Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21160 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21160 Anno 2024
Presidente: CONDELLO NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10000/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 493/2021 depositata il 15/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
1.- La società RAGIONE_SOCIALE opera nel commercio dell’acciaio, e, nell’ambito di tale attività, ha fornito fogli di acciaio alla società RAGIONE_SOCIALE, acquisendo nei confronti di quest’ultima il credito al pagamento del corrispettivo.
Ha tuttavia ceduto tale credito alla società RAGIONE_SOCIALE, con un contratto con il quale tutti i crediti vantati da RAGIONE_SOCIALE verso RAGIONE_SOCIALE venivano ceduti a RAGIONE_SOCIALE, che, di conseguenza, corrispondeva a RAGIONE_SOCIALE l’ammontare del credito, detratto il suo compenso, ed il rischio dell’inadempimento da parte del debitore veniva addebitato alla cessionaria RAGIONE_SOCIALE.
In base ad un articolo del contratto, RAGIONE_SOCIALE ha assunto l’obbligo, a richiesta di RAGIONE_SOCIALE, di trasmettere la documentazione relativa alla singola operazione di somministrazione. È accaduto tuttavia che, in occasione di una fornitura, e dunque relativamente ad una fattura, non ha fornito la prova del credito, con la conseguenza che RAGIONE_SOCIALE ha attivato la clausola che le consentiva di ritrasferire il rischio dell’insolvenza del debitore sul cedente, anziché assumerlo su di sé.
In ragione di ciò, RAGIONE_SOCIALE ha chiesto il rimborso di quanto corrisposto al cedente, in sostituzione del debitore ceduto ed in
ragione della cessione del credito, e lo ha fatto ottenendo un decreto ingiuntivo da parte del Tribunale di Milano.
1.2.- RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione, sostenendo la nullità del contratto per difetto di causa o la sua assoluta simulazione, ma l’opposizione è stata rigettata e la decisione di primo grado è stata confermata in appello.
1.3.- RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con 10 motivi, uno dei quali, il sesto, è stato accolto da questa Corte che ha, con ordinanza 30183 del 2018, annullato con rinvio ad altro collegio della Corte d’appello di Milano.
Nuovamente la Corte d’appello, all’esito del giudizio di rinvio, ha confermato la precedente decisione di merito ed ha dunque ritenuto l’infondatezza della tesi di RAGIONE_SOCIALE, con conseguente diritto di RAGIONE_SOCIALE al rimborso della somma pagata in adempimento dell’accordo.
1.4.- RAGIONE_SOCIALE ricorre nuovamente per cassazione, con sei motivi illustrati da memoria, di cui chiede il rigetto RAGIONE_SOCIALE con controricorso e memoria.
Ragioni della decisione
2.- Come si è accennato, RAGIONE_SOCIALE ha agito sulla base di un accordo secondo il quale la società si impegnava a pagare il corrispettivo della fornitura, al posto del debitore ceduto, assumendo il rischio che quest’ultimo non pagasse.
Sorta controversia sul contenuto di tale accordo, la precedente decisione di questa Corte ha ritenuto che vi fosse contraddizione nella decisione della Corte d’appello quanto alla qualificazione del contratto, nel senso che, da un lato, il contratto era qualificato come di factoring e dunque come contratto con il quale il cessionario, vale a dire la società RAGIONE_SOCIALE, assumeva l’obbligo di acquistare i crediti dal cedente, ossia da RAGIONE_SOCIALE, pagandone quindi il corrispettivo; mentre, per altro verso, si
sosteneva che RAGIONE_SOCIALE aveva la possibilità di pagare dopo l’emissione della fattura e di concedere dilazione al debitore quanto al pagamento: circostanza quest’ultima che contraddiceva l’assunzione dell’obbligo di acquistare i crediti. In altri termini, l’eventualità che il cessionario avesse solo facoltà e non obbligo di pagare il credito era incompatibile con la figura del factoring , che invece quell’obbligo presuppone.
Preso atto di tale annullamento, la Corte di appello, in sede di rinvio, ha chiarito dunque la qualificazione del contratto, ed ha ritenuto che quello stipulato tra la parti in causa è un contratto atipico a cui si applica la disciplina contenuta nel testo contrattuale. Ne ha tratto la conclusione che in base a tale disciplina, RAGIONE_SOCIALE ha dunque correttamente esercitato il diritto al rimborso della della somma corrisposta attesa la mancata consegna documentazione probatoria del credito da parte di RAGIONE_SOCIALE.
2.1.-Questa ratio è contestata con sei motivi di ricorso.
Il primo motivo prospetta nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione e violazione del giudicato interno.
Secondo la ricorrente, la decisione di merito avrebbe violato i limiti imposti dall’annullamento da parte di questa Corte con la precedenza ordinanza.
In sostanza, con l’ordinanza n. 30183 del 2018, questa Corte avrebbe ritenuto contraddittoria la motivazione circa l’esistenza di un factoring , e dunque, secondo la ricorrente, avrebbe statuito nel senso che la pretesa della società cessionaria non poteva dirsi basata su un contratto di factoring , il quale presuppone che il cessionario assuma l’obbligo di acquistare i crediti, obbligo che nella motivazione della precedente sentenza era contraddetto dalla circostanza secondo cui invece il cessionario poteva accordare dilazioni al debitore ceduto e pagare soltanto al momento della fattura.
Il che, secondo la ricorrente, significa chiaramente che avendo la società RAGIONE_SOCIALE basato la sua pretesa su un contratto di factoring , la circostanza che tale contratto era da escludersi, significava inesistenza della causa petendi , e dunque del titolo della pretesa fatta valere.
Secondo la ricorrente, i giudici del rinvio avrebbero dovuto prendere atto di questo accertamento – cioè inesistenza di una causa petendi basata sul factoring – ed avrebbero dovuto rigettare la domanda. Invece hanno diversamente qualificato la causa petendi violando il giudicato, o meglio, violando il vincolo imposto al giudice del rinvio.
2.2.- Con il secondo motivo si prospetta motivazione apparente ed omesso esame.
Secondo la ricorrente, la Corte di rinvio avrebbe apoditticamente escluso che il contratto in questione fosse una surrogazione con pagamento anziché un factoring o qualcosa d’altro.
In realtà, per come statuito nella precedente decisione di questa Corte, era emerso che RAGIONE_SOCIALE non si impegnava ad acquistare il credito, impegno che è indefettibile nel factoring, e dunque, se non si impegnava ad acquistare il credito, ciò voleva dire che il suo impegno era costituito soltanto da una surrogazione successiva al pagamento, ossia ad un intervento finanziario fatto di volta in volta, non già anticipando il singolo credito ma surrogandosi in esso.
Del resto, ad interpretare correttamente il contratto, ci si sarebbe avveduti che non ricorreva la causa del factoring , bensì si trattava di un’operazione di surrogazione mediante pagamento.
L’errore nella qualificazione del contratto deriverebbe dall’omesso esame di un fatto decisivo: che RAGIONE_SOCIALE non si obbligava ad acquistare i crediti.
2.2.1- Questi due motivi pongono una questione comune e può farsene scrutinio unitario.
Essi sono infondati.
Va innanzitutto chiarito che la precedente decisione della Corte non contiene alcun giudicato sulla qualificazione giuridica del contratto, né contiene alcun giudicato sulla circostanza secondo cui, essendo escluso il factoring , o meglio, l’obbligo di acquistare il credito, il contratto deve intendersi come surrogazione di pagamento.
La precedente decisione ha soltanto rilevato una contraddizione nella qualificazione del contratto intercorso tra le parti, nei seguenti termini.
Poiché il contratto di factoring consiste nell’acquisto dei crediti o nell’obbligo di acquistarli, contrasta con la qualificazione in termini di factoring l’accertamento dell’assenza di quell’obbligo e della sussistenza invece di una facoltà di acquisto.
In altri termini, la precedente decisione della Corte di appello avrebbe, da un lato, accertato che la società cessionaria non assumeva l’obbligo di acquistare il credito, ma, dall’altro, e nonostante ciò, avrebbe qualificato il contratto come di factoring , ossia come contratto che invece quell’obbligo prevede.
Tale essendo l’ambito del giudizio di rinvio, vale a dire fornire una motivazione scevra da questa contraddizione, il giudice del rinvio non ha esorbitato da quanto demandatogli.
Ed infatti, essendo chiamato a motivare adeguatamente sulla corretta qualificazione del contratto, ha ritenuto che l’accordo posto in essere dalle parti fosse un accordo atipico, la cui disciplina è quella contenuta nel testo contrattuale, e non quella di un determinato tipo di riferimento.
Questa qualificazione, vale a dire che si tratta di un contratto atipico, non è qui specificamente contestata. Come si è visto la contestazione è un’altra: la ricorrente sostiene che la precedente decisione di questa Corte aveva escluso che si potesse parlare di factoring , con la conseguenza che una qualificazione in termini di factoring viola quel giudicato.
Questo assunto, come si è visto, è del tutto infondato: la precedente decisione della Corte si è limitata a rilevare una contraddizione nella qualificazione giuridica dell’accordo, contraddizione consistente nella coesistenza di dichiarazioni tra di loro incompatibili: da un lato l’obbligo di acquistare i crediti, dall’altro la mera facoltà di farlo.
La Corte di merito in sede di rinvio era dunque libera di motivare nuovamente, ed anzi ne aveva l’obbligo, quanto alla interpretazione della volontà delle parti e alla sua relativa qualificazione.
Ed ha deciso che le parti hanno inteso prevedere un particolare ed atipico meccanismo di sostituzione nel lato attivo del rapporto e che la circostanza che tale meccanismo non corrisponda ad un tipo contrattuale è del tutto irrilevante, potendo le parti concludere contratti atipici.
Questa ricostruzione è assolutamente corretta.
Soltanto partendo da un approccio rigidamente tipologista si può arrivare a dire che un contratto, in cui non è previsto l’obbligo di acquistare i crediti, non corrispondendo a un contratto di factoring, deve ritenersi nullo o immeritevole o irrilevante o altro. Ma un tale approccio non tiene conto del fatto che le parti possono stipulare contratti atipici che non corrispondono ad alcuno dei tipi negoziali previsti, e la cui disciplina è fornita dal contratto stesso piuttosto che da un tipo negoziale di riferimento.
Dunque, correttamente la Corte di merito ha rilevato che si tratta di un contratto atipico in cui la mancata previsione dell’obbligo, se, da un lato, esclude l’applicazione della disciplina del factoring , non per ciò stesso rende quel contratto invalido o non meritevole di tutela, in quanto si tratta di un contratto atipico con il quale le parti perseguono interessi che invece sono meritevoli e la cui disciplina è data dal contratto stesso come per ogni ipotesi di contratto atipico.
Con la conseguenza che, non solo non è violato alcun giudicato interno, ma neanche può dirsi apparente la motivazione o affetta da omesso esame in quanto il fatto che sarebbe stato omesso, vale a dire l’assenza dell’obbligo di acquistare i crediti, è stato invece considerato e valutato dai giudici del rinvio i quali hanno dato a quella pattuizione, cioè alla mancanza dell’obbligo, la corretta qualificazione giuridica: quella di una pattuizione propria di un contratto atipico e non necessariamente di un factoring .
Dunque, la circostanza che non ricorra un factoring non rende quella pattuizione perciò stesso riferibile ad una surrogazione.
Questa prospettiva è tipica di un metodo che, seppure appartenuto alla giurisprudenza di questa Corte in passato, è tuttavia superato e che consiste nella affermazione della necessaria riconduzione del concreto contratto ad un tipo negoziale, con la conseguenza di negare praticamente rilievo al contratto atipico: davanti ad un contratto atipico la tendenza è quella di ricondurlo necessariamente ad uno dei tipi legislativamente previsti.
Invece, la ratio dell’articolo 1322 del codice civile è nel senso che ben possono stipularsi contratti che non sono riconducibili ad alcuno dei tipi negoziali legislativamente previsti e la cui disciplina, non essendo ricavabile per l’appunto dal tipo negoziale, è fornita dalle stesse clausole contrattuali.
Ciò significa che se la concreta fattispecie non è riconducibile ad un factoring, ad esempio perché manca l’obbligo di acquistare i crediti, non necessariamente quella fattispecie deve essere riconducibile ad un altro tipo negoziale, e segnatamente alla surrogazione con pagamento, ben potendo trattarsi di un contratto atipico, che trova per l’appunto la sua disciplina nel testo contrattuale.
2.3.Con il terzo motivo si prospetta omessa pronuncia e comunque violazione degli articoli 1419 e 1481 del codice civile.
Come si è detto, la società RAGIONE_SOCIALE si è avvalsa di una clausola che le consentiva di trasferire il rischio di insolvenza del
debitore sul cedente qualora quest’ultimo non avesse fornito la documentazione probatoria del credito.
La ricorrente sostiene di aver eccepito la nullità di tale clausola, o comunque la sua abusività, proprio perché prevedeva un effetto sproporzionato rispetto all’inadempimento, e censura la decisione impugnata per non aver tenuto conto di tale questione.
Il motivo è infondato.
La Corte di merito, infatti, ha compiuto l’accertamento relativo alla meritevolezza di tale clausola a pagina 17, ed ha stimato come meritevole l’intento di favorire l’adempimento del debitore ceduto a beneficio della cessionaria, in quanto tale interesse si coniuga con lo stesso interesse della società cedente al buon esito delle operazioni.
Anche a tacere di tale apprezzamento, resta il fatto che non può ritenersi immeritevole una clausola con la quale è previsto che il rischio del mancato pagamento del debito gravi sul cedente qualora costui non fornisca al cessionario la documentazione probatoria di quel credito, posto che senza di essa il cessionario non è poi in grado di rivalersi sul debitore inadempiente.
2.4.- Con il quarto motivo si prospetta violazione dell’articolo 1341 del codice civile e comunque omessa pronuncia su una questione espressamente posta.
La ricorrente sostiene di aver eccepito la nullità delle clausole contenute nelle condizioni generali di contratto, ed in particolare di quella relativa al punto precedente, per violazione dell’articolo 117 t.u.b. e per mancata specifica sottoscrizione, e censura la decisione impugnata per non aver pronunciato su tale questione.
Il motivo è inammissibile.
Come eccepito dal controricorrente (p. 28) la questione è stata posta in primo grado, ivi rigettata, e non più riproposta nel giudizio di rinvio, con la conseguenza che viene qui formulata in modo inammissibile.
Del resto, la ricorrente, a dimostrazione di averla posta nel giudizio di rinvio, fa riferimento ad una generica eccezione di nullità del contratto di factoring e altrettanto generica affermazione di invalidità o inapplicabilità o inefficacia della clausola di trasferimento del rischio (p.21), che sono affermazioni non sufficienti a dimostrare che la questione è stata espressamente riproposta in sede di rinvio, in termini di domanda o di eccezione.
2.5.- Con il quinto motivo si prospetta omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio.
Sempre relativamente alla questione della clausola di cui si è avvalsa RAGIONE_SOCIALE per chiedere il rimborso, la ricorrente sostiene di avere eccepito l’abusività del comportamento di RAGIONE_SOCIALE, o meglio, la malafede di quest’ultima, la quale non solo avrebbe con ritardo richiesto i documenti probatori del credito, ma altresì non avrebbe avvisato la ricorrente delle conseguenze della mancata consegna di quei documenti.
Il motivo è infondato.
Innanzitutto, la Corte di merito si è occupata della questione, come risulta dalla motivazione contenuta alle pagine 18 e 19 della sentenza, ed ha ritenuto la condotta di RAGIONE_SOCIALE assolutamente rispettosa del contratto e della clausola contrattuale, che le dava il potere di pretendere la documentazione e, in caso contrario, di pretendere il rimborso della somma corrisposta.
Nel merito, la decisione si dimostra corretta poiché non può considerarsi abusivo il comportamento di una delle parti del contratto per non aver avvisato l’altra delle conseguenze di una sua condotta, quando tali conseguenze sono comunque descritte nel contratto stesso in modo sufficientemente chiaro.
2.6.- Con il sesto motivo si prospetta omesso esame di un fatto decisivo sempre in relazione alla questione della violazione dell’obbligo di trasmissione della documentazione.
Secondo la ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe valutato l’importanza dell’inadempimento, ossia non si sarebbe posto il problema se l’inadempimento di quell’obbligo, vale a dire la consegna della documentazione probatoria del credito, fosse di gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto o comunque la pretesa di RAGIONE_SOCIALE di rimborso delle somme corrisposte. Il motivo è infondato.
Innanzitutto, non vi è omesso esame in quanto i giudici di merito risolvono la questione a pagina 19 della sentenza.
In secondo luogo, non vi è in tale decisione alcuna violazione di legge dal momento che la gravità dell’inadempimento, come anche osservato dai giudici del rinvio, era già predeterminata dal contratto stesso nel quale è chiaramente detto che la mancata consegna avrebbe comportato la riassunzione del rischio in capo al fornitore con effetto retroattivo (art. 6).
Il ricorso va dunque rigettato e le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 7000,00 per compensi, oltre 200,00 € per esborsi ed oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24/06/2024.