LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Contratto con la P.A.: forma scritta e nullità

La Corte di Cassazione ha confermato la nullità di un contratto d’opera professionale stipulato con un’agenzia pubblica per la mancanza della forma scritta ‘ad substantiam’. Un professionista, incaricato come co-amministratore di beni confiscati, si è visto negare il compenso milionario nonostante anni di lavoro. La Suprema Corte ha stabilito che l’incarico, non provenendo da un’autorità giudiziaria ma da un’agenzia statale, rientrava in un rapporto di diritto privato che esige inderogabilmente la forma scritta per la sua validità, a garanzia di trasparenza e certezza. Di conseguenza, nessun compenso è dovuto per una prestazione basata su un contratto nullo.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contratto con la P.A.: Senza Forma Scritta, Niente Compenso

L’importanza della forma scritta nel contratto con la P.A. è un principio cardine del nostro ordinamento, posto a tutela sia dell’interesse pubblico che del privato contraente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione lo ribadisce con forza, negando un compenso milionario a un professionista a causa della nullità del suo incarico per difetto di forma. Questa decisione sottolinea un rischio che professionisti e imprese non devono mai sottovalutare: la prestazione resa senza un valido contratto scritto con un ente pubblico potrebbe non essere mai pagata.

I Fatti di Causa

Un professionista aveva agito in giudizio contro l’Agenzia del Demanio per ottenere il pagamento del suo compenso per l’attività di co-amministratore giudiziario di un ingente patrimonio confiscato alla criminalità organizzata, svolta per circa sei anni (dal 2001 al 2007). Il Tribunale di primo grado gli aveva dato ragione, liquidando una somma superiore a 1,7 milioni di euro.

Tuttavia, la Corte d’Appello, su ricorso delle agenzie statali, ha ribaltato completamente la decisione. I giudici di secondo grado hanno dichiarato la nullità del rapporto per un vizio insanabile: la mancanza della forma scritta del contratto d’opera professionale, requisito richiesto ad substantiam (cioè per la validità stessa dell’atto) quando una delle parti è la Pubblica Amministrazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Contratto con la P.A.

Investita della questione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del professionista, confermando la decisione d’appello e chiarendo punti fondamentali sulla natura di questi incarichi.

La Distinzione Cruciale: Amministratore Giudiziario vs. Collaboratore Esperto

Il punto centrale della difesa del professionista era che il suo incarico fosse di natura pubblicistica, assimilabile a quello di un amministratore nominato direttamente dall’autorità giudiziaria e quindi non soggetto alle regole dei contratti privati.
La Cassazione ha smontato questa tesi, spiegando che, secondo la normativa applicabile all’epoca (ratione temporis), la nomina di un amministratore giudiziario era di competenza esclusiva del Tribunale. L’Agenzia pubblica, pur avendo compiti di gestione dei beni confiscati, non aveva il potere di nominare un ‘amministratore giudiziario’, ma poteva solo avvalersi di collaboratori e professionisti esterni. Pertanto, l’incarico conferito al ricorrente era un contratto con la P.A. di natura privatistica, un contratto d’opera professionale soggetto alle regole del codice civile e alle leggi sulla contabilità di Stato.

L’Inderogabile Requisito della Forma Scritta

Una volta stabilita la natura privatistica del rapporto, diventa centrale la questione della forma. La legge (in particolare il R.D. 2440/1923) impone che ogni contratto con la P.A., anche quando questa agisce iure privatorum, debba avere la forma scritta a pena di nullità. Questo rigore formale non è un mero capriccio burocratico, ma serve a garantire la trasparenza, la tracciabilità delle decisioni e il controllo della spesa pubblica.
La Corte ha specificato che, sebbene la forma scritta possa essere soddisfatta anche tramite uno scambio di documenti (proposta e accettazione), nel caso di specie il ricorrente non aveva fornito prova di alcun accordo scritto, nemmeno per corrispondenza, che definisse l’oggetto della prestazione e, soprattutto, il compenso.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha respinto tutti i motivi di ricorso. In primo luogo, ha escluso che il giudice d’appello avesse ‘disapplicato’ un atto amministrativo, poiché l’incarico non era un provvedimento autoritativo, ma un semplice atto di gestione di natura contrattuale. Di conseguenza, la giurisdizione apparteneva al giudice ordinario, che aveva il pieno potere di valutarne la validità.
In secondo luogo, ha dichiarato inammissibile il motivo sulla violazione delle norme sulla forma scritta, poiché il ricorrente non aveva dimostrato l’esistenza di alcun documento contrattuale su cui fondare la sua pretesa. Infine, ha respinto l’argomento basato sulla sentenza favorevole ottenuta da un altro professionista coinvolto. La Corte ha chiarito che si trattava di due incarichi distinti e separati, non di un collegio unitario, e che quindi non esisteva alcun vincolo di solidarietà che potesse estendere gli effetti di una decisione all’altro rapporto.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche

La decisione della Cassazione è un monito severo per chiunque si relazioni professionalmente con la Pubblica Amministrazione. L’assenza di un formale contratto scritto, sottoscritto da entrambe le parti e contenente tutti gli elementi essenziali del rapporto (oggetto, durata, compenso), espone al rischio concreto di vedere il proprio lavoro vanificato. La nullità del contratto per vizio di forma impedisce al professionista di pretendere non solo il compenso pattuito, ma anche qualsiasi altra forma di indennizzo. La lezione è chiara: la forma, quando si tratta di un contratto con la P.A., è sostanza.

Un incarico professionale da parte di un’Agenzia Pubblica richiede sempre un contratto scritto?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, quando un’agenzia pubblica affida un incarico a un professionista esterno, non agisce con poteri autoritativi ma stipula un contratto di diritto privato. Tale contratto, per essere valido, deve inderogabilmente avere la forma scritta, come previsto dalle leggi sulla contabilità di Stato, a pena di nullità.

Perché il rapporto è stato considerato nullo, nonostante il professionista avesse effettivamente lavorato per anni?
La nullità deriva dal vizio di forma, ovvero la mancanza di un contratto scritto. Questo requisito è richiesto ‘ad substantiam’, cioè per l’esistenza stessa del contratto. Se manca, il contratto è come se non fosse mai esistito e non può produrre alcun effetto giuridico, compreso l’obbligo di pagare il compenso, indipendentemente dal fatto che la prestazione sia stata effettivamente eseguita.

La sentenza favorevole ottenuta da un altro co-amministratore nello stesso incarico poteva aiutare il ricorrente?
No. La Corte ha stabilito che non si trattava di un incarico ‘collegiale’ con un’obbligazione solidale, ma di due distinti e separati rapporti professionali. Ogni professionista aveva un proprio legame contrattuale con l’Agenzia. Di conseguenza, la vicenda giudiziaria di uno non poteva avere effetti su quella dell’altro, e la sentenza favorevole ottenuta dal collega non poteva essere invocata a proprio vantaggio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati