Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21101 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21101 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4316/2020 R.G. proposto da : COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 5280/2019 depositata il 22/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
La presente controversia trae origine da una scrittura privata con cui , dopo l’avvio di una causa di risarcimento del danno per un sinistro stradale subito NOME COGNOME questa e i genitori di lei, NOME COGNOME e NOME COGNOME conclusero un contrattomandato con lo Studio di RAGIONE_SOCIALE di Trovò Ermes. Il contratto, stipulato il 20 novembre 2009, in concomitanza con quello di mandato concluso con i legali fiduciari dello stesso Studio 3° e incaricati della difesa in giudizio, prevedeva un compenso determinato in ragione del 10% della somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno, sia per via giudiziale, sia per via stragiudiziale. La liquidazione del danno avvenne per via giudiziale, nel giudizio promosso tramite i legali fiduciari dello studio 3A, già autonomamente retribuiti.
In forza del contratto a suo tempo concluso con lo studio RAGIONE_SOCIALE, la società RAGIONE_SOCIALE deducendo di essere subentrata per cessione nella titolarità dei diritti contrattuali dello Studio di RAGIONE_SOCIALE, agì in giudizio, chiedendo la condanna di NOME COGNOME e dei genitori NOME COGNOME e NOME COGNOME a corrispondere l’importo che l’attrice assumeva maturato in favore di RAGIONE_SOCIALE a seguito della liquidazione giudiziale dei danni, oltre al rimborso delle spese anticipate.
La domanda, rigettata in primo grado per motivi procedurali, è stata invece accolta dalla Corte d’appello di Venezia, che ha superato le eccezioni proposte dai convenuti sulla validità del contratto, osservando: che non mancavano ‘l’oggetto o la causa dei contratti’; che non poteva ritenersi che ‘l’oggetto del contratto’ fosse ‘incomprensibile’; che la difesa degli appellati non aveva ‘invocato alcuna norma’ che potesse consentire ‘un sindacato sulla congruità del corrispettivo, previsto dal patto di quota lite’.
Per la cassazione della decisione NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso affidato a tre motivi. Valore S.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale affidato a un solo motivo, Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va esaminata l’eccezione di nullità del contratto per esercizio abusivo di attività riservate, perché il mandato avrebbe avuto ad oggetto attività di consulenza e assistenza legale in materia risarcitoria, che la legge riserva esclusivamente agli avvocati (cfr. memoria dei ricorrenti).
L’eccezione , prospettata come rilevabile di ufficio, è infondata.
Infatti, la prestazione di opere intellettuali nell’ambito dell’assistenza legale è riservata agli iscritti negli albi forensi solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio e, comunque, di diretta collaborazione con il giudice nell’ambito del processo. Al di fuori di tali limiti, l’attività di assistenza e consulenza legale non può considerarsi riservata agli iscritti negli albi professionali e conseguentemente non rientra nella previsione dell’art. 2231 c.c. e dà diritto a compenso a favore di colui che la esercita (cfr. Cass. n. 7359/1997; n. 12849/2006).
Passando all’esame dei motivi del ricorso principale, con il primo di essi è stata censurata la decisione nella parte in cui la Corte d’appello ha riconosciuto che la previsione, destinata a definire l’oggetto del contratto, fosse scritta in modo chiaro e comprensibile. Tale affermazione è censurata in primo luogo per motivazione apparente e, in subordine, per violazione degli artt. 34, 35 e 36 del Codice del consumo.
Il motivo è infondato.
Il Codice del consumo all’art. 33 definisce vessatorie le clausole che, nonostante la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. La norma fa un espresso riferimento all’equilibrio normativo del contratto, di conseguenza si deve in astratto ritenere che l’equilibrio economico inerente alla convenienza economica dell’affare è rimesso al libero potere negoziale delle parti (Cass. n. 21600/2013). Questa Corte ha chiarito che «il controllo giudiziale sul contenuto del contratto stipulato con il consumatore, pur postulando una valutazione complessiva dei diritti e degli obblighi ivi contemplati, e nel cui ambito svantaggi e benefici determinati da singole clausole possono compensarsi, è circoscritto alla componente normativa del contratto stesso, mentre è preclusa ogni valutazione afferente le caratteristiche tipologiche e qualitative del bene o del servizio fornito, o l’adeguatezza tra le reciproche prestazioni, richiedendosi soltanto che l’oggetto del contratto ed il corrispettivo pattuito siano individuati in modo chiaro e comprensibile. Più precisamente, le clausole redatte in modo non chiaro e comprensibile possono essere considerate vessatorie o abusive, e pertanto nulle, se determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e ciò anche nel caso in cui riguardano la stessa determinazione dell’oggetto del contratto o l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi» (Cass. n. 30556/2023; n. 23655/2021).
Nel caso in esame, con la sentenza impugnata, la Corte d’appello ha ritenuto che l’oggetto del contratto, a suo tempo intercorso con lo Studio RAGIONE_SOCIALE, non fosse ‘incomprensibile’, essendo i clienti ‘in grado di comprendere quale incarico fosse rilasciato al
titolare dell’agenzia di infortunistica stradale’. Tale valutazione, da un lato, rende palese la non configurabilità del denunziato vizio di motivazione apparente. Secondo la giurisprudenza di legittimità, «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass. n 1986/2925; Cass. n. 2767/2023; cass. n. 6758/2022).
Nulla di tutto questo nel caso di specie, nel quale la valutazione compiuta dalla Corte d’appello, nei termini sopra riportati, consente agevolmente di percepire il fondamento della decisione. Nello stesso tempo, quella stessa valutazione è, in linea di principio, del tutto coerente con le norme del Codice del consumo, che impongono al giudice di merito di valutare la chiarezza e comprensibilità delle previsioni relative all’oggetto del contratto. Il che vuol dire che non sussiste neanche la violazione di legge denunziata con il motivo in esame, secondo la nozione del vizio recepita dalla Suprema corte: «Il vizio di violazione di legge che si deduce con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., consiste nell’affermazione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, estranea all’esatta
interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 24155/2017) se non sotto l’aspetto, per quanto ancora sussistente, del vizio di motivazione» (Cass. n. 22707/2017; Cass. n. 195/2016).
Così identificati i confini dell’anomalia motivazionale rilevante e della violazione di legge, si capisce che, sotto lo schermo dell’una e dell’altra censura, i ricorrenti denunziano piuttosto l’interpretazione del contratto da parte della corte veneta, rivendicando la correttezza di un esito decisorio diverso e per essi favorevole. In questo senso, tenuto conto dei limiti del sindacato di legittimità in tema di ermeneutica negoziale (Cass. n. 23655/2021), le pur articolate argomentazioni critiche profuse dai ricorrenti non possono quindi trovare ingresso in questa sede di legittimità. Esse, infatti, si fondano su di un presupposto, e cioè la mancanza di chiarezza, trasparenza e comprensibilità del contenuto della regolamentazione contrattuale, escluso dal giudice di merito con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità.
2 Con il secondo motivo i ricorrenti hanno censurato la decisione nella parte relativa all’interpretazione della previsione relativa al compenso. Si sostiene che la clausola, correttamente intesa, legittimava lo Studio a pretendere il compenso pattuito solo nella misura in cui il creditore avesse fornito la dimostrazione dell’incidenza della propria attività sul risarcimento infine conseguito. Tale prova nella specie non era stata fornita. Come nel primo motivo, la decisione è censurata per motivazione apparente e, in subordine, per violazione delle norme del Codice del consumo.
Anche tale motivo è infondato.
Si suppone la violazione della norma che impone di interpretare le clausole ambigue contro l’autore della clausola, secondo la regola stabilita dall’art. 1370 c.c., applicabile, in forza dell’art. 35, comma 2, del Codice del consumo ai contratti individuali. La violazione, però, non sussiste, perché la Corte d’appello ha riconosciuto l’univocità delle previsioni negoziali, laddove il criterio interpretativo in questione, in forza del principio del “gradualismo” dei mezzi ermeneutici, diviene operante solo quando risulti non appagante il ricorso ai criteri di cui agli artt. 1362 – 1365 c.c., ed il giudice fornisca compiuta ed articolata motivazione della ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale (Cass. n. 12721/2007). Quindi, sotto lo schermo del vizio motivazionale e della violazione di legge, è ancora una volta oggetto di censura un apprezzamento di merito, proponendosi in questa sede di legittimità inammissibilmente una soluzione alternativa rispetto a quella data dai giudici di merito, i quali, secondo la tesi sostenuta con il motivo in esame, meglio avrebbero fatto a riconoscere l’ambiguità della clausola e, quindi, a dare ad essa il significato propugnato dai ricorrenti. Si ricorda che «in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. n. 2465/2015; n. 10891/2016).
3 Il terzo motivo censura la decisione, sotto una molteplicità di profili, perché la Corte d’appello avrebbe riconosciuto, in favore del cessionario del credito, anche il rimborso della somma di € 5.092,00, che invece non spettava. Infatti, si trattava di anticipazioni dipendenti dall’iniziativa giudiziale che avrebbero dovuto far carico alla parte soccombente, ma che non furono poi liquidate nella sede giudiziale, non essendo stata prodotta la documentazione di supporto da parte dello Studio. Conseguentemente, lo Studio, essendo inadempiente, non aveva il diritto di rimediare, in danno dei ricorrenti, alle conseguenze della propria omissione.
Quanto al terzo motivo, fra i vari profili di censura, è certamente fondato quello relativo all’omissione di pronunzia sull’eccezione con la quale gli attuali ricorrenti negarono il diritto al rimborso delle spese anticipate.
La Corte d’appello ha riconosciuto, a carico di NOME COGNOME, l’importo di € 38.540,99, che è considerato come se fosse tutto compenso, mentre, a tenore della domanda, l’importo derivava dalla sommatoria fra la somma di € 27.268,97, pari alla percentuale sul liquidato, e la somma di € 5.082,00 per rimborso spese. Con riferimento al rimborso spese, gli attuali ricorrenti avevano eccepito l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE, richiamando fatti e circostanze avvenuti nella causa risarcitoria: in particolare la mancata produzione in giudizio dei giustificativi delle spese, che ne aveva impedito la liquidazione da parte del giudice a carico della parte soccombente.
Su tale eccezione, la Corte d’appello non ha pronunziato, incorrendo così nel vizio procedurale denunziato con il motivo, in assenza di qualsiasi riscontro, nel contenuto della decisione, di elementi idonei a consentire di ravvisare una ipotesi di rigetto implicito (cfr. Cass. n. 12131/2923).
A tale omissione rimedierà il giudice di rinvio
4 . Resta a questo punto da esaminare il ricorso incidentale con cui si denunzia omissione di pronunzia sulla domanda con la quale fu chiesto il rimborso delle somme corrisposte in forza della sentenza di primo grado.
Il ricorso incidentale è fondato.
Incorre nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice che, accogliendo l’appello avverso sentenza provvisoriamente esecutiva, ometta di ordinare la restituzione di quanto corrisposto in forza della decisione riformata, pur essendo stata ritualmente introdotta con l’atto di impugnazione la relativa domanda restitutoria (Cass. n. 8639/2016).
Nel caso in esame, la Corte di merito è incorsa effettivamente nell’omissione di pronunzia sulla domanda proposta da Valore S.p.A., che con la citazione in appello aveva domandato la restituzione delle somme pagate, a titolo di spese, in forza della sentenza di primo grado riformata. A tale omissione porrà rimedio il giudice di rinvio.
In conclusione, sono accolti il terzo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale; sono rigettati i restanti motivi del ricorso principale.
La sentenza, nei limiti sopra indicati, deve essere cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, perché venga decisa sull’eccezione di
inadempimento, proposta dagli attuali ricorrenti in ordine alla richiesta di rimborso spese, e sulla domanda di ripetizione proposta dall’attuale ricorrente incidentale.
La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale; rigetta i restanti motivi del ricorso principale; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia la causa alla Corte d’appell o di Venezia anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda