Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16150 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. L Num. 16150 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11542/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE , domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME -ricorrente –
contro
NOME COGNOME , domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente –
Oggetto: Lavoro pubblico contrattualizzato – Svolgimento mansioni superiori – Differenze retributive – Disciplina applicabile – L.R. Sicilia 10/2000
R.G.N. 11542/2019
Ud. 22/05/2024 CC
avverso la sentenza della Corte d’appello Messina n. 722/2018 depositata il 03/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 22/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 722/2018, pubblicata in data 3 ottobre 2018, la Corte d’appello di Messina, nella regolare costituzione dell’appellato RAGIONE_SOCIALE, ha accolto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Messina n. 648/2014, condannando l’appellato alla corresponsione dell’importo di € 4.598,73, ‘oltre all’importo corrispondente alle differenze sulla indennità di cantiere’ , a titolo di differenze retributive tra il livello A1 e il livello A del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per lo svolgimento di mansioni superiori per il periodo dal 15 novembre 2005 al 28 febbraio 2007.
NOME COGNOME, dipendente del RAGIONE_SOCIALE fino al 30 giugno 2008, aveva adito il Tribunale di Messina, riferendo di essere stato incaricato, a partire dal 1997, di svolgere le mansioni di geometra capo lotto, continuando a svolgere tali mansioni fino al 28 febbraio 2007.
Aveva dedotto che tali mansioni erano ascrivibili alla qualifica di responsabile di unità organizzativa o capo ufficio, livello A, mentre egli era inquadrato come geometra nel livello A1.
Aveva quindi agito per il riconoscimento del diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori, precisando di avere già proposto analogo giudizio, conclusosi con sentenza n.3425/2009, che aveva riconosciuto lo svolgimento delle mansioni di capo lotto, superiori al livello di inquadramento, con la condanna al pagamento delle differenze retributive fino al novembre 2005.
Il Tribunale di Messina aveva disatteso la domanda, rilevando che il RAGIONE_SOCIALE, nonostante la natura di ente pubblico non economico, aveva applicato ai propri dipendenti la contrattazione collettiva regolante il rapporto di lavoro alle dipendenze di società che gestiscono strade e autostrade, anziché la contrattazione collettiva regionale, prevista dall’art. 24, L.R. Sicilia 10/2000.
Il Tribunale, quindi, aveva affermato che l’adozione di una contrattazione collettiva diversa da quella prevista per legge aveva comportato la violazione di una norma imperativa, con conseguente nullità delle delibere del RAGIONE_SOCIALE che ne avevano disposto l’estensione al proprio personale, ed aveva concluso che la domanda risultava fondata sull’applicazione di previsioni contrattuali collettive invece non applicabili.
La Corte d’appello di Messina ha condiviso la decisione del giudice di prime cure, nella parte in cui quest’ultimo aveva qualificato il RAGIONE_SOCIALE come ente pubblico non economico, ed ha quindi concluso -anche sulla scorta di pareri resi dal RAGIONE_SOCIALE Giustizia RAGIONE_SOCIALE della Regione Sicilia – che i rapporti di lavoro dell’appellato dovevano essere regolati dalla L.R. Sicilia 10/2000, ed in particolare dagli artt. 13 e 24, con esclusione della possibilità di integrare detta disciplina con le previsioni tratte dalla contrattazione collettiva di tipo privatistico.
La Corte territoriale, tuttavia, ha rilevato che, al momento dell’entrata in vigore della L.R. Sicilia 10/2000, il RAGIONE_SOCIALE aveva già da tempo approvato norme regolamentari per il personale -approvate in conformità della L.R. Sicilia n. 44/1994 -continuando a dare applicazione a tali norme anche dopo l’approvazione della L.R. Sicilia 10/2000 – e quindi facendo esclusivo riferimento al regolamento per il personale ed al RAGIONE_SOCIALE -sino all’anno 2010.
La Corte ha ritenuto, quindi, che lo svolgimento delle mansioni superiori dedotto dall’appellante si era verificato in un periodo nel quale il RAGIONE_SOCIALE applicava di fatto ai propri dipendenti il contratto privatistico, pur essendo ten uto all’applicazione del contratto regionale.
Da tale constatazione, la Corte territoriale ha tratto la conclusione per cui doveva trovare applicazione alla fattispecie l’art. 2126 c.c., dovendosi riconoscere all’appellante il diritto alla retribuzione per le prestazioni effettivamente rese, retribuzione da quantificarsi sulla scorta del RAGIONE_SOCIALE applicato dal datore di lavoro, e quindi del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ritenuto provato il concreto svolgimento delle mansioni dedotte dall’appellante.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Messina ricorre ora il RAGIONE_SOCIALE.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la falsa applicazione dell’art. 2126 c.c. e la violazione dell’art. 24, L.R. Sicilia n. 10/2000.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale avrebbe erroneamente riconosciuto, in favore del controricorrente, differenze retributive derivanti dallo svolgimento di mansioni superiori individuate in base alla declaratoria contenuta in un Contratto Collettivo di lavoro
di natura privatistica che tuttavia sarebbe stato applicato al rapporto di lavoro in violazione dell’art. 24, L.R. Sicilia n. 10/2000.
Errata sarebbe anche l’applicazione dell’art. 2126 c.c., in quanto quest’ultimo non sarebbe applicabile nel caso di specie, dal momento che è riferito alla diversa ipotesi di prestazione di fatto con violazione di legge – e quindi all’ipotesi di nullità del contratto individuale -laddove nella specie il vizio sarebbe costituito dall’applicazione di un RAGIONE_SOCIALE non nullo né annullabile, ma semplicemente non applicabile al rapporto di lavoro perché l’applicazione avverrebbe in violazione di norme imperative.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte territoriale del tutto omesso di esaminare le osservazioni che il CTP aveva mosso alla prima versione della CTU sulla cui scorta la Corte territoriale ha quantificato le differenze retributive.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 26, comma 4, RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso contesta ulteriormente la quantificazione delle differenze retributive operata dalla Corte territoriale sulla scorta della CTU, rilevando che quest’ultima avrebbe riconosciuto 10 scatti di anzianità, violando in tal modo la richiamata previsione di contrattazione collettiva, la quale limita gli scatti di anzianità al numero massimo di 9.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte d’appello avrebbe riconosciuto all’odierno controricorrente degli emolumenti -e cioè l’indennità di cantiere ed il premio di produttività
che non avevano costituito oggetto di domanda né nel giudizio di primo grado né nel giudizio di appello.
2. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Secondo costante orientamento di questa Corte, infatti, nel pubblico impiego privatizzato -nel quale il rapporto di lavoro è disciplinato esclusivamente dalla legge e dalla contrattazione collettiva – non possono essere attribuiti trattamenti economici non previsti dalle suddette fonti, nemmeno se di miglior favore (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 31387 del 02/12/2019).
Da ciò deriva che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 2, comma 3, D. Lgs. n. 165/2001, l’attribuzione dei trattamenti economici è riservata alla contrattazione collettiva, sicché non è sufficiente a tale scopo un atto deliberativo della P.A. ma occorre, a pena di nullità, la conformità di tale atto alla contrattazione collettiva (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 17226 del 18/08/2020).
Tale conformità, tuttavia, deve essere valutata in relazione al contratto collettivo di comparto correttamente applicabile, avendo questa Corte chiarito che nel pubblico impiego contrattualizzato, il parametro per verificare l’attuazione del principio della parità di trattamento economico di cui all’art. 45 D. Lgs. n. 165/2001, è costituito dall’applicazione del contratto collettivo del comparto di appartenenza, rispetto al quale l’amministrazione datrice di lavoro non ha alcun potere di disposizione, mentre non assume rilevanza l’applicazione di fatto di un contratto collettivo diverso ad altri dipendenti di ruolo, neanche quando ciò sia avvenuto in forza di una sentenza passata in giudicato (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 6090 del 04/03/2021).
In altri termini, l’amministrazione datrice di lavoro non può scegliere a proprio piacimento il contratto collettivo applicabile, ma è
tenuta in ogni caso al rispetto del vincolo derivante dall’art. 2, comma 3, D. Lgs. n. 165/2001, dovendo quindi applicare il trattamento economico previsto dal contratto collettivo di comparto, determinandosi altrimenti una condizione di disparità rispetto a quei lavoratori ai quali, invece, venga applicato il trattamento previsto dal contratto collettivo correttamente individuato.
Da tali principi, questa Corte ha tratto la correlata conclusione per cui nell’impiego pubblico contrattualizzato, il riconoscimento al lavoratore di un trattamento economico di miglior favore rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la RAGIONE_SOCIALE., anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata mediante la ripetizione delle somme corrisposte senza titolo (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 13479 del 29/05/2018; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 6715 del 10/03/2021).
In sintesi, quindi:
-l’Amministrazione datrice di lavoro è tenuta ad individuare per i propri dipendenti il trattamento economico derivante dal contratto collettivo di comparto correttamente applicabile, essendole preclusa la possibilità di far ricorso ad un diverso contratto collettivo -neppure se fonte di un trattamento migliorativo – ed anzi risultand o viziato l’atto deliberativo con il quale l’Amministrazione medesima venga ad osservare un contratto collettivo diverso da quello correttamente applicabile;
-qualora sia riconosciuto al lavoratore di un trattamento economico maggiore di quello previsto dalla contrattazione collettiva correttamente applicabile tale riconoscimento è affetto da nullità e l’Amministrazione datrice di lavoro, nel
rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata mediante la ripetizione delle somme già corrisposte, in quanto dette somme risultano erogate senza titolo;
-non è ravvisabile, in capo al lavoratore cui sia stato illegittimamente applicato un trattamento individuale – anche migliorativo -diverso da quello previsto dalla contrattazione collettiva una posizione giuridica soggettiva tutelabile in virtù dell’adozione, da parte dell ‘Amministrazione , di un provvedimento (illegittimo) di individuazione di un errato regime degli emolumenti, e ciò in quanto il trattamento economico deve trovare necessario fondamento nella contrattazione collettiva, con la conseguenza che il diritto si stabilizza in capo al dipendente solo qualora l’atto sia conforme alla volontà delle parti collettive (Cass. Sez. L – Sentenza n. 15902 del 15/06/2018);
-risulta inapplicabile a tale ipotesi la norma di cui all’art. 2126 c.c., in quanto quest’ultima previsione è riferita all’ipotesi di prestazione lavorativa resa sulla base di un contratto nullo e non all’ipotesi che nella specie ricorre -in cui il vizio di nullità non concerna il rapporto lavorativo in sé bensì la sua irregolare regolamentazione tramite un atto dispositivo viziato adottato da ll’Amministrazione datrice di lavoro, la quale venga ad applicare un trattamento economico diverso da quello previsto dalla fonte legale vincolante, e cioè la contrattazione collettiva di settore.
Tornando, allora, al caso ora in esame si deve rilevare che il percorso argomentativo seguito dalla decisione impugnata si è radicalmente discostato dai principi sin qui richiamati, avendo la Corte
territoriale ritenuto che l’individuazione, da parte dell’Ente datore di lavoro, del trattamento economico contemplato dal contratto collettivo privatistico anziché del trattamento stabilito dalla corretta fonte contrattuale regionale valesse a determinare l’insorgenza in capo all’odierno controricorrente di un vero e proprio diritto alla conservazione di tale trattamento, anche sulla scorta dell’art. 2126 c.c.
Per contro, la circostanza -indiscussa -dell’applicazione da parte dell’odierna ricorrente di un trattamento economico riconducibile ad un contratto collettivo diverso da quello correttamente applicabile avrebbe dovuto condurre la Corte territoriale a concludere sia per la illegittimità di qualunque atto di determinazione -ed a maggior ragione di qualunque condotta di mero fatto -dell’Ente che comportasse l’applicazione da parte dello stesso di un contratto collettivo diverso da quello previsto dalla L.R. Sicilia n. 10/2000 sia per la conseguente infondatezza della pretesa dell’odierno controricorrente, non trovando quest’ultima supporto nella previsione di cui all’art. 2126 c.c.
Non valgono a superare tali conclusioni le deduzioni svolte dal controricorrente, peraltro invocando fattispecie diverse da quella in esame, potendosi osservare -per completezza -che lo svolgimento di mansioni ipoteticamente superiori avrebbe, semmai, legittimato il ricorrente ad agire -formulando specifica domanda e fornendo la relativa prova – per le differenze retributive, da calcolarsi tuttavia sempre e comunque sulla base della contrattazione collettiva correttamente applicabile, e non certo sulla scorta di una contrattazione collettiva erroneamente individuata ed illegittimamente applicata.
L’accogli mento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento di quelli ulteriormente articolati da RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso va quindi accolto in relazione al primo motivo, con assorbimento degli ulteriori motivi e, non essendo necessari ulteriori accertamenti nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, infatti, la domanda formulata originariamente da NOME COGNOME deve ritenersi infondata e deve essere, conseguentemente, respinta.
Per ciò che attiene il regime delle spese, si ravvisa la sussistenza di giusti motivi per compensare le spese dell’intero processo, tenuto conto degli esiti diametralmente opposti dei due gradi di merito.
P. Q. M.
La Corte:
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli ulteriori; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da NOME COGNOME;
compensa le spese di lite dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 22 maggio