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Contratto a termine agricoltura: i limiti stagionali

Un ente pubblico agricolo ha reiterato l’assunzione di un lavoratore con contratti a tempo determinato per mansioni di manutenzione. La Cassazione ha stabilito che un contratto a termine agricoltura può superare i limiti di durata solo per attività strettamente stagionali. La manutenzione di macchinari, essendo un’esigenza annuale, non rientra in questa categoria, rendendo illegittima la successione di contratti. L’onere di dimostrare la stagionalità spetta al datore di lavoro. La Corte ha rinviato il caso alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contratto a Termine in Agricoltura: Quando la Stagionalità Non Basta

L’utilizzo del contratto a termine agricoltura è spesso associato alla natura ciclica e stagionale del settore. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha tracciato una linea netta, chiarendo che non tutte le attività agricole giustificano una deroga ai limiti di durata dei contratti a tempo determinato. La sentenza in esame stabilisce principi cruciali sulla nozione di “lavoro stagionale” e sulle responsabilità del datore di lavoro, specialmente se si tratta di un ente pubblico.

Il Caso: La Reiterazione Abusiva di Contratti a Termine

Un lavoratore, impiegato dal 1999 come operatore e manutentore di macchine agricole presso un Ente pubblico di Sviluppo Agricolo, ha agito in giudizio per denunciare l’illegittimità della successione di contratti a termine. Sosteneva che l’abuso di tale strumento contrattuale avesse mascherato un rapporto di lavoro di fatto a tempo indeterminato, chiedendo il risarcimento del danno.

Il Tribunale di primo grado aveva dato ragione al lavoratore. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, accogliendo il ricorso dell’Ente. Secondo i giudici di secondo grado, le peculiarità del settore agricolo consentirebbero deroghe alla disciplina generale sui contratti a termine, rendendo legittima la successione dei contratti anche per attività non strettamente legate ai cicli stagionali di raccolta.

La Decisione della Cassazione sul contratto a termine agricoltura

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha accolto i motivi principali del ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. I giudici supremi hanno basato la loro decisione su alcuni pilastri giuridici fondamentali.

La Natura Giuridica dell’Ente Datore di Lavoro

In primo luogo, la Corte ha sottolineato che l’Ente in questione è un ente pubblico non economico. Come tale, non può essere qualificato come “imprenditore agricolo” ai sensi dell’art. 2135 del codice civile. Questa distinzione è cruciale, perché esclude l’applicabilità di alcune norme specifiche (come l’art. 10 del D.Lgs. 368/2001) pensate per le imprese agricole private. L’Ente è invece soggetto alla disciplina generale sul lavoro pubblico.

La Nozione Stretta di Lavoro Stagionale

Il cuore della decisione riguarda la definizione di “attività stagionale”. La Cassazione ha affermato che il concetto deve essere interpretato in senso rigoroso. Sono stagionali solo quelle attività direttamente collegate a esigenze temporanee e specifiche di una determinata stagione (es. raccolta, semina).

Attività come la manutenzione e la riparazione di macchinari e impianti, sebbene funzionali alla produzione agricola, rappresentano necessità operative che si protraggono per tutto l’anno. Sono preparatorie alla “stagione piena” e servono a garantire l’efficienza aziendale. Di conseguenza, i lavoratori stabilmente adibiti a tali mansioni non possono essere considerati stagionali e devono essere assunti con contratti a tempo indeterminato.

L’Onere della Prova nel contratto a termine agricoltura

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: spetta al datore di lavoro dimostrare la sussistenza delle ragioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto. In questo caso, l’Ente avrebbe dovuto provare due elementi:

1. Che le mansioni svolte dal lavoratore fossero esclusivamente di natura stagionale.
2. Che tali mansioni rientrassero nell’elenco tassativo previsto dal d.P.R. 1525/1963 o dalla contrattazione collettiva di settore.

La Corte d’Appello aveva erroneamente sollevato l’Ente da questo onere, basandosi su una generica “ciclicità” del settore agricolo che, secondo la Cassazione, non è sufficiente a giustificare deroghe al sistema di tutele del lavoro a termine.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione richiamando una nutrita serie di precedenti giurisprudenziali. Ha chiarito che la deroga al limite massimo di durata dei contratti a termine (36 mesi) è applicabile in agricoltura solo quando i contratti riguardino attività genuinamente stagionali. Non è sufficiente che l’attività produttiva nel suo complesso abbia carattere stagionale; è necessario che le specifiche prestazioni richieste al lavoratore siano limitate nel tempo. Lavori come la custodia, la riparazione e la manutenzione degli impianti, essendo necessari durante tutto l’anno, non possono essere considerati stagionali. Pertanto, i lavoratori addetti a tali mansioni in modo stabile devono essere assunti a tempo indeterminato. I giudici hanno specificato che la Corte territoriale ha errato nel non accertare in concreto la natura delle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore e la loro riconducibilità agli elenchi normativi o contrattuali delle attività stagionali, scaricando di fatto l’onere probatorio in modo non corretto.

Le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza stabilisce che la semplice appartenenza al settore agricolo non autorizza un uso indiscriminato del contratto a termine. La stagionalità deve essere provata in concreto dal datore di lavoro e deve riferirsi a mansioni aggiuntive e temporanee, non a quelle che garantiscono l’operatività ordinaria dell’azienda durante l’anno. Questa decisione rafforza le tutele per i lavoratori precari del settore e impone ai datori di lavoro, inclusi gli enti pubblici, un’applicazione più rigorosa e trasparente della normativa sui contratti a tempo determinato.

Un ente pubblico agricolo può essere considerato un ‘imprenditore agricolo’ ai fini delle norme sul contratto a termine?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che un ente pubblico non economico, come l’Ente di Sviluppo Agricolo, non rientra nella definizione di imprenditore agricolo dell’art. 2135 c.c. e, pertanto, è soggetto alla disciplina generale del lavoro pubblico e non alle specifiche deroghe previste per le imprese agricole private.

Quali attività possono essere considerate ‘stagionali’ per giustificare la deroga ai limiti di durata dei contratti a termine in agricoltura?
Solo le attività strettamente legate a un’esigenza temporanea e limitata a una stagione, aggiuntive rispetto a quelle normalmente svolte. Attività come la manutenzione e riparazione di macchinari, che si protraggono per tutto l’anno in preparazione della stagione produttiva, non sono considerate stagionali e richiedono un contratto a tempo indeterminato.

In una controversia su un contratto a termine in agricoltura, chi deve provare la natura stagionale delle mansioni?
L’onere della prova grava interamente sul datore di lavoro. Egli deve dimostrare che le mansioni svolte dal lavoratore erano esclusivamente stagionali e che rientravano negli elenchi tassativi previsti dalla legge (d.P.R. 1525/1963) o dalla contrattazione collettiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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