Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5332 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 5332 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 30151-2022 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 281/2022 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 30/06/2022 R.G.N. 689/2021;
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 17/01/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Torino, confermando la pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME per il riconoscimento della sussistenza, nei confronti della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in considerazione della nullità del contratto a termine (e relative proroghe) stipulato il 4.7.2019.
La Corte territoriale ha precisato che la stipulazione del contratto di lavoro a termine (successivamente prorogato entro il limite complessivo dei 12 mesi) era rispettosa sia della normativa nazionale (artt. 19 e ss del d.lgs. n. 81 del 2015, come modificati dal d.l. n. 87 del 2018, convertito con modificazioni dalla legge n. 96 del 2018, e come modificato dalla legge n. 145 del 2018 che hanno consentito la stipulazione di un primo contratto c.d. acausale di durata inferiore all’anno, prorogabile liberamente entro i 12 mesi) sia di quella comunitaria (clausola n. 5 Accordo Quadro RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, nonché giurisprudenza comunitaria intervenuta in materia, in specie CGUE 11.2.2021, C-760/18 e 3.6.2021, C726/2019) trattandosi di un unico contratto a tempo determinato, stipulato nel rispetto dei limiti di durata (prorogabili) imposti dalla legislazione vigente (in applicazione dei margini di discrezionalità di cui gli Stati membri dell’Unione Europea dispongono e dei criteri oggettivi e trasparenti idonei a
conseguire l’obiettivo di evitare abusi derivanti dall’utilizzo del contratto a termine).
Avverso tale sentenza ricorre la lavoratrice con un motivo, illustrato da memoria, e la RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo e unico motivo di ricorso si denuncia error in procedendo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ. in relazione all’art. 112 cod.proc.civ., avendo, la Corte distrettuale, trascurato di motivare sulla seconda censura di cui all’atto di appello, incentrata sulla nullità del contratto a tempo determinato in considerazione della reiterazione, nello stesso posto di lavoro (mansioni di OSS presso strutture sanitarie gestite dalla RAGIONE_SOCIALE o presso privati cittadini), di diversi lavoratori, con conseguente carenza di esigenze di occupazione temporanee (in realtà stabili e durature) e, quindi, con frode alla legge ex art. 1344 cod.civ.; invero, nell’atto di appello erano svolte due distinte critiche, la prima relativa alle proroghe dell’inziale contratto a termine di tre mesi (proroghe da assimilarsi ad una ‘successione di rapporti di lavoro a termine’ e come tali rientranti nella clausola 5 dell’Accordo Quadro recepito nella direttiva 1999/70/Ce) e la seconda relativa alla stipula di successivi unici contratti a termine con diversi lavoratori sullo stesso posto di lavoro, quindi con frode alla legge;
il ricorso è inammissibile;
secondo orientamento consolidato di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il
provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logicogiuridica della pronuncia. (cfr. Cass. n. 20386 del 2021, Cass. n. 13520 del 2019, Cass. n. 24155 del 2017, Cass. n. 20311 del 2011, Cass. n. 16788 del 2006);
4. nel caso di specie, la Corte territoriale (conformemente al giudice di primo grado) ha, innanzitutto, accertato che la lavoratrice ha stipulato un unico contratto a tempo determinato (un contratto acausale, di durata complessiva non superiore a 12 mesi, legittimamente prorogato sino al raggiungimento di detto periodo complessivo); ha, poi, verificato il rispetto non solo dei limiti posti dal d.lgs. n. 81 del 2015 (a mente del quale, ex art. 19, è consentita la stipula di un contratto a termine acausale con ‘termine di durata non superiore a 12 mesi’, prorogabile nel rispetto di detto limite temporale e senza indicazione delle specifiche esigenze) ma, altresì, la conformità con l’Accordo Quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE e con i principi affermati e ribaditi da tutte le recenti sentenze della Corte di Giustizia europea (in specie, CGUE 11.2.2021, C760/2018 e CGUE 3.6.2021, C-726/2019, secondo le quali il ricorso abusivo ad una successione di contratti a termine deve ritenersi integrato «solo in caso di successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato…di modo che un contratto che è il primo o l’unico contratto di lavoro a tempo determinato non rientra nell’ambito di applicazione della clausola 5, punto 1, dell’Accordo Quadro»);
5. la Corte territoriale ha, dunque, statuito in ordine ad entrambe le argomentazioni sviluppate nell’unico motivo di appello svolto dalla lavoratrice, rilevando che la fattispecie in concreto configurava un unico rapporto di lavoro (e non una successione di rapporti, come prospettato dall’appellante) e che la stipulazione di un unico contratto di lavoro è conforme sia alla legislazione italiana ratione temporis applicabile alla fattispecie (d.lgs. n. 81 del 2015) sia alla normativa (e alla giurisprudenza) comunitaria (non applicandosi -a tale ipotesi -la clausola 5 dell’Accordo Quadro citato, che stabilisce, al suo punto 1, le misure che debbono introdurre gli Stati membri in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi ed essendo sfornita, dunque, di fondamento la tesi, proposta dall’appellante, di una ‘lettura restrittiva’ della locuzione ‘successione di rapporti di lavoro a tempo determinato’); conseguentemente, ha ritenuto che la stipulazione di singoli ed unici contratti di lavoro a termine con diversi lavoratori, così come genericamente dedotto dall’appellante (‘utilizzazione di diversi lavoratori nello stesso posto’, senza alcuna precisa indicazione sul numero di lavoratori assunti, sul tipo e sul numero di contratti stipulati da ciascuno di essi, sulle postazioni ove sono stati adibiti, sulle mansioni e sulle qualifiche assegnate) non configurava alcuna violazione delle norme vigenti;
6. va, invero, altresì rilevato che la censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente -proprio alla luce della motivazione fornita dalla sentenza impugnata, con ampi richiami della giurisprudenza comunitaria – avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso gli specifici elementi di fatto forniti ai giudici di merito al fine di configurare
un utilizzo fraudolento di contratti a tempo determinato, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.pro.civ.; il ricorso per cassazione si compendia, invece, della sola, apodittica, affermazione della configurazione di un abuso in caso di ‘stipula d i successivi unici contratti a termine con diversi lavoratori sullo stesso posto di lavoro’, senza ulteriori precisazioni (salvo il richiamo di una più risalente sentenza della Corte di giustizia europea, CGUE 3.7.2014, C-362/13, che ha affermato principi conformi a quelli ribaditi dalla stessa Corte di giustizia con le pronunce più recenti citate, essendosi occupata della stipulazione di più contratti a tempo determinato con ogni singolo lavoratore, marittimi iscritti nei registri della gente di mare, da parte di una RAGIONE_SOCIALE di navigazione);
da ultimo, va rilevato che anche successivamente alla sentenza impugnata, la Corte di giustizia europea ha ribadito i principi innanzi esposti, sottolineando nuovamente che la clausola 5 dell’Accordo Quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE non vieta i contratti a tempo determinato ma l’abuso di utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato con lo stesso lavoratore e che la stipulazione di un contratto a tempo determinato che è il primo o l’unico contratto di lavoro a tempo determinato non rientra nell’ambito di applicazione del punto 1 di detta clausola (cfr. CGUE 15.12.2022, C-40/20 e C-173-20, punti da 47 a 50);
in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
9. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 5.000,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, d ell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione