Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10154 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10154 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 16654/2019 proposto da:
COGNOME NOME, C.F. CODICE_FISCALE e COGNOME NOME, C.F. CODICE_FISCALE, in proprio e nella qualità di eredi della signora COGNOME NOME, rappresentati e difesi, dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Palermo, C.F. CODICE_FISCALE, PEC EMAIL, domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio RAGIONE_SOCIALE ;
– ricorrenti –
contro
COGNOME Giacomo, C.F. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, dall’avv. NOME COGNOME C.F. CODICE_FISCALE, PEC EMAILordineavvocaticataniaEMAIL, domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME sito in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 2315/2018, depositata il 21.11.2018;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 21 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Il Tribunale di Marsala riconobbe a NOME COGNOME un’indennità, ex art. 1150 c.c., pari ad Euro 30.000,00 (interamente corrisposta da COGNOME a seguito della sentenza) commisurata al valore dell’attività lavorativa di tipo manuale, prestata dallo stesso nella costruzione, nell’isola di Pantelleria, della casa familiare (nella specie un dammuso) sul terreno della suocera, NOME COGNOME, madre di NOME COGNOME, sua fidanzata nonché, successivamente, moglie; il giudice escluse che si trattasse di appalto. A seguito di appello proposto da NOME COGNOME in riforma della suddetta decisione, il giudice di merito accolse il gravame e qualificò il rapporto quale appalto. Per l’effetto all’appellante venne riconosciuta la debenza di un corrispettivo dell’importo di Euro 140.203,73, corrispondente all’incremento di valore del terreno per effetto dell’edificazione ed incorporazione del dammuso, al netto della somma di Euro 30.000,00, già corrisposta da COGNOME NOME e COGNOME NOME in adempimento della sentenza di condanna di primo grado, nonché della somma pari ad euro 5.000,00 già corrisposta prima dell’inizio dei lavori dalla committente.
2.Nel dettaglio, il giudice di merito richiamò preliminarmente la giurisprudenza di legittimità secondo cui ‘ qualora facciano difetto circostanze di fatto atte a dimostrare che il committente si sia riservato l’organizzazione e la divisione del lavoro e degli strumenti
tecnici, assumendo, quindi, il rischio del conseguimento del risultato ripromessosi, la qualità di imprenditore del soggetto cui sia stata affidata l’esecuzione di un’opera o di un servizio fa presumere che le parti abbiano inteso stipulare un contratto di appalto e non di opera (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 21 maggio 2010. n. 12519). Tuttavia, la Corte Regolatrice ha chiarito che il criterio distintivo tra i due contratti dipende anche dall’opera commissionata, in quanto la sua esecuzione presuppone un’organizzazione di impresa tale da ricondurre il contratto alla figura dell’appalto (cfr. Cass. Sez. II, 4 aprile 20157, n. 8700). Va precisato che nel caso in esame non è stato allegato alcun contratto scritto, tuttavia, sia il contratto di appalto che quello d’opera per loro natura non richiedono la forma scritta ‘ad substantiam’ né ‘ad probationem’ potendo essere conclusi anche per facta concludentia’ . La Corte di merito affermò quindi che NOME COGNOME avesse provato la fonte negoziale del proprio diritto, in forza degli esiti delle prove testimoniali, e che gli odierni ricorrenti non avessero, al contrario, dimostrato di aver versato il corrispettivo per l’opera realizzata.
Sicché alla luce degli esiti della CTU venne quantificata la somma spettante a NOME COGNOME per i costi sostenuti per la costruzione del dammuso.
3.Avverso la predetta sentenza ricorrono NOME COGNOME e NOME COGNOME con sei motivi mentre NOME COGNOME resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo si impugna la sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione o falsa applicazione degli artt. 1655 c.c. ed artt. 1362 ed art. 1366 c.c., stante il cattivo esercizio dell’attività ermeneutica nonché per violazione o falsa applicazione degli artt. 1655 c.c. e 1657 c.c., mancando i presupposti soggettivi e oggettivi del contratto di appalto. Nella prospettazione dei ricorrenti, la Corte d’appello, contrariamente al giudice di primo grado, non avrebbe colto la ragione pratica del contratto che nella specie non sarebbe di appalto. Invero il primo giudice ben aveva interpretato l’accordo delle parti volto alla realizzazione dei ‘lavori che venivano eseguiti in famiglia. Il COGNOME aveva un ruolo preminente ma tale ruolo era da lui assunto non in qualità di appaltatore, ma perché impegnato personalmente nei lavori, essendo del settore, e perché comunque l’immobile che si stava costruendo sarebbe divenuto la casa in cui sarebbe andato a vivere con la sua futura moglie (pag. 5 sentenza Tribunale di Marsala)’. La reale causa in concreto del rapporto atipico sarebbe quindi nella specie caratterizzata dall’intenzione della sig.ra COGNOME di concedere il godimento del proprio terreno e della futura piccola abitazione a fronte di una collaborazione personale del genero, sig. COGNOME ai lavori edili ivi realizzati. In subordine si evidenzia che, comunque, anche laddove le parti avessero voluto realmente stipulare un contratto di appalto tale volontà non avrebbe potuto consentire di sussumere il rapporto nell’alveo dell’appalto in considerazione del difetto dei presupposti oggettivi dell’organizzazione dei mezzi necessari e della gestione a proprio rischio, descritti dall’art. 1655 c.c.
1.2. L’organizzazione dei mezzi necessari cui si riferisce l’art. 1655 c.c., nella prospettazione dei ricorrenti, ‘secondo una lettura costituzionalmente orientata e sistematica, deve essere interpretata come organizzazione di mezzi necessari e leciti. In caso contrario, tramite l’impianto normativo in parola e, in particolare, con la previsione del giusto corrispettivo di cui all’art. 1657 c.c., si finirebbe per tutelare anche fattispecie connotate dall’assoluta irregolarità e palesemente contra ius ‘.
2.Con la seconda censura si denuncia, ex art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 2697 c.c. per arbitraria inversione dell’onere probatorio. I ricorrenti evidenziano come, in caso di contestazione, da parte del committente, sulla entità dei lavori eseguiti dall’appaltatore, spetta a questo ultimo la prova della entità e della natura dei lavori che egli assume di avere eseguito senza ricevere il pagamento, potendo la prova della sussistenza del diritto al corrispettivo essere considerata acquisita solo per la parte dei lavori per la quale la contestazione sia mancata (Cassazione civile sez. II, 13/09/2016, n.17959). Si afferma quindi di aver fin dall’atto introduttivo del giudizio contestato l’esistenza del contratto di appalto sia la consistenza delle opere effettuate da NOME COGNOME.
Con il terzo strumento impugnatorio, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1657 c.c. per aver il giudice determinato il prezzo dell’appalto in difetto del relativo potere perché le opere erano controverse. Il ricorrente precisa al riguardo che il potere, conferito al giudice dall’art. 1657 c.c., di determinare il prezzo dell’appalto se le parti non ne abbiano pattuito la misura né stabilito il modo per calcolarlo è esercitabile
solo ove non si controverta sulle opere eseguite dall’appaltatore. Pertanto, allorquando il contrasto riguardi anche tale aspetto del rapporto, incombe sull’attore l’onere di fornire la prova dell’entità e della consistenza di dette opere, non potendo il giudice stabilire il prezzo di cose indeterminate, né, d’altra parte, offrire all’attore l’occasione di sottrarsi al preciso onere probatorio che lo riguarda (cfr. Cassazione civile, sez. II, 03/10/2016, n. 1972 e, in termini, anche Cass., Sez. 2, 12 maggio 2016, n. 9768).Nella specie difetterebbero i presupposti per l’esercizio del potere, avendo riguardo al costo di costruzione, da parte del giudice.
4.In subordine, con il quarto motivo si denuncia, ex art. 360, n. 5 c.p.c., la nullità della sentenza per essere la motivazione apparente o perplessa ed obiettivamente incomprensibile nonché per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili stante l’omesso esame di fatti decisivi per la decisione. L’omesso esame riguarderebbe, in particolare, il difetto di iscrizione nel registro delle imprese, l’assenza di mezzi e, in particolare, la totale assenza di prove circa i pagamenti effettuati dal Rizzo. La Corte sussumerebbe il caso concreto allo schema dell’appalto nonostante affermi che: l’appaltatore non fosse un imprenditore ufficialmente iscritto nel registro delle imprese; difettasse, altresì, la titolarità di attrezzature e mezzi propri L’irriducibile contraddittorietà o perplessità della motivazione emergerebbe inequivocabilmente anche in relazione all’omessa considerazione del ‘pacifico quadro emerso’ secondo cui: i lavori erano effettuati da parenti ed amici a titolo gratuito, acclarato, nella prospettazione dei ricorrenti laddove nella sentenza si afferma: il teste COGNOME COGNOME ha effettuato i lavori
gratuitamente, il padre, sig. COGNOME NOME ha aiutato in cantiere, COGNOME NOME lavorava personalmente nel cantiere che dirigeva.
5.In pari subordine alla quarta doglianza, con il quinto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 115, comma primo, c.p.c. ‘per l’omessa valutazione dell’assenza di iscrizione nel registro delle imprese qualora tale circostanza fosse ritenuta pacifica tra le parti e, come tale, non rilevabile ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.’
6.In ultimo subordine, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 4, c.p.c. con il sesto motivo si censura la decisione per essere la motivazione apparente e/o inesistente per la mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, in violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, c.p.c. La Corte avrebbe desunto l’esistenza e qualificato il rapporto nello schema del contratto di appalto incentrando l’esame della controversia sulla distinzione tra contratto d’appalto e contratto d’opera. Nel dettaglio i ricorrenti lamentano che ‘in presenza della contestazione sull’esistenza del contratto di appalto, la Corte avrebbe dovuto, in primis , volgere propri sforzi motivazionali in merito all’accertamento dei presupposti oggettivi prescritti dall’art. 1655 c.c. in luogo di distinguere tra contratto d’appalto e contratto d’opera. Soltanto in seconda battuta e, soltanto laddove rilevante ai fini del decidere, avrebbe potuto compiere la digressione distintiva tra le due figure contrattuali in parola. In conclusione, nella motivazione non si rinviene alcun percorso logicogiuridico che giustifichi la condanna degli odierni ricorrenti al pagamento del corrispettivo per l’appalto di opere ai sensi dell’art. 1655 c.c.’
7.Il ricorso è infondato. Quanto alla prima doglianza si osserva quanto segue. Come evidenziato dalla Corte d’appello, ove facciano difetto circostanze di fatto atte a dimostrare che il committente si sia riservato l’organizzazione e la divisione del lavoro e degli strumenti tecnici, assumendo, quindi, il rischio del conseguimento del risultato ripromessosi, la qualità di imprenditore del soggetto cui sia stata affidata l’esecuzione di un’opera o di un servizio fa presumere che le parti abbiano inteso stipulare un contratto d’appalto e non di opera (Cass. Sez. II, n. 27258/2017). Nella specie la Corte d’appello di Palermo ha fatto corretto uso del principio di cui innanzi qualificando il contratto intercorso tra le parti quale appalto facendo leva sull’importanza dell’opera, costituita dalla costruzione di un abitazione (dammuso) i cui costi di costruzione ammontano a ben 170.000,00 euro (così come emergenti dalla C.T.U. espletata) e sulla qualità di imprenditore, ancorché di fatto, ritenuta sussistente in capo all’odierno controricorrente, in forza delle deposizioni testimoniali assunte nel corso del giudizio.
7.1.La peculiare fattispecie in esame, caratterizzata dal rapporto dapprima affettivo e poi giuridico sussistente tra le parti (la committente era la madre della futura, e poi divenuta, moglie dell’appaltatore) e da una richiesta, ab origine, da parte dell’appaltatore di un corrispettivo comprendente la sola restituzione degli esborsi sostenuti per l’acquisto dei materiali e della manodopera necessari alla costruzione dell’abitazione familiare (ma non il guadagno), è stata, quindi, correttamente inquadrata nell’ambito della disciplina del contratto di appalto.
E’ opportuno, a questo punto, rilevare come questa Corte ha anche precisato che la distinzione tra contratto d’opera e contratto d’appalto, posto che entrambi i hanno in comune l’obbligazione verso il committente di compiere a fronte di corrispettivo un’opera senza vincolo di subordinazione e con assunzione del rischio da parte di chi li esegue, si basa sul criterio della struttura e dimensione dell’impresa a cui sono commissionate le opere, il contratto d’opera essendo quello che coinvolge la piccola impresa desumibile dall’art. 2083 cod. civ., ed il contratto di appalto postulando un’organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato è preposto (Cass., Sez. II, 29 maggio 2001, n. 7307; Cass., Sez. II, 21 maggio 2010, n. 12519). Ma da tale principio non si è discostata la sentenza impugnata, la quale – evidentemente muovendo dalla importanza dell’opera commissionata, riguardante come innanzi evidenziato la costruzione di un fabbricato e tenendo conto del fatto che questa era stata affidata ad un imprenditore – ha ritenuto che la sua esecuzione presupponesse un’organizzazione di impresa tale da ricondurre il contratto alla figura dell’appalto (cfr. Cass., Sez. II, 4 aprile 2017, n. 8700). E l’identificazione della natura dell’impresa interessata, ai fini della qualificazione di un contratto come di appalto o di opera, è rimessa al giudice di merito, coinvolgendo una valutazione delle risultanze probatorie e dei necessari elementi di fatto (Cass., Sez. II, 28 aprile 2011, n. 9459).
7.2. Un’ultima osservazione in relazione alla lamentata assenza di iscrizione al registro delle imprese, circostanza posta a fondamento anche delle censure formulate in subordine.
Una volta acclarata l’esistenza del contratto, e dei suoi presupposti, ciò che rileva al fine del riconoscimento del corrispettivo per il lavoro prestato, è la conclusione del contratto anche nella forma tacita, non essendo prevista alcuna forma ad substantiam . Invero, la nullità prevista dall’art. 2231 c.c. ricorre soltanto quando la prestazione espletata dal professionista rientri tra quelle riservate in via esclusiva ad una determinata categoria professionale, il cui esercizio sia subordinato per legge all’iscrizione in apposito albo o ad abilitazione. Al di fuori di tali attività, vige, infatti, il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi, a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione (Si veda Cass., n. 13342/2018; da ultimo Cass. n. 8450/2023). Nel caso in esame non vi è alcuna norma che subordina il diritto al compenso dell’imprenditore all’iscrizione nel registro delle imprese. Ne consegue che NOME COGNOME aveva diritto di richiedere il pagamento per l’opera svolta in quanto le eventuali violazioni di carattere tributario non incidono sugli aspetti civilistici del rapporto intercorso tra le parti.
8.Il secondo ed il terzo motivo, stante l’evidente connessione, possono essere trattati insieme e sono infondati. Lo stesso ricorrente richiama correttamente Cass. 9768 del 2016 la quale ha ribadito che il potere, conferito al giudice dall’art. 1657 cod. civ., di determinare il prezzo dell’appalto se le parti non ne abbiano pattuito la misura, né stabilito il modo per calcolarlo, sempre che non possa farsi riferimento, per tale calcolo, alle tariffe esistenti e agli usi, è esercitabile solo ove non si controverta sulle opere eseguite dall’appaltatore. Allorquando il contrasto riguardi anche tale aspetto
del rapporto incombe sull’attore l’onere di fornire la prova dell’entità e della consistenza di dette opere, non potendo il giudice stabilire il prezzo di cose indeterminate, né, d’altra parte, offrire all’attore l’occasione di sottrarsi al preciso onere probatorio che lo riguarda. Nella fattispecie al vaglio di questa Corte, alla pari di quella di cui al principio innanzi riportato, è certo e non contestato che i lavori siano stati effettuati (è incontroversa la costruzione del fabbricato adibito ad abitazione familiare nella quale hanno vissuto le parti in causa), è, diversamente, controversa la natura dell’accordo in forza del quale tali lavori sono stati effettuati. Sicché nessuna inversione dell’onere probatorio è stata erroneamente effettuata dal giudice di merito né è stato, quindi, esercitato un potere non spettante.
9.Il quarto motivo segue la sorte del primo ed è infondato. A quanto già evidenziato in relazione alla prima censura deve aggiungersi che la circostanza che NOME COGNOME fosse o non fosse iscritto nel registro delle imprese non è circostanza decisiva ai fini della decisione atteso che, come innanzi già chiarito, le eventuali violazioni di carattere tributario non incidono sugli aspetti civilistici del rapporto intercorso tra le parti.
10.Per quanto riguarda poi la prova dei pagamenti e l’assenza dei mezzi, non sono circostanze pretermesse ma, semplicemente, diversamente valutate dal giudice di merito (si veda la ricostruzione delle prove testimoniali effettuata dalla Corte d’appello da pag. 6 a pag. 8 ove sono state riportate le deposizioni di COGNOME Salvatore, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME COGNOME).
11.Anche i motivi formulati in via subordinata sono infondati e valgono, ancora una volta, le osservazioni già effettuate in precedenza in relazione alla prima censura disattesa. Non vi è, inoltre, motivazione apparente secondo i principi consolidati di questa Corte. Com’è noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016). A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto. Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in
cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914). Nel caso di specie il percorso motivazionale del giudice di merito è chiaro. La Corte d’appello ha escluso che nella specie si trattasse di contratto di prestazione d’opera e sulla base delle emergenze processuali, così come valutate nel complesso in sentenza, ha ritenuto che fosse stato concluso un contratto di appalto tra le parti. Non vi è alcuna contraddittorietà nella decisione impugnata ma ciò che in sostanza i ricorrenti contestano è la valutazione delle emergenze probatorie difforme dalla tesi da loro sostenuta.
12. In conclusione, il ricorso è respinto. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
–
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21/01/2025.