Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22791 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22791 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19295 – 2023 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso con il prof. avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
AGENZIA NAZIONALE PER L’AMMINISTRAZIONE E LA DESTINAZIONE DEI BENI SEQUESTRATI E CONFISCATI ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA e RAGIONE_SOCIALE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, domiciliate in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura dello Stato che le rappresenta e difende ope legis ;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1229/2023 del 29 giugno 2023, resa dalla CORTE D’APPELLO DI PALERMO, notificata in data 30 giugno 2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/1/2025 dal consigliere NOME COGNOME
letta la memoria del ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 1/12/2009, NOME COGNOME convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Palermo, l’ Agenzia del Demanio, al fine di chiedere il pagamento del compenso professionale per l’attività di co -amministratore giudiziario, svolta dal 22 maggio 2001 al 13 marzo 2007, di tutti i beni di tutti i beni personali e aziendali riconducibili al prevenuto NOME COGNOME giusta decreto di confisca n. 81/94 reso dal Tribunale di Palermo il 30 giugno 1995, divenuto definitivo il 16 febbraio 2000.
Dedusse di essere stato incaricato con provvedimento dell’Agenzia del Demanio, unitamente a NOME COGNOME al fine di operare congiuntamente a NOME COGNOME già amministratore giudiziario nominato dall’autorità giudiziaria per la gestione dei beni confiscati.
Con sentenza n. 1868/2017, il Tribunale di Palermo accolse parzialmente la domanda, riducendo la pretesa e condannando l’Agenzia del Demanio al pagamento di E uro 1.788.136,86, oltre interessi legali dalla decisione fino al soddisfo, a titolo di compenso per l’attività di co -amministratore giudiziario prestata dall’istante.
Nel merito, al fine di determinare l’importo del compenso, fece applicazione dei criteri di cui all’art. 2 octies l.n. 575/1965, utilizzando quindi come riferimento il valore del patrimonio amministrato, l’opera prestata, i risultati ottenuti e le tariffe professionali vigenti al momento dell’espletamento dell’incarico.
Avverso la sentenza n. 1868/2017, l’Agenzia del Demanio e l’Agenzia Nazionale per l’ amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, subentrata in tutte le funzioni in materia di gestione dei beni confiscati e quindi legittimata ad impugnare, proposero impugnazione dinanzi la Corte d’appello di Palermo.
Con sentenza n. 1229/2023, la Corte d’appello di Palermo accolse l’appello principale e rigettò la domanda di NOME COGNOME condannandolo al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio; ritenne, infatti, fondata l’eccezione , come sollevata dall’Agenzia in appello, di nullità del contratto d’opera professionale, posto a fondamento della pretesa, per difetto di forma scritta, richiesta dalla legge ad substantiam .
Innanzitutto, infatti, la Corte d’appello ritenne non applicabile la normativa speciale dell’art. 17 r .d. 2240/23 che prevede la possibilità di concludere contratti a distanza quando il rapporto intercorre con ditte commerciali; rilevò, quindi, che l’appellato era stato nominato per affiancare l’amministratore giudiziario nominato dall’ autorità giudiziaria quale «professionista esperto» e che per questo incarico era necessaria la forma scritta, prescritta dal citato r.d. 18 novembre 1923, n. 2240.
Avverso la sentenza n. 1229/2023 della Corte d’appello di Palermo, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a cinque motivi, illustrati da successiva memoria ; l’Agenzia del Demanio e l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata hanno resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, NOME COGNOME ha lamentato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 sexies e 2 novies l.n. 575/1965 e dell’art. 17 r.d. n. 2440/1923 per aver e la Corte d’appello
ritenuto sussistente il vizio di nullità dell’incarico per mancanza della forma scritta ad substantiam .
In particolare, sarebbe stato già riconosciuto, in giurisprudenza, che per la valida stipulazione dei contratti con la Pubblica Amministrazione, anche diversi da quelli conclusi a trattativa privata con ditte commerciali, il requisito della forma scritta ad substantiam non postula necessariamente la redazione di un unico documento, sottoscritto contestualmente dalle parti, dal momento che l’ art. 17 del r.d. n. 2440 del 1923 contempla ulteriori ipotesi in cui il vincolo contrattuale si forma mediante l’incontro di dichiarazioni scritte, manifestate separatamente, che per l’Amministrazione possono assumere anche la forma dell’atto amministrativo; pertanto, l’ art. 17 consentirebbe di riconoscere, per i contratti conclusi a trattativa privata, la possibilità della loro stipulazione mediante lo scambio di missive recanti rispettivamente la proposta e l’accettazione, entrambe sottoscritte ed inscindibilmente collegate, in modo da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo ; la disciplina della nomina degli amministratori giudiziari di cui alla l.n. 575/1965, peraltro, dovrebbe considerarsi speciale e quindi prevalente rispetto a quella di cui al r.d. n. 2440/1923 e la nomina sarebbe comunque avvenuta su base fiduciaria; in tal senso avrebbe pure argomentato la Corte di Giustizia Europea nella causa C-264/18 del 6 giugno 2019.
1.2. Con il secondo motivo, NOME COGNOME ha lamentato, in riferimento al n. 1 e al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per motivi attinenti alla giurisdizione, avendo la Corte d’appello operato un inammissibile sindacato sulla legittimità del provvedimento amministrativo di nomina, determinandone di fatto la sua disapplicazione; la nomina sarebbe, invece, incensurabile dal Giudice ordinario in quanto avvenuta per mezzo di un provvedimento amministrativo; il sindacato dell’atto
amministrativo dal Giudice civile sarebbe dunque limitato al solo riscontro dell’ esistenza ed efficacia del provvedimento; l’incarico di amministratore giudiziario, sia nella vigenza della l.575/1965 prima che, poi, nella vigenza del d.l. 4/2010, come convertito in legge n.50/2010, non potrebbe mai essere ricondotto a un rapporto iure privatorum ; in ogni caso, il provvedimento di nomina avrebbe costituito diritti soggettivi e, in ogni caso, non essendo stato oggetto di impugnativa risulterebbe consolidato nei suoi effetti.
1.3. Con il terzo motivo, NOME COGNOME ha lamentato, in riferimento al n. 1 e al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per avere la Corte d’appello erroneamente e illegittimamente disapplicato il provvedimento amministrativo recante la sua nomina come amministratore giudiziario. Secondo il ricorrente, «nei casi in cu i l’atto amministrativo si pone come fonte del diritto soggettivo, cioè ne integri uno dei fatti costitutivi, deve escludersi l’esercizio del potere di disapplicazione, perché, in realtà, la configurazione sostanziale del rapporto imporrebbe al giudice ordinario di conoscere in via principale della legittimità dell’atto» ; la dichiarazione di nullità, inoltre, sarebbe in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale che ammetterebbe un sindacato di legittimità dell’azione amministrativa sol tanto orientato alla tutela del diritto soggettivo del privato ed escluderebbe la disapplicazione in peius per il privato.
1.4. Con il quarto motivo, NOME COGNOME ha lamentato, in riferimento al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. la nullità della sentenza per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sull’eccezione di giudicato ex art. 1306 cod. civ. : è divenuta, infatti, irrevocabile la sentenza con cui è stato riconosciuto al coamministratore dott. COGNOME il compenso per l’attività svolta ; questo giudicato spiegherebbe i suoi effetti anche nel giudizio per cui
è causa perché l’obbligazione di pagamento del compenso ai componenti del collegio costituisce un’ obbligazione solidale.
1.5. Con il quinto motivo, NOME COGNOME ha lamentato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , la violazione e falsa applicazione dell’art. 1306, secondo comma, cod. civ.: in quanto co-creditore, egli potrebbe giovarsi della decisione favorevole emessa nei confronti dell’altro co -amministratore, posto che nei rapporti di solidarietà la sentenza di merito favorevole produce effetto nei confronti di tutti i contitolari.
I motivi sub 2 e 3, con cui è stata prospettata l’illegittimità della pronuncia di rigetto della domanda di compenso per la nullità del contratto d’opera professionale perché, nella fattispecie, non sarebbe ravvisabile un rapporto iure privatorum e perché non sarebbe configurabile una «disapplicazione in peius » del provvedimento amministrativo, sono infondati.
2.1. La Corte d’appello ha fondato la decisione di rigetto della domanda di liquidazione del compenso, rilevando la nullità del contratto d’opera intercorso tra Agenzia del Demanio per difetto della forma scritta.
Ha precisato, innanzitutto, che, poiché l’incarico è stato conferito nel 2001, alla fattispecie si applicava, ratione temporis, la legge 565/1975, come modificata nel 1989 con decreto legge 14/06/1989 n. 230, convertito in legge 4 agosto 1989, n. 282, recante «disposizioni urgenti per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati ai sensi della l. 31 maggio 1965, n. 575», prima della modifica operata dal decreto legge 04/02/2010 n. 4, come convertito in legge 31 marzo 2010, n. 50, che ha istituito l’Agenzia nazionale per l’ammini strazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e, evidentemente, prima della successiva abrogazione ad opera del decreto legislativo 06/09/2011 n. 159 (Codice antimafia):
l’art. 2 sexies della legge 575/65 prevedeva che dopo il decreto di confisca di primo grado, l’amministrazione dei beni fosse conferita all’Agenzia, che poteva avvalersi di uno o più coadiutori; a mente dell’art. 2 nonies , dopo la confisca, l’amministratore di cui all’art. 2 sexies svolgeva le proprie funzioni sotto il controllo del competente ufficio del territorio del Ministero delle Finanze.
L ‘avv. COGNOME è stato nominato , nel 2001, per affiancare il dott. NOME COGNOME già amministratore giudiziario nominato dall’ autorità giudiziaria, svolgendo le proprie funzioni sotto il controllo della pubblica amministrazione; la nomina è seguita all’ espressa sollecitazione del Commissario straordinario del Governo per la gestione e destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri che, con nota del 10 maggio 2001, «considerata ( … ) la variegata complessità delle problematiche collegate alle società del gruppo Jenna», aveva ritenuto «necessario, al fine di giungere al più presto alla loro soluzione e alla loro conseguente destinazione», sollecitare l’Agenzia a valutare «la possibilità di affiancare all’attuale amministratore giudiziario ( … ) altri professionisti esperti nelle diverse discipline di diritto, così da costituire un collegio di amministratori» che «meglio ed in minor tempo» avrebbe potuto operare, specificando altresì i nominativi di due professionisti: un avvocato e un commercialista.
La Corte d’appello ha poi ritenuto che «l’incarico sebbene qualificato come collegiale -in realtà, aveva ad oggetto due rapporti scindibili instaurati con altrettanti professionisti, in ragione della loro specifica (differente) competenza, non potendo ipotizzarsi, tra così diverse professionalità, che un mero coordinamento e non già una attività propriamente unitaria tale da dare luogo ad una prestazione indivisibile».
In tal senso, esclusa la rilevanza del precedente giudicato nei confronti dell’altro esperto, la Corte territoriale ha ritenuto la nullità del contratto d’opera perché «l’incarico di un ‘professionista esperto’ da affiancare all’amministratore giudiziario – unico soggetto che, ope legis , proseguiva l’attività di gestione dei beni confiscati, prima espletata per l’A.G., sotto la direzione della P.A. – avrebbe necessitato della forma scritta, prescritta dal citato r.d. 18 novembre 1923, n. 2240», in quanto non riconducibile alla nomina dell’ autorità giudiziaria ex l. 565/1975.
2.2. Così decidendo, la Corte d’appello ha correttamente ricostruito la fattispecie secondo la normativa vigente all’epoca dell’incarico e anteriore alle modifiche intervenute nel 20 10: la nomina dell’avv. COGNOME infatti, adottata dall’Agenzia del demanio il 22 maggio 2001, non è stata effettuata dall’Agenzia nell’esercizio di un potere autoritativo o della facoltà di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, ma consiste soltanto in un incarico professionale -e, dunque, in un rapporto di diritto privato di collaborazione -conferito dall’Agenzia nell’esercizio del suo potere di gestione finalizzata alla conservazione e all’amministrazione dei beni confiscati.
Ciò perché nel 2001, secondo l’art. 2 sexies della legge 575/1965 (richiamato, con i successivi articoli di seguito esaminati, nello stesso provvedimento di nomina), l’amministratore giudiziario era nominato dall’autorità giudiziaria (Tribunale o Presidente del Tribunale), con il giudice delegato, con il provvedimento di sequestro; era l’amministratore giudiziario a provvedere alla custodia, alla conservazione e all’amministrazione dei beni sequestrati anche nel corso degli eventuali giudizi di impugnazione, sotto la direzione del giudice delegato.
Secondo i commi 1 e 2 del successivo art. 2 novies , dopo la confisca dei beni e la loro devoluzione allo Stato, l’amministratore
svolgeva le proprie funzioni sotto il controllo del competente ufficio del territorio del Ministero delle finanze.
Con la nomina dell’avv. COGNOME dunque, l’Agenzia poteva unicamente avvalersi di un collaboratore esperto, evidentemente esterno alla pubblica amministrazione, ma non poteva provvedere, non avendone competenza perché riservata all’autorità giudiziaria, né alla nomina di un ulteriore amministratore giudiziario, né alla costituzione di un collegio di amministratori.
Peraltro, la distinzione tra amministratore giudiziario e coadiutore della Pubblica amministrazione è rimasta immutata anche a seguito delle modifiche introdotte con il citato decreto legge n. 4/2010, come convertito in legge n.50/2010: sia al comma 1 che al comma 3 del modificato art. 2 octies , infatti, erano state distinte esplicitamente, tra le spese di gestione della procedura, oltre le spese necessarie o utili per la conservazione e l’amministrazione dei beni dall’amministratore, le spese come sostenute dall’Agenzia nazionale «per i coadiutori».
Per queste considerazioni, l’incarico era ed è configurabile soltanto di natura privatistica, né il generico coinvolgimento di un pubblico interesse è sufficiente per sé solo a fondare la giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. sul punto, S.U. n. 16755/14), in difetto, nello specifico, di una previsione normativa che conferisse all ‘Agenzia e alla Pubblica amministrazione un potere autoritativo in merito o la facoltà di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo.
In tal senso, la Corte d’appello ha dichiarato la nullità del contratto d’opera per difetto di forma, sicché ogni questione sulla disapplicazione di un atto amministrativo con effetti sfavorevoli per il destinatario non è conferente, nella fattispecie.
Inammissibile è il motivo sub 1, con cui il ricorrente COGNOME ha lamentato la violazione dell’art. l’art. 17 per non avere la Corte
d’appello considerato che la norma consente di riconoscere, per i contratti conclusi a trattativa privata, la possibilità della loro stipulazione mediante lo scambio di missive recanti rispettivamente la proposta e l’accettazione, entrambe sottoscritte ed inscindibilmente collegate, in modo da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo .
Ai sensi dell’ art. 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, invero, il contratto d’opera professionale con la P.A., ancorché quest’ultima agisca iure privatorum , deve rivestire, la forma scritta ad substantiam -strumento di garanzia nell’interesse del cittadino -risultando imprescindibile, a pena di nullità, la redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo assegnatario del potere di rappresentare l’ente interessato nei confronti dei terzi.
È vero che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, al fine di soddisfare il requisito della forma scritta ad substantiam , i contratti conclusi dalla P.A. non postulano la necessaria contestualità di proposta e accettazione, essendo sufficiente che le stesse, pur se contenute in documenti distinti, siano consacrate in un unico testo (Cassazione civile, sez. II, 20/10/2023, n. 29237).
Nella fattispecie, tuttavia, dal ricorso non risulta alcun elemento di fatto portato all’attenzione del Giudice del merito che consentisse di ravvisare, sia pure non in un unico documento, un accordo scritto.
Si consideri, infatti, che, come risulta dal ricorso, non risulta avvenuta la preventiva pattuizione del compenso, necessaria per il perfezionamento dell’accordo (cfr. tra le tante, Sez. 2, n. 484 del 10/01/2013) : in senso contrario non rileva il riferimento all’art. 2 octies nella formulazione operante ratione temporis atteso che l’articolo regolamentava il compenso dell’amministratore giudiziario nominato
dall’autorità giudiziaria e dai coadiutori di cui egli si fosse avvalso per autorizzazione del Giudice delegato.
Infondati sono anche il quarto e il quinto motivo , con cui l’avv. COGNOME ha invocato il giudicato formatosi sulla sentenza di riconoscimento del compenso in favore dell’altro coadiutore COGNOME e la conseguente violazione dell’art. 1306, secondo comma, cod. civ. , per non essere stati estesi gli effetti favorevoli della suddetta pronuncia anche in suo favore.
Sul punto, devono essere qui riportate le considerazioni già svolte al punto 2.2. rispetto alla carenza di potere della Pubblica amministrazione di provvedere alla nomina di un amministratore giudiziario o di un collegio di amministratori: tra l’incarico all’odierno ricorrente, pertanto, e l’incarico all’altro coadiutore COGNOME non può ritenersi sussistente alcun vincolo di solidarietà.
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna del ricorrente NOME COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore del l’Agenzia del Demanio e del l’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore dell’Agenzia del Demanio e dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalità organizzata, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda