Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2001 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 2001  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9242-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso  lo  studio  degli  avvocati  NOME  COGNOME,  NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la  CANCELLERIA  DELLA  CORTE  SUPREMA  DI  CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso  la  sentenza  n.  35/2022  della  CORTE  D’APPELLO  di POTENZA, depositata il 21/04/2022 R.G.N. 203/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
05/12/2024 dal AVV_NOTAIO Dott. COGNOME.
Oggetto
CTD RAGIONE_SOCIALE
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud.05/12/2024
CC
RILEVATO CHE
Con sentenza in data 21 aprile 2010 Corte di Appello di Potenza ha riformato la pronuncia del locale Tribunale, dichiarando la nullità della clausola appositiva del termine, relativo al contratto stipulato il 31.3.2003 tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, per il periodo 1.4.2003 -31.4.2003, ” per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell’Area Operativa e addetto al servizio recapito presso la Regione Sud 1 assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro” , e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza 1° aprile 2003 con condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate sino alla riammissione in servizio, detratto l’aliunde perceptum .
2. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 11326/2017, in accoglimento parziale del ricorso principale proposto dalla società, cassava la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinviava al Giudice designato, per provvedere a nuovo esame, affinché si conformasse al principio secondo cui, in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del d. lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nei corso del rapporto; pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto dì lavoro) che
consentano  di  determinare  il  numero  dei  lavoratori  da  sostituire, ancorché non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso,  la  verificabilità  della  sussistenza  effettiva  del  prospettato presupposto di legittimità.
Riassunto il giudizio da parte di NOME COGNOME, nel contraddittorio tra le parti la Corte di appello di Potenza, dopo aver espletato attività istruttoria, dichiarava la nullità della clausola appositiva del termine di cui al contratto del 31.3.2003 e, per l’effetto, convertiva il rapporto di lavoro e dichiarava la sussistenza tra le parti di un contratto a tempo indeterminato con decorrenza dal 1° aprile 2003; condannava, altresì, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE spa al pagamento, in favore della COGNOME, di una indennità, ex art. 32 co. 5 legge n. 183/2010, pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.
I giudici di rinvio, per quello che interessa in questa sede, hanno rilevato che: a) nel contratto del 31.3.2003, era ravvisabile un difetto di autenticità della situazione rappresentata nella clausola appositiva del termine in quanto le circostanze in essa rappresentate erano risultate diverse dall’istruttoria compiuta (teste NOME COGNOME, direttore dell’Ufficio postale di Tramutola nel periodo in contestazione) poiché era emerso che il ricorso dei contratti a termine veniva effettuato dalla società per sopperire a carenze di organico conseguite allo spostamento di uno dei due portalettere in servizio fino al 2002 allo sportello e tanto aveva riguardato anche la assunzione della COGNOME; b) ai fini della determinazione del quantum dell’indennità risarcitoria, nel numero di quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, doveva aversi riguardo alla norma specifica di cui all’art. 32 comma 5 del Collegato Lavoro (legge n. 183/2010).
Avverso tale ultima sentenza ha proposto nuovamente ricorso per  cassazione  RAGIONE_SOCIALE  affidato  a  quattro  motivi  cui  ha resistito con controricorso COGNOME NOME.
Le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc e dell’art. 2697 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, perché, mal interpretando le risultanze istruttorie, aveva disatteso una significativa peculiarità della disciplina del rapporto di lavoro, vale a dire che il datore può, sussistendo ab origine la ragione legittimante dell’apposizione del termine prevista dal contratto collettivo, assumere con contratto a tempo determinato e, esercitando lo ius variandi , utilizzare il neoassunto a termine in funzioni diverse secondo le necessità contingenti.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale, quale giudice di rinvio, si è attenuta alle indicazioni impartite in sede di cassazione ove è stato statuito che il concetto di specificità della clausola a termine doveva essere collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle specifiche realtà in cui il contratto veniva ad essere calato, considerando tutti gli elementi indicati nel contratto individuale come considerati significativi dalla giurisprudenza di legittimità; la Corte di merito è giunta, poi, all’esito di tale accertamento, alla conclusione della illegittimità dell’apposizione del termine al contratto annullato perché non era ravvisabile una temporanea assenza del titolare del posto di lavoro, ma una carenza strutturale dell’organ ico all’interno dell’Ufficio Postale di Tramutola.
La  questione  dello ius  variandi ,  oltre  a  non  essere  stata demandata  alla  Corte  territoriale,  è  nuova  perché  in  alcuna  altra pronuncia della presente controversia se ne parla e parte ricorrente non  ha  specificato  il  ‘dove’,  il  ‘come’  ed  il  ‘quando’  la  abbia sottoposta  ai  giudici  del  merito  negli  stessi  termini  in  cui  è  stata prospettata nell’articolazione del motivo in esame.
Quanto alle denunciate violazioni di legge, va sottolineato che, in tema di ricorso per cassazione,  una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di
merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 20867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.
Inoltre, è opportuno ribadire che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cc si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata non avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’e sito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cpc (Cass. n. 19064/2006; Cass. n. 2935/2006), con i relativi limiti di operatività ratione temporis applicabili: la asserita violazione dell’art. 2697 cod. civ., per come formulata, è quindi infondata.
Con il secondo motivo si censura la violazione o falsa applicazione degli artt. 103 e 104 disp. att. cpc, degli artt. 244 cpc, 245 cpc, 257 cpc, dell’art. 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per non avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile la testimonianza assunta all’udienza del 9.12.2021 della teste NOME COGNOME, in sostituzione del teste NOME COGNOME, non originariamente citata alla udienza del 28.2.2019 e, pertanto, da ritenersi decaduta stante l’impossibilità di accoglimento dell’istanza di sostituzione del teste deceduto.
Anche tale motivo è infondato.
Il  teste  COGNOME,  a  differenza  di  quanto  sostiene  parte ricorrente,  risulta  essere  stato  ritualmente  citato,  con  racc.  del 22.1.2019 ricevuta il 23.1.2019, per l’udienza del 28.2.2019 e per le udienze successive, fino al suo decesso.
Deve,  poi,  osservarsi  che  la sostituzione del teste deceduto  è  processualmente  ammissibile  (Cass.  n.  13187/2013; Cass. n. 16764/2006) e, in ogni caso, la Corte territoriale, come si legge a pag. 10, 1 cpv, della impugnata pronuncia, ha ammesso di ufficio la testimonianza della teste NOME COGNOME.
Con il terzo motivo si eccepisce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, costituito dall’omessa valutazione della domanda di RAGIONE_SOCIALE di restituzione delle somme già pagate dalla società (pari ad euro 103.943,60), a seguito della pronuncia poi cassata  ovvero  della  richiesta  di  compensazione  tra  quanto  già corrisposto e quanto eventualmente liquidato a titolo di indennità ex art. 32 legge n. 183/2010.
Il motivo è fondato perché la Corte territoriale non si è pronunciata sulla domanda, reiterata dalla società anche in sede di giudizio di rinvio, di restituzione delle somme già corrisposte alla lavoratrice, previa compensazione con quanto liquidato ex art. 32 legge n. 183/2010. Né la domanda può ritenersi implicitamente rigettata per la sua indeterminatezza, come sostiene la controricorrente, atteso che erano stati forniti tutti gli elementi per la sua individuazione da riscontrare con la documentazione posta a sostegno della stessa (cedolino paga ottobre 2010 e titoli esecutivi).
Con il quarto motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 legge n. 604/1996, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc, censurando, in ipotesi di conferma della impugnata sentenza, la quantificazione dell’indennità onnicomprensiva ex art. 32 legge n. 183/2010 in quanto ritenuta eccessiva non essendo stata valutata l’anzianità di servizio della lavoratrice e la prolungata inerzia nell’impugnare il contratto di lavoro do po due anni dalla sua scadenza.
Il motivo è infondato.
Invero, in materia di sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., sulla misura dell’indennità di  cui  all’art.  32,  comma  5,  della  l.  n.  183  del  2010,  in  caso  di
illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro, la determinazione,  operata  dal  giudice  di  merito,  tra  il  minimo  ed  il massimo  è  censurabile  –  al  pari  dell’analoga  valutazione  per  la determinazione dell’indennità di cui all’art. 8 della l. n. 604 del 1966 – solo in caso di motivazione assente, illogica o contraddittoria (Cass. 25484/2019).
Nella fattispecie, la Corte territoriale ha dato adeguata motivazione sulla quantificazione della indennità risarcitoria, fissata nella  misura  di quattro  mensilità  dell’ultima  retribuzione  globale  di fatto percepita, privilegiando i parametri delle dimens ioni dell’azienda e del numero dei dipendenti, per cui non vi è spazio per un sindacato di legittimità su tale statuizione.
Alla  stregua  di  quanto  esposto,  il  terzo  motivo  deve essere accolto, rigettati gli altri.
La gravata sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata, essendo necessari accertamenti di fatto, alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, che dovrà esaminare la domanda restitutoria di RAGIONE_SOCIALE, il cui scrutino  è  stato  omesso,  e  provvederà,  altresì,  alle  determinazioni sulle spese anche del presente giudizio.
PQM
La  Corte  accoglie  il  terzo  motivo,  rigettati  gli  altri;  cassa  la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 dicembre 2024