Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23190 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23190 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16581-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 998/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/05/2020 R.G.N. 367/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Fatti di causa
Con ricorso presentato al Tribunale di Frosinone NOME COGNOME esponeva di avere lavorato, dall ‘ 1.2.2005, presso
Oggetto
Qualificazione
rapporto
lavoro
R.G.N. 16581/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 15/04/2025
CC
l’Aeroporto di Frosinone S.pRAGIONE_SOCIALEaRAGIONE_SOCIALE in virtù di una scrittura privata, in pari data, di ‘conferimento incarico professionale’, con un compenso pari a 10.000 euro annui, oltre al rimborso spese, che era stato poi aumentato, con delibera del C.d.A. della società ad euro 18.000,00 annui, oltre ad un gettone di presenza di euro 200,00; che oltre alle funzioni assegnate di Direttore Generale (aventi ad oggetto l’attività ed il controllo delle iniziative tecnico-amministrative per la realizzazione delle scelte programmatiche della Assemblea e del C.d.A.; il coordinamento delle attività gestionali per l’attuazione delle politiche aziendali ed il rapporto dell’attività dell’Assemblea e del C.d.A. cui doveva partecipare) era stato incaricato anche di svolgere ulteriori attività come Responsabile Unico del Procedimento relativamente a studi di fattibilità e progettazione; che dal luglio 2010 al novembre 2010 gli era stato impedito l’accesso ai locali della società; che da dicembre 2010 al marzo 2012, in occasione del cambio di presidenza, aveva ripreso regolarmente i propri compiti; che in data 5 aprile 2012 la società era receduta in tronco dalla convenzione per esigenze di contenimento dei costi e per i nuovi obiettivi elle mutate strategie aziendali. Tanto premesso, NOME COGNOME chiedeva, sul presupposto che vi era stato un rapporto di lavoro subordinato, con qualifica dirigenziale, la condanna della società resistente alla corresponsione degli emolumenti retributivi non erogati, quantificati in euro 347.850,53, comprensivi di differenze retributive, indennità di mancato preavviso e TFR; chiedeva, altresì, dichiararsi la illegittimità del licenziamento del 5.4.2012 per inesistenza della giustificazione addotta, con ogni conseguenza risarcitoria, nonché deduceva di avere subito un demansionamento (dal luglio 2010 al novembre
2010) fonte di risarcimento dei danni all’immagine e professionale patiti.
Il Tribunale di Frosinone, nel contraddittorio tra le parti, rigettava le domande.
La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 998/2020, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, che confermava nel resto, dichiarava, invece, che dal febbraio 2005 al 5 aprile 2012 era intercorso tra le parti un rapporto di lavoro subordinato, con qualifica di dirigente, e, per l’effetto, condannava la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione al pagamento della complessiva somma di euro 257.301,68 per differenze retributive, oltre accessori e spese.
I giudici di seconde cure, in sintesi, sulla premessa che l’originario ricorso introduttivo non era nullo e che vi era la competenza funzionale a decidere anche rispetto alle domande di pagamento dei compensi relativi alle mansioni di Responsabile Unico del Procedimento, rilevavano che: a) era infondata l’eccezione di prescrizione presuntiva dei crediti; b) avendo riguardo allo svolgimento effettivo del rapporto, l’attività lavorativa svolta dal COGNOME andava qualificata come quella di un Direttore Generale con contratto di collaborazione coordinata e continuativa; c) i compiti di Responsabile Unico del Procedimento erano compresi nelle mansioni di Direttore Generale; d) stante la natura di ente privatistico di Aeroporti di Frosinone S.p.a., erano applicabili le disposizioni di cui all’art. 61 e ss. D.lgs. n. 276/2003 e non incideva l’iscrizione nell’albo professionale del COGNOME, non trattandosi di attività riservate esclusivamente alla professione di ingegnere; e) mancando un regolare progetto, il rapporto andava convertito ope legis in uno di natura
subordinata; f) sussistevano i presupposti per il riconoscimento della chiesta qualifica dirigenziale; g) la determinazione dei compensi andava effettuata avendo riguardo al CCNL dei Dirigenti delle imprese dei servizi di pubblica utilità; h) l’intimato li cenziamento era giustificato e non ingiurioso; i) infondata era la domanda di risarcimento dei danni da dequalificazione.
Avverso la sentenza di secondo grado RAGIONE_SOCIALE in liquidazione proponeva ricorso per cassazione affidato a tredici motivi cui resisteva con controricorso NOME COGNOME.
Le parti depositavano memoria.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cpc.
Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cpc. Con entrambi i motivi si eccepisce la nullità della sentenza, per vizio di extra-petizione, per avere la Corte territoriale rilevato il profilo sanzionatorio, al rapporto di cui è causa, dell’art. 69 co. 1 D.lgs. n. 276/2003, pur in assenza di una domanda specifica sul punto.
Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 416 n. 3, n. 4 e n. 5 cpc, degli artt. 420 e 421 cpc, in relazione agli artt. 61 e ss. D.lgs. n. 276/2003, per avere erroneamente la Corte territoriale deciso su una domanda, non formulata dall’originario ricorrente, riguardante la problematica della
applicabilità, alla fattispecie in esame, degli artt. 61 e ss. D.lgs. n. 276/2003.
Con il quarto motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 414 n. 3 e n. 4 cpc, per avere erroneamente la Corte di appello respinto le eccezioni preliminari di nullità del ricorso introduttivo per la violazione degli oneri di tempestiva deduzione e allegazione di tutti gli elementi necessari per la decisione di ogni domanda formulata.
Con il quinto motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 414 n. 5 cpc, per avere la Corte territoriale erroneamente respinto l’eccezione sulla violazione dell’onere di tempestiva allegazione e produzione di documenti, da parte del Minotti, e del CCNL poi applicato.
Con il sesto motivo si obietta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2222 cod. civ., dell’art. 2094 cod. civ. e dell’art. 409 n. 3 cpc, anche in relazione agli artt. 1362 e 1363 cod. civ., nonché la violazione e falsa applicazione degli art. 115 e 116 cpc e dell’art. 416 co. 3 cpc, per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale che si verteva in una ipotesi di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa quando, invece, quello intercorso tra le parti era un contratto di opera intellettuale.
Con il settimo motivo si obietta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e ss. del D.lgs. n. 276/2003, in relazione agli artt. 1362 e 1363 cod. civ. per avere la Corte di appello, conseguentemente alla ritenuta natura del rapporto di co.co.co, erroneamente applicato la disciplina del contratto a progetto.
Con l’ottavo motivo si obietta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 69 co. 1 D.lgs. n. 276/2003, in relazione agli artt. 1362 e 1363 cod. civ., per avere la Corte distrettuale rilevato la mancanza di un valido progetto nonostante esso fosse contenuto nel contratto dell’1.2.2005 che richiamava a delibera del C.d.A. del 21.1.2005.
Con il nono motivo, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 437 co. 2 cpc e dell’art. 111 Cost. (sul giusto processo), per non avere la Corte territoriale ammesso un documento decisivo per la qualificazione del rapporto di lavoro, costituito dal verbale di interrogatorio, reso dal COGNOME al Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Frosinone, ove veniva specificato che la prestazione lavorativa era stata svolta quale libero professionista.
Con il decimo motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, della violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e ss. D.lgs. n. 276/2003, in relazione al D.lgs. n. 165/2002, degli art. 35 e 36 e all’art. 97 Cost., per non avere la Corte territoriale ritenuto applicabile, ad essa ricorrente, il regime di reclutamento del personale applicabile alla PA.
Con l’undicesimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2095 cod. civ.; la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del CCNL per i Dirigenti dei servizi di pubblica utilità (sulla qualifica di dirigente) in riferimento agli artt. 1362 e 1363 e ss. cod. civ. per avere la Corte di appello erroneamente inquadrato il COGNOME nella categoria appunto dei dirigenti.
Con il dodicesimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 414 n. 5 cpc e dell’art. 416 co. 3 cpc, per non avere rilevato la Corte territoriale che i conteggi dell’originario ricorrente erano stati contestati da essa società.
Con il tredicesimo motivo si addebita, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla circostanza che i conteggi erano stati specificamente contestati.
Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica, devono essere esaminati preliminarmente il quarto ed il quinto motivo.
Essi sono infondati.
Nel rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, non è sufficiente la mancata indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è necessario che ne sia impossibile l’individuazione attraverso l’esame complessivo dell’atto ed i riferimenti ai documenti contenuti nella domanda introduttiva (Cass. n. 7199/2018).
Dovendosi contemperare, poi, il principio dispositivo con quello di ricerca della verità, il giudice può ammettere il deposito di atti non prodotti tempestivamente – qualora li ritenga indispensabili ai fini della decisione – anche in grado d’appello, ricorrendo ai poteri officiosi di cui all’art. 437 c.p.c.
Nel rito del lavoro, inoltre, l’acquisizione di conteggi di parte ad opera del giudice non integra violazione dell’art. 421 c.p.c., perché attraverso detta acquisizione il giudice non dà
ingresso d’ufficio a nuovi mezzi di prova, ma invita la parte a compiere un’attività contabile che ben potrebbe essere svolta dal medesimo o affidata ad un consulente tecnico d’ufficio.
La eventuale mancata indicazione del contratto collettivo applicabile nel ricorso introduttivo di una causa di lavoro, con il quale, sulla base della asserita prestazione di lavoro subordinato, vengano chiesti conguagli retributivi, non incide sull’oggetto della domanda e non comporta quindi la nullità del ricorso (per tutte Cass. n. 4889/2002).
La Corte territoriale si è attenuta ai su indicati principi, evidenziando che il ricorso introduttivo allegava compiutamente i fatti su cui erano fondate le pretese ed anche i conteggi erano stati prodotti, seppure non incorporati nel ricorso, unitamente a questo al momento della costituzione in giudizio; che le allegazioni erano chiare tanto è che la società si era compiutamente difesa su tutte le allegazioni, criticando anche i conteggi stessi; che il primo giudice aveva ritenuto chiara la domanda non avendo concesso alcun termine per l’integrazione del ricorso introduttivo; che la mancata corretta indicazione del CCNL applicabile, da parte del lavoratore, non determinava la nullità del ricorso in un contesto processuale in cui il CCNL, poi ritenuto applicabile, era proprio quello indicato dalla società (CCNL per i dirigenti delle imprese dei servizi di pubblica utilità).
Le asserite violazioni di legge, pertanto, non sussistono.
Venendo ai primi tre motivi, da scrutinare insieme per la loro interferenza, va rilevato che essi non sono meritevoli di accoglimento.
Il potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del “petitum” e della “causa petendi”, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o “causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. n. 18868/2015; Cass. n. 9002/2018; Cass. n. 644/2025).
In materia di procedimento civile, poi, l’applicazione del principio “iura novit curia”, di cui all’art. 113, comma primo, cod. proc. civ., fa salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti. Tale regola deve essere, peraltro, coordinata con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., che viene violato quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato; resta, in particolare, preclusa al giudice la decisione basata non già sulla diversa qualificazione giuridica
del rapporto, ma su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa (per tutte, Cass. n. 12943/2012).
La gravata sentenza è in linea con tali principi perché i giudici di seconde cure, attraverso un motivato esame degli elementi di fatto dedotti in ricorso (pag. 14 ultimo capoverso), hanno correttamente interpretato il ricorso introduttivo alla luce dei criteri ermeneutici, rilevando che COGNOME aveva dedotto e provato l’esistenza di un determinato rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, rilevando la mancanza del progetto (necessaria ratione temporis per tale tipologia di contratti) e, quindi, applicando, in tema di conseguenze la relativa normativa. Del resto, a quanto viene riportato, la stessa società non aveva contestato seriamente la sussistenza dei presupposti per l’inquadramento del rapporto di lavoro, eccependo solo la sua inapplicabilità in ragione della natura pubblica della società e per l’essere il COGNOME un ingegnere iscritto all’albo professionale di Frosinone.
Pertanto, non vi è stata alcuna ultrapetizione, ma corretta applicazione di una norma imperativa a fronte dei fatti allegati e successivamente accertati nel merito.
Il sesto motivo è inammissibile perché con esso si contesta una valutazione in fatto sulla natura del rapporto, riservata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata, come nella specie.
E’ opportuno ribadire che, in caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro e con una continuità regolare, anche negli orari, ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato oppure
autonomo, sia pure con collaborazione coordinata e continuativa, il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto -con accertamento di fatto incensurabile in cassazione, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato – accordando prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto (Cass. n. 5886/2012).
Nel caso de quo la Corte territoriale ha evidenziato tutta una serie di elementi, argomentando in modo esaustivo, per rilevare la sussistenza del carattere continuativo e coordinato della prestazione professionale resa dal COGNOME in favore della società escludendo, di c ontro, l’esistenza di un contratto di opera intellettuale.
Anche il settimo e l’ottavo motivo, da scrutinare congiuntamente, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
In tema di contratto di lavoro a progetto, il regime sanzionatorio previsto dall’art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2003, ratione temporis applicabile, pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto “ope legis”, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2
disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti (Cass. n. 27543/2020).
Nel caso concreto, la Corte territoriale, da un lato, ha ritenuto, come detto, che sussistesse un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, basandosi su una pluralità di elementi fattuali (durata del rapporto, retribuzione mensile, presenza costante in sede, utilizzo di strumenti aziendali, direzione del personale, riunioni con i consulenti, partecipazione al C.d.A., ecc.), tutti indicativi della stretta integrazione tra l’attività svolta da COGNOME e quella della società; dall’altro, con un accertamento di merito, non sindacabile in sede di legittimità, ha rilevato l’assenza di un progetto specifico nel contratto, mancando qualsiasi indicazione concreta di attività, programma o risultato, come richiesto dalla normativa sul lavoro a progetto.
Il nono motivo è infondato.
Le dichiarazioni rese dall’imputato nel dibattimento penale sono soggette al libero apprezzamento del giudice civile e non possono integrare una confessione giudiziale nel giudizio civile, atteso che questa ricorre, ai sensi dell’art. 228 c.p.c., soltanto nei casi in cui sia spontanea o provocata in sede di interrogatorio formale, quindi all’interno del giudizio civile medesimo (Cass. n. 20255/2019).
La Corte territoriale, oltre ad avere rilevato la tardività della produzione documentale e la mancata spiegazione della
sua conoscenza postuma, ha chiarito che il documento non era indispensabile ai fini del decidere, in quanto relativo a fatti precedenti l’incarico di Direttore Generale e a una vicenda (peculato) archiviata per assenza di responsabilità diretta di COGNOME
Si verte, pertanto, in una ipotesi in cui il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto (Cass. n. 29730/2020).
Il decimo motivo è anche esso infondato.
Premesso che, nel caso in esame, il rapporto è sorto prima dell’entrata in vigore dell’art. 18 del D. l. 112/2008, che ha introdotto limiti assunzionali anche per le società pubbliche, rendendo quindi inapplicabile tale disciplina (cfr. Cass. n. 20782/2019 -‘In tema di società a partecipazione pubblica, il reclutamento di personale effettuato nel periodo antecedente all’entrata in vigore dell’art. 18 del D. l. n. 112 del 2008 che ha esteso alle predette società, nella ricorrenza di determinate condizioni, i divieti o le limitazioni alle assunzioni previsti per le P.A. – è regolato dal regime giuridico pr oprio dello strumento privatistico adoperato’ ),
deve considerarsi che la ricorrente non si è confrontata con la puntuale motivazione della sentenza impugnata che ha ampiamente motivato in ordine alla inapplicabilità di tale norma avendo ravvisato, in fatto, la natura privatistica della società.
L’undicesimo motivo è inammissibile perché la doglianza riguardante la qualifica dirigenziale, in esso contenuta, concerne un accertamento di fatto con il quale sono state evidenziate le ampie funzioni direttive e l’autonomia operativa di COGNOME, quale alter ego dell’imprenditore, ai fini del suo inquadramento quale dirigente.
La individuazione del CCNL applicabile alla fattispecie è stata poi effettuata correttamente dalla Corte distrettuale, anche con riferimento all’art. 36 Cost. e in considerazione del fatto che nel contratto non era contenuto alcun riferimento alla contrattazione collettiva, utilizzando, pertanto, a fini parametrici, il trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe e, nell’ambito dei propri poteri ex art. 2099 cod. civ., comma 2 c.c., potendo fare riferimento ad indicatori economici e statistici secondo quanto suggerito dalla Direttiva 2022/2041/UE.
Il dodicesimo ed il tredicesimo motivo, valutabili insieme, sono, infine, anche essi inammissibili perché, in primo luogo, non si confrontano con la statuizione della gravata sentenza secondo cui ciò che non era stato contestato erano gli ulteriori conteggi depositati dal ricorrente sulla scorta della contrattazione collettiva ritenuta applicabile al caso de quo e non quelli originari: non è dato quindi sapere (né può svolgere questa Corte tale accertamento di fatto) se le originarie critiche fossero ancora pertinenti; in secondo
luogo, perché si censura, in sostanza, accertamenti di merito svolti dalla Corte territoriale sulle somme dovute e sul dare e avere tra le parti, adeguatamente motivati e, pertanto, insindacabili in sede di legittimità.
Va da ultimo precisato (con specifico riguardo al tredicesimo motivo) che, in tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame di fatti rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme del processo (nella specie, applicabilità del principio di ‘non contestazione’) non è riconducibile al vizio ex art. 360, n. 5, c.p.c. quanto, piuttosto, a quello ex art. 360, n. 4, c.p.c., ovvero a quelli di cui ai precedenti numeri 1 e 2, ove si tratti -in quest’ultimo caso -di fatti concernenti l’applicazione delle disposiz ioni in tema di giurisdizione o competenza. L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del D.l. n. 83 del 2012 (conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012), infatti, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia: ciò non è ravvisabile nella ritenuta, da parte della Corte di appello, mancata contestazione dei conteggi da parte della società.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore del Difensore del controricorrente dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore del controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 aprile 2025