Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1998 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1998 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
Il Tribunale di Catania, in accoglimento del ricorso di NOME COGNOME, dipendente del RAGIONE_SOCIALE di Catania destinata presso l’ufficio stampa con ordine di servizio n. 6/95 con la qualifica di redattore capo del CCNL RAGIONE_SOCIALE dal 1.6.2003 in forza dell’accordo di conciliazione del 2.4.2003, ha condannato il RAGIONE_SOCIALE di Catania al pagamento delle differenze retributive derivanti dall’applicazione del contratto collettivo regionale del 24.10.2007, con decorrenza dalla data di sospensione dei relativi emolumenti (18.12.2009), ed ha rigettato la domanda di risarcimento del danno.
Il Tribunale ha ritenuto che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 189/2007, alla COGNOME dovesse riconoscersi il diritto all’inquadramento come redattore capo, con la conseguente applicazione del CCNL RAGIONE_SOCIALE, in forza dell’accordo collettivo regionale del 24 ottobre 2007.
La Corte di Appello di Catania, in accoglimento dell’appello del RAGIONE_SOCIALE di Catania, ha rigettato le domande della COGNOME.
La Corte territoriale, richiamata la giurisprudenza di legittimità secondo cui la mancata stipulazione dell’accordo integrativo previsto dall’art. 2 comma 3 dell’accordo collettivo regionale del 24 ottobre 2007 determina l’inapplicabilità del suddetto accordo per difetto del profilo funzionale connesso alla mancanza della necessaria valutazione di compatibilità rimessa alle amministrazioni locali, non ha condiviso la decisione del rimo giudice.
Ha escluso la tardività del rilievo riguardante l’applicabilità del contratto collettivo invocato per mancata adozione della contrattazione integrativa, essendo la questione inerente alla corretta applicazione del testo contrattuale e
pertanto rilevabile anche d’ufficio (laddove le parti avevano comunque formulato specifiche difese).
Ha inoltre ritenuto che ai sensi dell’art. 6 del contratto regionale e dell’art. 9 comma 5 della legge n. 150/2000 (disposizione che costituisce principio fondamentale ai sensi dell’art. 117 Cost. e si applica anche alle regioni a Statuto speciale), l’applicazione del contratto RAGIONE_SOCIALEco al personale di ruolo non può comportare ulteriori oneri per l’ente e ha ritenuto assorbiti gli altri motivi.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, illustrati da memoria.
Il RAGIONE_SOCIALE di Catania ha resistito con controricorso.
DIRITTO
Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per violazione art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di avere omesso ogni statuizione sulla questione preminente della domanda originaria, relativa alla legittimità del provvedimento di sospensione, e di avere fondato la decisione di diniego del riconoscimento del trattamento contrattuale su motivi diversi da quelli indicati nel provvedimento di sospensione ed introdotti in giudizio dal RAGIONE_SOCIALE di Catania, che non aveva mai annullato in autotutela il provvedimento n. NUMERO_DOCUMENTO del 2.7.2003.
Critica la sentenza impugnata per avere trasformato l’atto di sospensione in un atto di annullamento, la cui adozione era di esclusiva competenza del RAGIONE_SOCIALE di Catania.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 437 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Deduce l’inammissibilità dell’eccezione di inefficacia del contratto collettivo regionale, tardivamente proposta dal RAGIONE_SOCIALE solo nella memoria finale del giudizio di appello.
Argomenta che tale eccezione non è rilevabile d’ufficio, in quanto non riguarda profili di nullità del contratto regionale, ed è stata proposta in violazione del principio di tempestiva allegazione.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di non avere indicato alle parti la questione relativa all’inesistenza del contratto aziendale, sollevata dal RAGIONE_SOCIALE di Catania solo nella memoria finale.
Il quarto motivo denuncia il difetto di istruttoria e di motivazione, nonché la violazione dell’art. 420 bis cod. proc. civ.
Sostiene che le questioni relative all’interpretazione di una clausola del contratto collettivo devono essere risolte con sentenza parziale del giudice di primo grado immediatamente ricorribile per cassazione, non essendo consentita una valutazione delle clausole contrattuali nel giudizio di appello.
Addebita alla Corte territoriale di avere irritualmente introdotto in giudizio una valutazione di inefficacia, e non di nullità, della clausola contrattuale consentita solo in primo grado, e per avere emesso una sentenza definitiva in aperto contrasto con l’art. 420 bis cod. proc. civ.
Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 1362 ss. cod. civ. , l’errata interpretazione del contratto regionale, nonché il difetto di istruttoria e la carenza di motivazione, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Lamenta che la Corte territoriale non ha attribuito rilievo alla comune volontà delle parti, quale canone ermeneutico delle clausole del contratto collettivo, omettendo di considerare che il RAGIONE_SOCIALE aveva già istituito il profilo di redattore Capo, attribuendo alla COGNOME il relativo trattamento economico ed aveva mantenuto inalterato il profilo professionale anche dopo la sospensione del trattamento economico.
Sostiene che il RAGIONE_SOCIALE di Catania aveva sostanzialmente applicato il contratto regionale, mantenendo il posto in organico di Capo Redattore e certificandone la compatibilità economica anche dopo la sentenza della Corte costituzionale, attraverso il bilancio di revisione e pluriennale.
Il sesto motivo denuncia l’errata interpretazione del contratto collettivo regionale, nonché l’insussistenza, la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione.
Lamenta che la sentenza impugnata ha disatteso fatti incontestati ed incontrovertibili emersi in corso di causa, evidenziando che la COGNOME era già beneficiaria del trattamento economico scaturente dal CCNL dei RAGIONE_SOCIALE e che pertanto l’applicazione del contratto regionale non avrebbe comp ortato alcun nuovo ed ulteriore onere per il RAGIONE_SOCIALE.
Aggiunge che un supposto maggiore onere non poteva scaturire nemmeno dal provvedimento di sospensione del 2009 (impugnato in giudizio), che imponeva comunque la previsione in bilancio e l’impegno di spesa.
Deduce che tale argomento è stato completamente disatteso dalla Corte territoriale, senza una minima argomentazione a contrario .
Il settimo motivo denuncia la violazione dell’art. 92 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Lamenta che la sentenza impugnata ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, senza tenere conto del radicale mutamento della giurisprudenza, intervenuto con la sentenza n. 488/2017 della Suprema Corte.
Il primo motivo è inammissibile.
La Corte territoriale ha innanzitutto evidenziato che con sentenza n. 189/2007 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 1, della L.R. n. 33/1996 nella parte in cui prevede va l’applicazione del contratto nazionale di lavoro RAGIONE_SOCIALEco anche ai RAGIONE_SOCIALE che fanno parte degli uffici stampa degli enti locali; dell’art. 16, comma 2, della L.R. n. 8/2000,
nella parte in cui prevedeva l’applicazione del la qualifica e del trattamento contrattuale di capo servizio anche ai componenti degli uffici stampa degli enti locali, nonché dell’art. 127, comma 2, della L.R. n. 2/2002, nella parte in cui prevedeva l’attribuzione della qualifica e del trattamento contrattuale di redattore capo, in applicazione del contratto nazionale di lavoro RAGIONE_SOCIALEco, ai RAGIONE_SOCIALE componenti gli uffici stampa già esistenti presso gli enti locali.
Avendo ritenuto che a seguito della sentenza n. 189/2007 della Corte costituzionale non potesse essere riconosciuto alla COGNOME il diritto all’applicazione del CCNL RAGIONE_SOCIALE in virtù dell’Accordo regionale del 24 ottobre 2007, la Corte territoriale si è dunque pronunciata sulla sospensione dell’applicazione del CCNL RAGIONE_SOCIALE adottata dal RAGIONE_SOCIALE di Catania con provvedimento del 12.12.2009, che ha fatto seguito all’applicazione della suddetta sentenza.
Tale statuizione è corretta, atteso che il provvedimento del 12.12.2009 trova il suo fondamento proprio nell’applicazione nella sentenza n. 189/2007 della Corte costituzionale .
9. Il secondo motivo è inammissibile.
La Corte territoriale ha infatti escluso la tardività del rilievo riguardante l’inapplicabilità del contratto collettivo invocato per mancata stipulazione della contrattazione integrativa; dopo avere evidenziato che la questione è rilevabile anche d’ufficio in quanto riguardante la corretta applicazione del testo contrattuale, ha rilevato che le parti avevano formulato specifiche difese, e tali statuizioni non sono state adeguatamente censurate.
Dalla sentenza impugnata risulta infatti che la ricorrente nel giudizio di primo grado ha dedotto l’illegittimità del provvedimento di sospensione adottato in data 18.12.2009 invocando il contratto collettivo firmato dall’Assessorato regionale e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Regionale il 16 novembre 2007, e stipulato al fine di rendere applicabile la disciplina collettiva specifica per il rapporto di lavoro RAGIONE_SOCIALEco ai dipendenti addetti all’ufficio stampa degli enti
locali, a seguito della sentenza n. 189/2007, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del’art.127, secondo comma, della legge n. 2/2002.
La ricorrente ha dunque introdotto in giudizio tutte le questioni relative al medesimo contratto, ivi comprese quelle riguardanti la sussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione del medesimo , che la stessa ricorrente aveva l’onere di dimostrare in quanto le aveva poste a fondamento della domanda.
3. Il terzo motivo è inammissibile, difettando i presupposti argomentativi per la configurazione di una nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa.
La Corte territoriale ha infatti evidenziato che entrambe le parti hanno formulato specifiche difese ed il motivo, nel lamentare che il RAGIONE_SOCIALE di Catania solo nella memoria finale aveva dedotto che l’efficacia dell’accordo regionale era subordinata all’adozione del contratto integrativo, non è autosufficiente, in quanto non riporta né localizza gli atti delle parti relativi al giudizio di primo grado.
L’onere della parte di indicare puntualmente il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure è stato recentemente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, sia pure nell’ambito dell’affermata necessità di non intendere il principio di autosufficienza del ricorso in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza C.E.D.U. Succi e altri c. Italia del 28.10.2021 (Cass. SU n. 8950/2022).
Deve peraltro rammentarsi che i vizi dell’attività del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non sono posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato ‘error in procedendo’ (Cass. 9/7/2014 n. 15676).
La violazione di norme processuali può costituire motivo idoneo di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., solo quando abbia influito in modo determinante sul contenuto della decisione di merito, ovvero allorché
quest’ultima – in assenza di tale vizio – non sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata (Cass. n. 22978/2015).
Anche il quarto motivo è inammissibile.
La Corte non si è infatti pronunciata ai sensi dell’art. 420 bis cod. proc. cv; il motivo introduce dunque una questione nuova che non trova alcun riscontro nella sentenza impugnata.
Ciò premesso, le Sezioni Unite di questa Corte con ordinanza n. 19874 del 2018 hanno rammentato che nel giudizio di cassazione, il quale ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (vedi, per tutte: Cass. SU 26 luglio 2018, n. 19874; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038; Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 26 marzo 2012, n. 4787; Cass. 30 marzo 2000, n. 3881; Cass. 9 maggio 2000, n. 5845; Cass. 5 giugno 2003, n. 8993; Cass. 21 novembre 1995, n. 12020); pertanto, qualora una determinata questione giuridica che implichi un accertamento in fatto e che non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, deve denunciarne l’omessa pronuncia indicando, in conformità con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quale atto del giudizio di merito abbia già dedotto tale questione, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità e la ritualità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la relativa censura (tra le tante: Cass. 29 gennaio 2003, n. 1273; Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. 21 febbraio 2006 n.3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518; Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 23 settembre 2016, n. 18719; Cass. SU 26 luglio 2018, n. 19874; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038).
Deve comunque rammentarsi che la procedura di cui all’art 420 bis cod. proc. civ., che riguarda solo i contratti collettivi nazionali, non è obbligatoria, ma
è utilizzabile solo nei casi in cui la clausola contrattuale sia di contenuto oscuro e possa prestarsi a diverse e contrastanti letture interpretative, oppure sia sospettabile di nullità o inefficacia (Cass. n. 5230/2007).
Il quinto e il sesto motivo, da trattare congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono inammissibili, in quanto privi del carattere della decisività.
I suddetti motivi non considerano infatti che l’applicazione del contratto regionale è stata esclusa dalla Corte territoriale, in quanto tale contratto presuppone la stipula del contratto integrativo, che non può prevedere a carico dell’Amministrazione oneri economici superiori a quelli stabiliti dal CCNL.
Né sussiste l’omessa motivazione denunciata, avendo la Corte territoriale ritenuto pacifico che l’applicazione del contratto RAGIONE_SOCIALEco al personale di ruolo inquadrato in categoria C 6 avrebbe comportato maggiori oneri per l’ente (pag. 10 della sentenza impugnata).
Ciò premesso, deve rammentarsi che l’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. fa riferimento solo ai contratti collettivi ‘nazionali’, non estendendosi l’assimilazione alle norme di legge agli atti di autonomia collettiva che non abbiano carattere nazionale, come i contratti regionali, quelli provinciali anche delle Province autonome di Trento e Bolzano, i contratti integrativi, gli accordi aziendali e così via, in ragione della loro efficacia limitata, diversa da quella propria degli accordi e contratti collettivi nazionali, che sono oggi oggetto di esegesi diretta da parte della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., come modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006 (Cass. 14 agosto 2004, n. 15923; Cass. 19 settembre 2007, n. 19367; Cass. 4 febbraio 2010, n. 2625; Cass. 8 febbraio 2010, n. 2742; Cass. 15 febbraio 2010, n. 3459; Cass. 9 settembre 2014, n. 18946; Cass. 14 gennaio 2021, n. 551).
Si è in proposito chiarito che tale disciplina ha la sua ratio oltre che nell’efficacia nazionale dei contratti suindicati anche nel particolare regime di pubblicità di cui all’art. 47, comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001, che è proprio dei suddetti contratti collettivi nazionali, di cui all’art. 47, comma 8, del d.lgs. n.
165 del 2001 (Cass. 11 aprile 2011, n. 8231); ne deriva che, anche nel lavoro pubblico, l’eventuale vizio di interpretazione o applicazione degli atti collettivi non ‘nazionali’ non è censurabile in cassazione per violazione di norme di diritto, ma soltanto per violazione di canoni di ermeneutica contrattuale ovvero per violazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. se ne ricorrono i presupposti e sempre provvedendo al deposito del testo integrale dell’atto richiamato.
Una volta esclusa l’applicabilità ai contratti regionali dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., opera il principio, parimenti consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ.
Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. n. 17168/2012; Cass. n. 9054/2013; Cass. n. 10271/2016 e Cass. n. 3829/2021).
Nel caso di specie la ricorrente, pur avendo formalmente menzionato la violazione dei canoni di cui all’art. 1362 cod. civ., propone un’interpretazione diretta del contratto regionale sollecitando un giudizio di merito, anche attraverso la disamina delle delibere della Giunta Municipale nn. 879/2010 e 150/2916.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri,
in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Anche settimo motivo è inammissibile.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese secondo soccombenza, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. S.U. n. 14989 del 2005; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11329/2019).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo della ricorrente di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 20 dicembre 2023.
Il Presidente
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME