Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23795 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23795 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26743-2024 proposto da:
COGNOME in qualità di erede di COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato NOMECOGNOME
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 16150/2024 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 11/06/2024 R.G.N. 11542/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
Oggetto
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.26743/2024
Ud 18/06/2025 CC
1. Con sentenza n. 722/2018, pubblicata in data 3 ottobre 2018, la Corte d’appello di Messina, nella regolare costituzione dell’appellato Consorzio Autostrade Siciliane, accoglieva l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Me ssina n. 648/2014, condannando l’appellato alla corresponsione dell’importo di € 4.598,73, oltre all’importo corrispondente alle differenze sulla indennità di cantiere, a titolo di differenze retributive tra il livello A1 e il livello A del CCNL Autostrade e RAGIONE_SOCIALE per lo svolgimento di mansioni superiori per il periodo dal 15 novembre 2005 al 28 febbraio 2007. NOME COGNOME, dipendente del Consorzio Autostrade Siciliane fino al 30 giugno 2008, aveva adito il Tribunale di Messina, riferendo di essere stato incaricato, a partire dal 1997, di svolgere le mansioni di geometra capo lotto, continuando a svolgere tali mansioni fino al 28 febbraio 2007. Aveva dedotto che tali mansioni erano ascrivibili alla qualifica di responsabile di unità organizzativa o capo ufficio, livello A, mentre egli era inquadrato come geometra nel livello A1. Aveva quindi agito per il riconoscimento del diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori, precisando di avere già proposto analogo giudizio, conclusosi con sentenza n.3425/2009, che aveva riconosciuto lo svolgimento delle mansioni di capo lotto, superiori al livello di inquadramento, con la condanna al pagamento delle differenze retributive fino al novembre 2005. Il Tribunale di Messina aveva disatteso la domanda, rilevando che il RAGIONE_SOCIALE, nonostante la natura di ente pubblico non economico, aveva applicato ai propri dipendenti la contrattazione collettiva regolante il rapporto di lavoro alle dipendenze di società che gestiscono strade e autostrade, anziché la contrattazione collettiva regionale, prevista dall’art. 24, L.R. Sicilia 10/2000. Il
Tribunale, quindi, aveva affermato che l’adozione di una contrattazione collettiva diversa da quella prevista per legge aveva comportato la violazione di una norma imperativa, con conseguente nullità delle delibere del Consorzio Autostrade Siciliane che ne avevano disposto l’estensione al proprio personale, ed aveva concluso che la domanda risultava fondata sull’applicazione di previsioni contrattuali collettive invece non applicabili. La Corte d’appello di Messina condivideva la decisione del giudice di prime cure, nella parte in cui quest’ultimo aveva qualificato il Consorzio Autostrade Siciliane come ente pubblico non economico, e concludeva -anche sulla scorta di pareri resi dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia – che i rapport i di lavoro dell’appellato dovevano essere regolati dalla L.R. Sicilia 10/2000, ed in particolare dagli artt. 13 e 24, con esclusione della possibilità di integrare detta disciplina con le previsioni tratte dalla contrattazione collettiva di tipo privatistico. La Corte territoriale, tuttavia, rilevava che, al momento dell’entrata in vigore della L.R. Sicilia 10/2000, il CONSORZIO aveva già da tempo approvato norme regolamentari per il personale -in conformità della L.R. Sicilia n. 44/1994 -continuando a dare applicazione a tali norme anche dopo l’approvazione della L.R. Sicilia 10/2000 – e quindi facendo esclusivo riferimento al regolamento per il personale ed al CCNL Autostrade e Trafori -sino all’anno 2010. La Corte riteneva, quindi, che lo svolgimento delle mansioni superiori dedotto dall’appellante si era verificato in un periodo nel quale il Consorzio Autostrade Siciliane applicava di fatto ai propri dipendenti il contratto privatistico, pur essendo tenuto all’applicazione del contratto regionale. Da tale constatazione, la Corte territoriale traeva la conclusione per cui doveva trovare applicazione alla fattispecie l’art. 2126 c.c.,
dovendosi riconoscere all’appellante il diritto alla retribuzione per le prestazioni effettivamente rese, retribuzione da quantificarsi sulla scorta del CCNL applicato dal datore di lavoro, e quindi del CCNL Autostrade e Trafori, ritenuto provato il concre to svolgimento delle mansioni dedotte dall’appellante.
Il Consorzio Autostrade RAGIONE_SOCIALE ricorreva per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Messina. Resisteva con controricorso NOME COGNOME. Definendo il giudizio con l’ordinanza 16150/2024 depositata in data 11/06/2024, la Corte di cassazione accoglieva il primo motivo di ricorso, dichiarava assorbiti gli altri motivi, cassava la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per revocazione ai sensi degli articoli 391 -bis e 395 n. 4 c.p.c. NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME.
Il CAS -Consorzio Autostrade Siciliane si è costituito con controricorso chiedendo il rigetto della revocazione.
La parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis 1 c.p.c..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 18 giugno 2025.
Ragioni della decisione
Con il ricorso per revocazione si deduce che l’ordinanza impugnata sarebbe viziata da un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa, errore di fatto che sarebbe costituito dalla affermazione di questa corte alle pagine 6 e 7 dell’ordinanza nella parte del «considerato in diritto», ove si legge: «… In altri termini, l’amministrazione datrice di lavoro non può scegliere a proprio piacimento il contratto collettivo applicabile, ma è tenuta in ogni caso al rispetto del vincolo
derivante dall’art. 2, comma 3, D.Lgs n. 165/2001, dovendo quindi applicare il trattamento economico previsto dal contratto collettivo di comparto, determinandosi altrimenti una condizione di disparità rispetto a quei lavoratori ai quali, invece, venga applicato il trattamento previsto dal contratto collettivo correttamente individuato. Da tali principi, questa Corte ha tratto la correlata conclusione per cui nell’impiego pubblico contrattualizzato, il riconoscimento al lavoratore di un trattamento economico di miglior favore rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la P.A., anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 cost., è tenuta al ripristino della legalità violata mediante la ripetizione delle somme corrisposte senza titolo …».
Per ben comprendere il ricorso per revocazione occorre ricordare che nel giudizio iscritto al n. r.g. 11542/2019, con il primo motivo di ricorso, era dedotta dal CAS – Consorzio Autostrade Siciliane, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. , la falsa applicazione dell’art. 2126 c.c. e la violazione dell’art. 24, L.R. Sicilia n. 10/2000. Argomentava, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale avrebbe erroneamente riconosciuto, in favore del controricorrente, differenze retributive derivanti dallo svolgimento di mansioni superiori individuate in base alla declaratoria contenuta in un Contratto Collettivo di lavoro di natura privatistica che tuttavia sarebbe stato applicato al rapporto di lavoro in violazione dell’art. 24, L.R. Sicilia n. 10/2000. Si deduceva anche l’erronea applicazione dell’art. 2126 c.c..
2.1. La Corte di cassazione accoglieva il motivo di ricorso osservando quanto segue: «Il primo motivo di ricorso è fondato. Secondo costante orientamento di questa Corte, infatti, nel
pubblico impiego privatizzato -nel quale il rapporto di lavoro è disciplinato esclusivamente dalla legge e dalla contrattazione collettiva – non possono essere attribuiti trattamenti economici non previsti dalle suddette fonti, nemmeno se di miglior favore (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 31387 del 02/12/2019). Da ciò deriva che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 2, comma 3, D. Lgs. n. 165/2001, l’attribuzione dei trattamenti economici è riservata alla contrattazione collettiva, sicché non è sufficiente a tale scopo un atto deliberativo della P.A. ma occorre, a pena di nullità, la conformità di tale atto alla contrattazione collettiva (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 17226 del 18/08/2020). Tale conformità, tuttavia, deve essere valutata in relazione al contratto collettivo di comparto correttamente applicabile, avendo questa Corte chiarito che nel pubblico impiego contrattualizzato, il parametro per verificare l’attuazione del principio della parità di trattamento economico di cui all’art. 45 D. Lgs. n. 165/2001, è costituito dall’applicazione del contratto collettivo del comparto di appartenenza, rispetto al quale l’amministrazione datrice di lavoro non ha alcun potere di disposizione, mentre non assume rilevanza l’applicazione di fatto di un contratto collettivo diverso ad altri dipendenti di ruolo, neanche quando ciò sia avvenuto in forza di una sentenza passata in giudicato (Cass. Sez. L Ordinanza n. 6090 del 04/03/2021). In altri termini, l’amministrazione datrice di lavoro non p uò scegliere a proprio piacimento il contratto collettivo applicabile, ma è tenuta in ogni caso al rispetto del vincolo derivante dall’art. 2, comma 3, D. Lgs. n. 165/2001, dovendo quindi applicare il trattamento economico previsto dal contratto collettivo di comparto, determinandosi altrimenti una condizione di disparità rispetto a quei lavoratori ai quali, invece, venga applicato il trattamento
previsto dal contratto collettivo correttamente individuato. Da tali principi, questa Corte ha tratto la correlata conclusione per cui nell’impiego pubblico contrattualizzato, il riconoscimento al lavoratore di un trattamento economico di miglior favore rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la P.A., anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata mediante la ripetizione delle somme corrisposte senza titolo (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 13479 del 29/05/2018; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 6715 del 10/03/2021). In sintesi, quindi: l’Amministrazione datrice di lavoro è tenuta ad individuare per i propri dipendenti il trattamento economico derivante dal contratto collettivo di comparto correttamente applicabile, essendole preclusa la possibilità di far ricorso ad un diverso contratto collettivo -neppure se fonte di un trattamento migliorativo – ed anzi risultando viziato l’atto d eliberativo con il quale l’Amministrazione medesima venga ad osservare un contratto collettivo diverso da quello correttamente applicabile; – qualora sia riconosciuto al lavoratore un trattamento economico maggiore di quello previsto dalla contrattazione collettiva correttamente applicabile tale riconoscimento è affetto da nullità e l’Amministrazione datrice di lavoro, nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata mediante la ripetizione delle somme già corrisposte, in quanto dette somme risultano erogate senza titolo; – non è ravvisabile, in capo al lavoratore cui sia stato illegittimamente applicato un trattamento individuale – anche migliorativo -diverso da quello previsto dalla contrattazione collettiva, una posizione giuridica soggettiva tutelabile in virtù dell’adozione, da parte dell’Amministrazione, di un
provvedimento (illegittimo) di individuazione di un errato regime degli emolumenti, e ciò in quanto il trattamento economico deve trovare necessario fondamento nella contrattazione collettiva, con la conseguenza che il diritto si stabilizza in capo al dipendente solo qualora l’atto sia conforme alla volontà delle parti collettive (Cass. Sez. L – Sentenza n. 15902 del 15/06/2018); – risulta inapplicabile a tale ipotesi la norma di cui all’art. 2126 c.c., in quanto quest’ultima previsione è riferita all’ipote si di prestazione lavorativa resa sulla base di un contratto nullo e non all’ipotesi che nella specie ricorre -in cui il vizio di nullità non concerna il rapporto lavorativo in sé bensì la sua irregolare regolamentazione tramite un atto dispositivo vizi ato adottato dall’Amministrazione datrice di lavoro, la quale venga ad applicare un trattamento economico diverso da quello previsto dalla fonte legale vincolante, e cioè la contrattazione collettiva di settore. Tornando, allora, al caso ora in esame si deve rilevare che il percorso argomentativo seguito dalla decisione impugnata si è radicalmente discostato dai principi sin qui richiamati, avendo la Corte territoriale ritenuto che l’individuazione, da parte dell’Ente datore di lavoro, del trattamento economico contemplato dal contratto collettivo privatistico anziché del trattamento stabilito dalla corretta fonte contrattuale regionale valesse a determinare l’insorgenza in capo all’odierno controricorrente di un vero e proprio diritto alla conservazione di tale trattamento, anche sulla scorta dell’art. 2126 c.c. Per contro, la circostanza -indiscussa -dell’applicazione da parte dell’odierna ricorrente di un trattamento economico riconducibile ad un contratto collettivo diverso da quello correttamente applicabile avrebbe dovuto condurre la Corte territoriale a concludere sia per la illegittimità di qualunque atto di determinazione -ed a maggior ragione di
qualunque condotta di mero fatto -dell’Ente che comportasse l’applicazione da parte dello stesso di un contratto collettivo diverso da quello previsto dalla L.R. Sicilia n. 10/2000 sia per la conseguente infondatezza della pretesa dell’odierno controricor rente, non trovando quest’ultima supporto nella previsione di cui all’art. 2126 c.c. Non valgono a superare tali conclusioni le deduzioni svolte dal controricorrente, peraltro invocando fattispecie diverse da quella in esame, potendosi osservare -per completezza -che lo svolgimento di mansioni ipoteticamente superiori avrebbe, semmai, legittimato il ricorrente ad agire -formulando specifica domanda e fornendo la relativa prova – per le differenze retributive, da calcolarsi tuttavia sempre e comunque sulla base della contrattazione collettiva correttamente applicabile, e non certo sulla scorta di una contrattazione collettiva erroneamente individuata ed illegittimamente applicata».
2.2. Dall’accoglimento del primo motivo di ricorso la Corte faceva discendere l’assorbimento degli altri motivi, la cassazione della sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti nel merito, il rigetto della domanda originaria di NOME COGNOME
Secondo il ricorrente l’affermazione della Corte secondo la quale l’interpretazione respinta dal Collegio e proposta dalla difesa del COGNOME avrebbe determinato una disparità di trattamento costituirebbe frutto di errore di fatto rilevante ai fini della revocazione. Il ricorso argomenta come segue: «sennonché, nel caso di specie, pur ritenendo la nullità dell’applicazione al rapporto di lavoro dei dipendenti del RAGIONE_SOCIALE, – ivi compreso il COGNOME, e con specifico riferimento alle domande di questi per le quali è qui causa, – della contrattazione collettiva privatistica, anziché di quella prevista dalla legge Reg. Sic. n.
10/2000, nessuna disparità di trattamento a favore del Puglisi nei confronti degli altri dipendenti del C.A.S. è ravvisabile, stante il fatto che il C.A.S. ha sempre applicato a tutti i propri lavoratori dipendenti, e conseguentemente anche al Puglisi, la contrattazione collettiva privatistica e non quella di cui alla legge Reg. Sic. n.10/2000; e ciò il C.A.S. ha fatto sia prima che durante lo svolgimento da parte del Puglisi delle mansioni superiori per la cui retribuzione è qui causa, come anche dopo che il rapporto di lavoro del Puglisi medesimo è venuto a cessare ed ha esaurito ogni suo effetto, da ciò discendendo la sicura applicabilità al caso di specie della norma di cui all’art. 2126 c.c.. Il fatto costituito dalla applicazione da parte del RAGIONE_SOCIALE a tutti i propri lavoratori dipendenti della contrattazione collettiva privatistica, che è fatto assolutamente pacifico in causa, sul quale non è sorto contrasto fra le parti e che non ha costituito oggetto di pronuncia giudiziale, risulta dalla ordinanza qui impugnata ».
4. L’istanza di revocazione è inammissibile, perché travisa in pieno il significato dell’ordinanza impugnata che una volta affermata la nullità del trattamento economico contemplato dal contratto collettivo privatistico in ragione della illegittima disapplicazione del trattamento stabilito dalla corretta fonte contrattuale regionale ha escluso l’insorgenza in capo a NOME COGNOME di un diritto alla conservazione del trattamento maggiore anche alla luce dell’art. 2126 c.c.. A questa affermazione la Corte giunge argomentando non dalla sussistenza di una disparità di trattamento tra i dipendenti del CAS (ai quali, assume il ricorrente, sarebbe stato applicata sempre la medesima contrattazione collettiva privatistica) ma dalla sussistenza di una disparità di trattamento tra NOME COGNOME ove si fosse ritenuta legittima la sua pretesa, e tutti gli altri
dipendenti, anche se estranei al CAS, che rimangono sottoposti alla vincolatività del contratto collettivo regionale correttamente applicabile. E tanto è evidente quando l’ordinanza impugnata afferma: «l’amministrazione datrice di lavoro non può scegliere a proprio piacimento il contratto collettivo applicabile, ma è tenuta in ogni caso al rispetto del vincolo derivante dall’art. 2, comma 3, D.Lgs n. 165/2001, dovendo quindi applicare il trattamento economico previsto dal contratto collettivo di comparto, determinandosi altrimenti una condizione di disparità rispetto a quei lavoratori ai quali, invece, venga applicato il trattamento previsto dal contratto collettivo correttamente individuato».
Dunque il motivo di revocazione è inammissibile perché fondato su una lettura fuorviante e distorta della decisione impugnata. Non sussiste alcun errore di fatto nella decisione censurata: si consideri, poi, che la decisione impugnata non si fonda nemmeno sulla sola, e pur corretta, argomentazione censurata ma su un ben più ampio ragionamento relativo alla gerarchia delle fonti e alla applicabilità della corretta fonte negoziale, alla non applicabilità del principio di cui all’art. 2126 c.c., ragionamento che è in via autonoma idoneo a sorreggere la decisione.
In conclusione il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi euro 2.000,00 (duemila), oltre ad euro
200,00 per esborsi, al rimborso forfettario spese generali nella misura del 15% e accessori come per legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione