Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14635 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14635 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 9177-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3402/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/10/2021 R.G.N. 2180/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
RNUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/02/2024
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Roma respingeva l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale di Latina n. 557/2018, la quale, in parziale accoglimento del ricorso dell’attrice COGNOME NOME, aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra le parti in data 18.10.2010 e aveva condannato la società resistente al ripristino del rapporto con le mansioni e l’inquadramento propri della ricorrente ed al pagamento in favore della lavoratrice di dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi sulla somma annualmente rivalutata dalla maturazione al soddisfo.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, nel respingere il primo motivo d’appello della RAGIONE_SOCIALE, rilevava che il primo giudice aveva espressamente accertato la specificità della causale giustificativa del termine indicata nel contratto suddetto, e nondimeno aveva accolto la domanda per avere ritenuto non assolto dalla datrice di lavoro l’onere probatorio relativo all’esistenza in fatto delle ragioni (pur specificamente indicate) poste a fondamento della assunzione; valutazione, questa, che la Corte stessa condivideva.
2.1. Inoltre, la Corte giudicava inammissibile il secondo motivo d’appello nella parte relativa alla quantificazione dell’indennità risarcitoria ex art. 32, comma 5, L. n. 183/2010.
Avverso tale decisione, RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
La lavoratrice intimata ha resistito con controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un primo motivo, la ricorrente denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 1 e 2, d.lgs. 368 del 2001, dell’art. 116 e 117 cod. proc. civ. dell’art. 1362 cod. civ., nonché dell’art. 360, n. 5), cod. proc. civ.’. Lamenta, anzitutto, che la Corte d’appello, in violazione degli artt. 116 e 117 c.p.c., ha del tutto travisato le risultanze probatorie in atti a supporto dell’esistenza delle ‘causali’ indicate nel contratto, con conseguente violazione degli artt. 1 e 2 del d.lgs. 368 del 2001, nonché il principio dell’intenzione dei contraenti di cui all’art. 1362 c.c. Deduce, inoltre, che la stessa Corte, in violazione degli artt. 116, 117, e 360 n. 5) c.p.c., non ha preso minimamente in considerazione la pacifica circostanza per la quale all’interno del punto vendita de quo , nel periodo in cui prestava la sua attività lavorativa la signora COGNOME, fossero -pacificamente -avvenute le ‘programmate vendite promozionali’.
Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma quinto della Legge n. 183 del 2010, in relazione ai criteri di quantificazione del danno di cui all’art. 8 della legge n. 604 del 1966’. Censura la motivazione della Cor te di secondo grado che ha ritenuto congrua l’indennità risarcitoria pari a 10 mensilità in violazione dell’art. 32, comma quinto, della legge n. 183 del 2010, con riferimento ai criteri di quantificazione di cui all’art . 8 della Legge n. 604 del 1966.
Il primo motivo è nel suo complesso infondato, presentando peraltro profili d’inammissibilità.
In particolare, la censura per la parte in cui si riferisce al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., s’imbatte nella preclusione di cui al combinato disposto di cui ai commi
quarto e quinti dell’art. 348 ter c.p.c., in caso di c.d. ‘doppia conforme’ che ricorre nella specie.
Il motivo è privo di fondamento per la restante parte in cui si fa valere la violazione di plurime norme di diritto (sostanziale e processuale), la cui deduzione in questa sede sarebbe da ricondurre all’ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, n. 3) c.p.c.
5.1. La ricorrente, invero, non deduce sotto quale profilo la Corte distrettuale avrebbe violato l’art. 117 c.p.c., norma del codice di rito che attiene all’ ‘Interrogatorio non formale delle parti’.
La censura, inoltre, in chiave di dedotto travisamento delle risultanze probatorie, in realtà, critica l’apprezzamento probatorio operato dalla Corte territoriale (cfr. in particolare pagg. 15-16 del ricorso), il che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità, trattandosi di apprezzamento riservato ai giudici di merito.
Per la parte, poi, in cui la censura deduce la violazione dell’art. 1362 c.c., sotto il profilo del canone ermeneutico della comune intenzione delle parti (v. in particolare pag. 18 del ricorso), essa non è pertinente rispetto alla ratio decidendi della Corte di merito.
Invero, quest’ultima, come già accennato in narrativa, al pari del primo giudice (cfr. pag. 2 dell’impugnata sentenza), non ha posto in discussione ‘la specificità della causale giustificativa’ del termine, indicata nel contratto inter partes; ma ha confermato, condividendo il relativo accertamento del Tribunale, che la convenuta non avesse assolto al proprio onere probatorio circa l’esistenza in fatto delle ragioni poste a fondamento
dell’assunzione a termine, pur specificamente indicate nel contratto; sicché non si pone alcun p roblema d’interpretazione della volontà dei contraenti.
Pertanto, anche tutte le considerazioni svolte dalla ricorrente in ordine alle previsioni di cui agli artt. 1 e 2 d.lgs. n. 368/2001 (cfr. pagg. 19-21 del ricorso) non si confrontano con tali ragioni sul punto della decisione di secondo grado, in quanto fanno riferimento a principi pertinenti piuttosto al diverso tema della specificità delle ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine nel relativo contratto.
La Corte d’appello, infatti, non ha affermato che la causale giustificativa indicata in contratto non fosse rispondente all’indicazione normativa applicabile oppure che non fosse specifica, ma, come il Tribunale, ha concluso che la società non avesse dimos trato l’esistenza di punte di più intensa attività o di picchi produttivi, essendo l’attività svolta quella normalmente praticata (cfr. pag. 3 della sua sentenza); conclusione, questa, che non è ammissibilmente aggredita nella presente sede.
Inammissibile è il secondo motivo.
Contrariamente, infatti, a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte d’appello non si è espressa nel merito della congruità dell’indennità risarcitoria ex art. 32, comma 5, L. n. 183/2010.
A riguardo, piuttosto, la stessa Corte ha considerato che il motivo d’appello dell’attuale controricorrente in parte qua fosse del tutto ‘generico, perché l’appellante si è limitata a fare riferimento alla omessa valutazione dei criteri di quantificazione di cui all’art. 8 della legge n. 604 del 1996. Viceversa il giudice, nella determinazione dell’indennità, ha fatto rifer imento al
numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro e al comportamento e alle condizioni delle parti. In ordine a tale motivazione non è stata formulata una specifica censura, con la conseguenza che la stessa è inammissibile’ (così a pag. 3 della sua sentenza).
Pertanto, la ricorrente in questa sede di legittimità avrebbe dovuto censurare tale statuizione processuale circa la ritenuta inammissibilità di tale motivo d’appello per difetto di specificità ex art. 434 c.p.c., con l’occorrente mezzo di ricorso, e non formulare un motivo ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c. per la violazione della norma di diritto sostanziale di cui all’art. 32, comma 5, L. n. 183/2010.
Nulla dev’essere disposto quanto alle spese di questo giudizio di legittimità.
12.1. Risulta, infatti, che il controricorso è stato notificato a mezzo posta in data 26.5.2022 (come, del resto, riconosce la difesa della lavoratrice nella sua memoria); laddove, poiché il ricorso per cassazione è stato notificato il 4.4.2022 (a mezzo PEC), il termine per il relativo deposito scadeva il 26.4.2022 (tenendosi conto che il 24.4.2022 cadeva di domenica e che anche il successivo 25.4.2022 era giorno festivo), sicché il termine di 20 giorni da tale scadenza per notificare il controricorso, gius ta l’art. 371, comma primo, c.p.c., andava a scadere il 16.5.2022. Anche la richiesta di tale notificazione reca la data del 24.5.2022, successiva, quindi, alla scadenza di detto termine.
Nondimeno, la ricorrente è tenuta al pagamento del c.d. raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 7.2.2024.