Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14458 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14458 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
La Corte di Appello di Catanzaro ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME, ausiliario socio-sanitario specializzato, avverso la sentenza del Tribunale di Castrovillari, che aveva dichiarato la nullità dei termini apposti a due contratti stipulati dal medesimo con la RAGIONE_SOCIALE (4.5.2007-3.112007 e 9.6.2008-8.12.2008), ed aveva respinto la domanda di conversione.
La Corte territoriale, pur avendo considerato illegittimi i contratti a tempo determinato, ha escluso che potesse disporsi la conversione del rapporto (ostandovi l’art. 36 del d. lgs. n. 165/2001); ha inoltre ritenuto che l’Azienda Sanitaria rientri nell’elenco delle Amministrazioni pubbliche, e segnatamente tra le aziende e gli enti del RAGIONE_SOCIALE, di cui all’art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 165/2001.
Ha inoltre ritenuto infondata la domanda di stabilizzazione reiterata dall’appellante.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto tre motivi di ricorso.
La RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
DIRITTO
Con il primo motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 5 d. lgs. n. 368/2001, artt. 35 e 36 d. lgs. n. 165/2001, art. 16 legge n. 56/1987, clausole 4 e 5 Direttiva 1999/70 CE, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.; insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Lamenta l’erroneità delle statuizioni sulla mancata conversione, sostenendo che il d. lgs. n. 368/2001 si applica anche ai rapporti di lavoro con la Pubblica Amministrazione.
Sostiene che non osti no alla conversione che le disposizioni contenute nell’art. 36 c. 5 d. lgs. n. 165/2001, in quanto anteriori al d. lgs. n. 368/2001, contrastanti col medesimo, ed abrogate dall’art. 11 del d. lgs. n. 368/2001.
Deduce che i contratti a tempo determinato stipulati tra le parti sono privi di ragioni giustificative.
Evidenzia che nel caso di specie la procedura di reclutamento non prevede un pubblico concorso; precisa il rapporto di lavoro tra le parti è stato legittimamente instaurato nel rispetto delle procedure di cui all’art. 35 d. lgs. n. 165/2001 e all’art. 16 legge n. 56/1987, ossia previa selezione da parte della competente Sezione Circoscrizionale del Lavoro e richiama la giurisprudenza di legittimità.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione artt. 3 d. lgs. n. 502/1992 e 36 d. lgs. n. 165/2001, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.; insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto l’applicabilità dell’art. 36 del d. lgs. n. 165/2001.
Evidenzia che la RAGIONE_SOCIALE è un ente pubblico economico, ed è pertanto sottratto a tale disciplina.
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 519 e 558, della legge n. 296/2006, nonché dell’art. 3, comma 94, lett. a), della legge n. 244/2007, come recepite dall’art. 6 della deliberazione della Giunta Regione Calabria n.1 del 15.1.2009 in relazio ne all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale erroneamente escluso la sussistenza del diritto del COGNOME di essere mantenuto in servizio fino al conseguimento del requisito di anzianità previsto dalle suddette disposizioni.
Evidenzia che la deliberazione della Giunta Regionale Calabria n. 196/2008, come interpretata dalla circolare del Dipartimento della Salute del 23.4.2008, aveva espressamente previsto che il personale in servizio interessato alla
stabilizzazione venisse mantenuto in servizio fino alla definizione delle relative procedure, ivi compresa la maturazione dell’anzianità di servizio prevista per potervi accedere; aggiunge che tale deliberazione è stata recepita dalla L. R. Calabria n. 1 del 2009.
I motivi vanno innanzitutto disattesi nella parte in cui denunciano l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione.
Infatti, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 134 del 2012, tali censure non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza- di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Ciò premesso, il primo motivo è infondato, in quanto basato sull’erroneo presupposto che il superamento delle procedure di reclutamento ai fini della stipula di contratti a tempo determinato sia sufficiente per l’immissione in ruolo.
La sentenza impugnata non si è infatti discostata dall’orientamento, da tempo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai sensi dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, nell’impiego pubblico contrattualizzato la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione di lavoratori non può mai comportare la costituzione di rapporti a tempo indeterminato (v. Cass. n. 12624/2022 e Cass. n. 37736/2022, nonché la giurisprudenza ivi richiamata).
Detto orientamento, qui ribadito, ha valorizzato i principi affermati dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 5072/2016), dalla Corte Costituzionale (Corte Cost.
n. 89/2003) e dalla Corte di Giustizia (sentenza 7.9.2006 causa C-53/04 Marrosu e COGNOME) per escludere profili di illegittimità costituzionale e di contrarietà al diritto dell’Unione del divieto di conversione ed ha trovato ulteriore avallo nella più recente giurisprudenza del Giudice delle leggi (Corte Cost. n. 248/2018) e della Corte di Lussemburgo (Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C-494/16, COGNOME), che, da un lato, ha ribadito l’impossibilità per tutto il settore pubblico di conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato, dall’altro ha riaffermato che la clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE non osta ad una normativa nazionale che vieta la trasformazione del rapporto, purché sia prevista altra misura adeguata ed effettiva, finalizzata ad evitare e se del caso a sanzionare il ricorso abusivo alla reiterazione del contratto a termine.
Né si può sostenere che il divieto di conversione sarebbe privo di copertura costituzionale nei casi in cui, ai sensi dell’art. 35 comma 1 lett. b) del d.lgs. n. 165/2001, l’assunzione può legittimamente essere disposta, a prescindere dal previo esperimento di procedura concorsuale, mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento.
Anche detto argomento è già stato esaminato e disatteso da questa Corte, la quale ha evidenziato che il comma 5 dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, seppure tradizionalmente ricondotto al principio sancito dall’art. 97, comma 4, Cost., si ricollega anche alla necessità di assicurare il buon andamento della Pubblica Amministrazione, che sarebbe pregiudicato qualora si consentisse l’immissione stabile nei ruoli a prescindere dall’effettivo fabbisogno del personale e dalla previa programmazione delle assunzioni, indispensabili per garantire efficienza ed economicità della gestione dell’ente pubblico.
Si è pertanto affermato che la regula iuris dettata dal legislatore ordinario non ammette eccezioni e trova applicazione sia nell’ipotesi in cui per l’assunzione a tempo indeterminato non sia richiesto il concorso pubblico, sia qualora il contratto a termine sia stato stipulato con soggetto selezionato all’esito di apposita procedura concorsuale (Cass. n. 8671/2019 e Cass. n. 6097/2020).
E’ del tutto infondato l’assunto di parte ricorrente secondo cui vi sarebbe stata l’abrogazione implicita dell’art. 36 del T.U. del pubblico impiego in virtù del
successivo d.lgs. n. 368 del 2001: il testo unico del pubblico impiego contrattualizzato costituisce, infatti, un corpus normativo speciale, in quanto tale prevalente sulle norme generali successive (si veda anche Cass. n. 392/2012); già Cass. S.U. 5072/2016 ha poi chiarito, definitivamente (punto 5), come la norma sia da considerare speciale e certamente sopravvissuta all’entrata in vigore del d. lgs. 368/2001 e sul punto non vi è ragione di tornare (cfr. Cass. n. 8671/2019; Cass. n. 37736/2022).
E’ inoltre palesemente infondato il secondo motivo di ricorso nella parte in cui fa leva sulla natura dell’Azienda Sanitaria al fine di escludere l’applicabilità dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, atteso che l’art. 1, comma 2, include espressamente fra le amministrazioni pubbliche soggette alla disciplina dettata dal richiamato decreto «le aziende e gli enti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE», come evidenziato in recente pronuncia resa in fattispecie sovrapponibile a quella di causa (Cass. n. 42005/2021).
E’ infondato anche il terzo motivo, che lamenta l’erroneità delle statuizioni relative al mancato mantenimento in servizio del ricorrente ai fini del raggiungimento dei requisiti necessari per la stabilizzazione, ai sensi della delibera della Giunta Regione Calabria n. 196/2008, recepita dalla L. R. Calabria n. 1 del 2009.
Nella sentenza n. 179/2010 la Corte costituzionale ha infatti rilevato che l’art. 54, comma 1, della L.R. Calabria n. 19/2009, il quale ha sostituito il comma 2 dell’art. 43 della L.R. Calabria n. 15/2008, ha autorizzato la Giunta regionale a predisporre un piano per la progressiva stabilizzazione del personale utilizzato dalla Regione ‘nei limiti dei posti disponibili in organico, determinati dalla programmazione triennale del fabbisogno di personale ed in coerenza con la normativa statale di principio’, ed ha pertanto evidenziato che tale norma non ha individuato autonomamente i requisiti che deve possedere il personale da stabilizzare ed ha fatto in proposito rinvio alla ‘normativa statale di principio’.
Tale pronuncia ha dunque chiarito che i lavoratori interessati alla stabilizzazione sono unicamente quelli in possesso dei requisiti stabiliti dalla legislazione statale, e, precisamente, dall’art. 1, comma 558, della legge 27
dicembre 2006, n. 296 e dall’art. 1, comma 90, lettera b), della legge n. 244/2007.
La medesima pronuncia ha altresì precisato che nessuna stabilizzazione è possibile, neppure in virtù dell’art. 54, comma 1, della L.R. Calabria n. 19 del 2009, non solo a favore di lavoratori sforniti dei requisiti richiesti dalla disciplina statale, ma neppure in periodi di tempo per i quali tale disciplina non consente tale stabilizzazione; così ricostruito il significato della norma impugnata, ha pertanto ritenuto che non contrasti con l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto rispetta i principi fondamentali enunciati dalla legislazione statale in tema di stabilizzazione e non amplia il novero dei potenziali interessati alla stabilizzazione, così come definito dalla suddetta normativa dello Stato.
La sentenza impugnata è conforme a tali principi, in ragione dei quali ha ritenuto l’illegittimità della delibera n. 196/2008 della Giunta Regionale Calabria e l’ha disapplicata.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Nulla sulle spese, in quanto la RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
10 . Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio in data 16 aprile 2024.
Il Presidente
NOME COGNOME