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Contratto collegato: risoluzione per impianto non-conforme

Una coppia di consumatori acquista un impianto fotovoltaico con la promessa del “costo zero”, grazie a un contratto collegato di finanziamento. L’impianto si rivela meno produttivo del previsto, vanificando il beneficio economico. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie la domanda dei consumatori. Stabilisce che il termine per denunciare il difetto decorre da quando si ha una chiara percezione del problema (almeno un anno di osservazione) e, accertato il grave inadempimento del fornitore, dichiara la risoluzione sia del contratto di fornitura sia del contratto collegato di finanziamento, ordinando la restituzione delle rate pagate.

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Pubblicato il 24 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

Contratto Collegato: Risoluzione per Impianto Fotovoltaico Non Performante

L’acquisto di un impianto fotovoltaico con la promessa di un investimento a “costo zero” può trasformarsi in un incubo se le prestazioni non sono quelle promesse. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Cagliari offre importanti tutele ai consumatori, chiarendo i meccanismi di risoluzione del contratto collegato di fornitura e finanziamento. Questo caso dimostra come, in presenza di un grave inadempimento del fornitore, sia possibile sciogliere entrambi i contratti e ottenere la restituzione delle somme versate.

I Fatti di Causa

Una coppia di consumatori stipulava un contratto per l’acquisto, l’installazione e la connessione di un impianto fotovoltaico. L’operazione era stata presentata come a “costo zero”: gli incentivi statali e il risparmio energetico avrebbero dovuto coprire interamente le rate del finanziamento, anch’esso stipulato contestualmente per un importo di oltre 26.000 euro. Si trattava, quindi, di una tipica operazione basata su un contratto collegato, dove la fornitura del bene e il credito al consumo erano funzionalmente uniti.

Con il passare dei mesi, i consumatori si rendevano conto che la realtà era ben diversa. L’energia prodotta dall’impianto era insufficiente a generare gli incentivi e i risparmi promessi, costringendoli a pagare sia le rate del finanziamento sia le bollette elettriche. Di fronte a questa situazione, inviavano una diffida formale al fornitore e alla società finanziaria, chiedendo la risoluzione di entrambi i contratti.

La Decisione di Primo Grado: Una Denuncia Tardiva

Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda dei consumatori. La motivazione principale si basava sull’eccezione di decadenza: secondo il giudice, i consumatori avrebbero dovuto accorgersi del difetto di produttività entro pochi mesi dall’installazione e denunciarlo entro 60 giorni dalla scoperta. Avendo atteso più di un anno, avevano perso il diritto a far valere la garanzia. Inoltre, il Tribunale riteneva che non fosse stata fornita una prova adeguata dell’inadempimento.

Il Giudizio d’Appello e la Tutela del Consumatore nel Contratto Collegato

La Corte d’Appello ribaltava completamente la decisione di primo grado, accogliendo le ragioni degli appellanti e fornendo un’analisi dettagliata dei principi applicabili.

Il Momento della “Scoperta” del Vizio: Non Bastano Pochi Mesi

Il punto cruciale della sentenza riguarda il termine di decadenza. La Corte ha stabilito che, per un prodotto complesso come un impianto fotovoltaico la cui produttività dipende da fattori variabili (come le stagioni), un consumatore non esperto non può avere piena consapevolezza del difetto in soli due bimestri. È necessario un congruo arco temporale, di almeno un anno, per poter osservare il funzionamento, ricevere i primi conguagli degli incentivi e confrontare realisticamente i dati reali con le promesse contrattuali. La denuncia, avvenuta dopo circa un anno dalla messa in funzione, è stata quindi ritenuta tempestiva.

La Gravità dell’Inadempimento e il Ruolo della CTU

La Corte ha disposto una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) che ha accertato l’inadempimento del fornitore. L’impianto era in grado di produrre circa 5000 kWh annui, a fronte dei 6000 kWh garantiti, con uno scostamento del 16,7%, ben superiore alla tolleranza del 10% prevista. Questo deficit rendeva impossibile raggiungere l’obiettivo del “costo zero”. Inoltre, la CTU ha rilevato difformità rispetto alle regole dell’arte e della sicurezza elettrica. Tale inadempimento è stato qualificato come “di non lieve entità”, presupposto necessario per la risoluzione del contratto ai sensi del Codice del Consumo.

Risoluzione del Contratto Collegato: Se Cade la Fornitura, Cade Anche il Finanziamento

Una volta accertato il grave inadempimento del fornitore, la Corte ha applicato il principio fondamentale del contratto collegato, disciplinato dal Testo Unico Bancario (art. 125-quinquies). La risoluzione del contratto di fornitura comporta automaticamente la risoluzione del contratto di credito ad esso collegato. Di conseguenza, il consumatore ha diritto alla risoluzione del finanziamento e alla restituzione delle rate già pagate direttamente dalla società finanziaria. Sarà poi quest’ultima a dover rivalersi sul fornitore inadempiente.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando la necessità di una tutela effettiva per il consumatore. Ritenere che la scoperta del vizio avvenga dopo pochi mesi significherebbe imporre un onere irragionevole a chi non possiede competenze tecniche. La valutazione della produttività di un impianto solare richiede un’analisi su base annua. La sentenza ha inoltre riaffermato che, nei contratti di consumo, l’inadempimento che giustifica la risoluzione non deve necessariamente rendere il bene ‘del tutto inadatto all’uso’, come previsto per l’appalto ordinario, ma è sufficiente che sia di ‘non lieve entità’, come stabilito dall’art. 130 del Codice del Consumo. Infine, è stato chiarito che il legame funzionale tra i due contratti è inscindibile: l’inadempimento del fornitore spezza l’intero equilibrio dell’operazione economica, travolgendo anche il finanziamento.

Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un’importante vittoria per i consumatori. Stabilisce tre principi chiave: 1) il tempo per denunciare un difetto di rendimento di un impianto fotovoltaico deve essere ragionevole e non può essere limitato a pochi mesi; 2) uno scostamento significativo tra la produttività promessa e quella reale costituisce un inadempimento grave; 3) in caso di risoluzione del contratto di fornitura, il contratto collegato di finanziamento si risolve di diritto, con l’obbligo per la finanziaria di rimborsare le rate versate. Si tratta di una tutela fondamentale che rafforza la posizione del consumatore in operazioni complesse, garantendo che le promesse commerciali siano supportate da risultati concreti.

Quanto tempo ha un consumatore per denunciare i vizi di un impianto fotovoltaico che non produce quanto promesso?
La Corte ha stabilito che pochi mesi non sono sufficienti. Per valutare correttamente la produttività di un impianto la cui efficienza varia con le stagioni, è necessario un congruo arco temporale di osservazione, come un intero anno, per avere una percezione realistica e attendibile del difetto rispetto a quanto promesso.

Se viene risolto il contratto di acquisto di un bene, cosa succede al finanziamento collegato?
In base alla disciplina sui contratti di credito al consumo, la risoluzione del contratto di fornitura per grave inadempimento del venditore comporta automaticamente la risoluzione del contratto di finanziamento collegato. Il consumatore ha diritto di interrompere i pagamenti e di ottenere dalla società finanziaria la restituzione delle rate già versate.

Cosa costituisce un inadempimento “di non lieve entità” per un impianto fotovoltaico?
Un inadempimento di non lieve entità sussiste quando vi è uno scostamento significativo tra la produttività promessa e quella reale (nel caso di specie, superiore al 10% di tolleranza), tale da vanificare il beneficio economico promesso (come il “costo zero”), e quando si riscontrano ulteriori difformità rispetto alle regole dell’arte e della sicurezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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