclusione dell’accordo.
6.1. -Il mezzo di critica è inammissibile.
Nessun elemento è, in proposito, stato addotto a confutazione dell’assunto della sentenza impugnata circa il fatto che non vi era stata alcuna dimostrazione della stipulazione del contratto di appalto per la gestione e manutenzione dell’impianto di depurazione, relativamente all’anno 2004.
Il mero riferimento allo svolgimento di trattative, cui peraltro non aveva partecipato il legale rappresentante dell’Acquedotto Lucano, in mancanza di alcuna prova della stipulazione, anche verbale, della conclusione del contratto, non vale a inficiare la coerenza e la logicità delle argomentazioni sviluppate nella pronuncia.
Nei termini anzidetti la censura mira, in realtà, ad ottenere una rivalutazione dei fatti di causa, rivalutazione preclusa in sede di legittimità (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. 6-5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
7. -Con il sesto motivo la ricorrente assume, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 167, 115 e 345 c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte di seconde cure -con riguardo alla ritenuta mancanza di prova della pattuizione del compenso per il servizio di gestione e manutenzione dell’impianto di depurazione nell’anno 2004 : A) leso il principio di non contestazione nella formulazione antecedente alla novella del 2009, applicabile ratione temporis ; B) adottato una motivazione incomprensibile, omettendo l’esame di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa; C) violato il divieto di nova in appello, non rilevando la tardività e inammissibilità dell’eccezione proposta con riguardo al quantum debeatur soltanto nel giudizio di gravame.
8. -Il settimo motivo di ricorso (subordinato al mancato accoglimento del sesto) investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1655 e 1657 c.c., per avere la Corte del gravame negato la spettanza del compenso in mancanza di un accordo sulla sua determinazione, benché -nel contratto di appalto -il corrispettivo potesse essere quantificato anche in assenza di prova di un accordo sul prezzo e senza, peraltro, che nel giudizio di primo grado fosse stata posta in discussione la misura del corrispettivo del servizio di gestione e manutenzione dell’impianto di depurazione, come eseguito dalla ditta COGNOME, nonché la violazione o falsa applicazione dell’art. 115, primo comma, c.p.c., per avere la Corte potentina omesso di considerare che l’Acquedotto Lucano non aveva contestato, né
l’entità del dovuto, né la somma richiesta per l’esecuzione del servizio reso, né tantomeno la fattura n. 1/2005, che avrebbe costituito prova documentale idonea dell’ammontare del credito, sicché non vi sarebbero stati i presupposti per esercitare qualsiasi controllo probatorio con riferimento alla misura di tale corrispettivo.
8.1. -Le due doglianze che precedono sono inammissibili.
E tanto perché, una volta negato -a monte -che vi fosse la prova della stipulazione del contratto di appalto tra le parti -esclusione confermata all’esito del rigetto delle superiori censure -, non vi è alcun interesse a sindacare l’argomentazione rafforzativa utilizzata dalla sentenza d’appello, secondo cui difettava altresì qualsiasi dimostrazione della pattuizione del compenso per l’attività di gestione e manutenzione dell’impianto di depurazione.
9. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda