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Contratto a termine: onere della prova e clausola

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4634/2024, interviene su un caso di contratto a termine stipulato per sostituzione feriale. Viene ribadito che non è necessario indicare il nome del lavoratore sostituito, ma si chiarisce un punto fondamentale: l’onere della prova sul rispetto della clausola di contingentamento (il limite percentuale di contratti a tempo determinato) grava sempre sul datore di lavoro. È sufficiente che il lavoratore deduca il superamento di tale limite per far scattare l’obbligo probatorio in capo all’azienda. La sentenza della Corte d’Appello è stata quindi cassata su questo punto con rinvio per un nuovo esame.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contratto a Termine e Sostituzione Feriale: Chi Prova Cosa?

Un contratto a termine stipulato per far fronte alle assenze del personale durante le ferie estive è una pratica comune per molte aziende. Ma quali sono i limiti e, soprattutto, a chi spetta l’onere di dimostrare che tutto sia stato fatto secondo le regole? L’ordinanza n. 4634/2024 della Corte di Cassazione fornisce chiarimenti cruciali, in particolare sulla cosiddetta “clausola di contingentamento”, spostando in modo netto l’onere della prova sul datore di lavoro.

I Fatti del Caso

Un lavoratore veniva assunto con un contratto a tempo determinato da una grande società di servizi per il periodo dal 18 agosto al 30 settembre 2000. La causale indicata era la “necessità di espletamento servizio recapito in concomitanza di assenze per ferie”.

Il lavoratore impugnava il contratto, sostenendo la nullità del termine per due ragioni principali:
1. Mancata indicazione del nominativo del dipendente sostituito.
2. Violazione della clausola di contingentamento prevista dal contratto collettivo, la quale impone un tetto massimo al numero di lavoratori a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato.

La Corte d’Appello dava ragione all’azienda, ritenendo che per le sostituzioni feriali previste dalla contrattazione collettiva non fosse necessaria l’indicazione nominativa del sostituito e che la questione sul contingentamento non fosse stata sollevata adeguatamente in primo grado. Il lavoratore, non soddisfatto, ricorreva in Cassazione.

La Clausola di Contingentamento nel Contratto a Termine

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nel quarto motivo di ricorso, l’unico ad essere accolto. La Corte ha affrontato la questione dell’onere probatorio relativo al rispetto dei limiti percentuali imposti dalla contrattazione collettiva per l’assunzione di personale a termine.

I giudici di legittimità hanno ribadito un principio consolidato: l’onere di dimostrare l’esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine a un contratto di lavoro è sempre a carico del datore di lavoro. Questo principio si estende anche alla prova del rispetto della clausola di contingentamento.

L’Onere della Prova a Carico del Datore di Lavoro

La Corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto che la semplice deduzione del lavoratore sulla violazione del limite percentuale non fosse sufficiente a far scattare l’onere probatorio in capo all’azienda. La Cassazione ha capovolto questa visione, affermando che è sufficiente per il lavoratore allegare l’avvenuto superamento della percentuale per invertire l’onere della prova. Sarà quindi la società a dover dimostrare, con dati concreti, di non aver superato il limite consentito (id est, di aver rispettato il requisito del mancato superamento).

Questa interpretazione mira a non rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto del lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, non ha la “disponibilità” dei dati aziendali necessari a fornire una prova piena e diretta.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, basando la sua decisione sull’errata applicazione delle regole sulla distribuzione dell’onere probatorio (art. 2697 c.c.). I giudici hanno chiarito che, in tema di clausola di contingentamento, la prova del rispetto del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine è un requisito essenziale per la legittima apposizione del termine. Tale prova incombe sul datore di lavoro, che deve dimostrare l’esistenza oggettiva delle condizioni legittimanti.

Per quanto riguarda gli altri motivi di ricorso, la Cassazione li ha rigettati. Ha confermato che, nel caso di assunzioni a termine per sostituzione feriale autorizzate da un contratto collettivo, non è necessaria l’indicazione del nome del lavoratore sostituito, essendo la causale già genericamente legittimata dall’accordo sindacale per un determinato periodo (es. giugno-settembre). Ha inoltre dichiarato inammissibili le censure relative a vizi di motivazione e alla violazione del principio di non contestazione, in quanto non conformi ai rigidi requisiti del ricorso per cassazione.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza la tutela del lavoratore assunto con contratto a termine. Se da un lato si conferma la flessibilità per le causali “stagionali” previste dai contratti collettivi, dall’altro si pone un paletto invalicabile sulla prova del rispetto dei limiti numerici. Il datore di lavoro non può esimersi dal dimostrare di aver rispettato la clausola di contingentamento una volta che il lavoratore ne abbia contestato la violazione. La semplice allegazione del dipendente è sufficiente a far scattare l’obbligo per l’azienda di fornire la prova contraria, riequilibrando così le posizioni processuali delle parti.

In un contratto a termine per sostituzione durante le ferie, è obbligatorio indicare il nome del lavoratore sostituito?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se la possibilità di assumere a termine per le assenze dovute a ferie (in un determinato periodo come giugno-settembre) è prevista dalla contrattazione collettiva, non è necessaria l’indicazione nominativa del dipendente sostituito. La legittimità deriva direttamente dall’accordo collettivo.

A chi spetta l’onere di provare il rispetto della clausola di contingentamento?
L’onere della prova spetta sempre al datore di lavoro. È sufficiente che il lavoratore deduca il superamento del limite percentuale di contratti a termine consentiti, affinché scatti per l’azienda l’obbligo di dimostrare di aver rispettato tale limite.

Perché la Corte d’Appello aveva sbagliato nel suo giudizio?
La Corte d’Appello aveva errato perché non aveva applicato correttamente i principi sull’onere della prova. Aveva ritenuto che la semplice affermazione del lavoratore sulla violazione del limite percentuale fosse insufficiente per chiamare l’azienda a provare il contrario. La Cassazione ha corretto questa impostazione, stabilendo che la deduzione del lavoratore è sufficiente per attivare l’onere probatorio a carico della società.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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