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Contratto a progetto senza progetto: sì conversione

La Corte di Cassazione conferma la conversione di un contratto a progetto in un rapporto di lavoro subordinato. Un professionista, assunto come Direttore Generale da una società aeroportuale, aveva in realtà svolto mansioni da dirigente dipendente. La Corte d’Appello aveva già riqualificato il rapporto a causa della mancanza di uno specifico progetto, come richiesto dalla legge, condannando la società al pagamento di ingenti differenze retributive. La Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando che l’assenza del progetto determina la trasformazione automatica del rapporto in lavoro subordinato a tempo indeterminato.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contratto a progetto senza progetto: la Cassazione conferma la conversione

La stipula di un contratto a progetto privo di una reale e specifica progettualità comporta la sua automatica conversione in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Questo è il principio chiave ribadito dalla Corte di Cassazione in una recente ordinanza, che ha messo fine a una lunga controversia tra un professionista e una società aeroportuale.

I Fatti del Caso: Da Collaboratore a Dipendente Dirigente

La vicenda ha origine nel 2005, quando un professionista ha iniziato a collaborare con una società di gestione aeroportuale in virtù di un ‘conferimento di incarico professionale’ per la posizione di Direttore Generale. Negli anni, l’incarico si è arricchito di ulteriori responsabilità, ma nel 2012 la società ha interrotto bruscamente il rapporto.

Il professionista ha quindi agito in giudizio, sostenendo che, al di là del nome dato al contratto, il rapporto di lavoro effettivo fosse di natura subordinata, con qualifica dirigenziale. Ha richiesto il pagamento di differenze retributive, indennità di mancato preavviso, TFR e un risarcimento per licenziamento illegittimo, quantificando il tutto in oltre 340.000 euro.

Il Tribunale di primo grado ha respinto le sue richieste, ma la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, riconoscendo la natura subordinata del rapporto e condannando la società al pagamento di circa 257.000 euro.

La Decisione della Corte d’Appello e il Contratto a progetto

I giudici di secondo grado hanno qualificato il rapporto come una collaborazione coordinata e continuativa. Tuttavia, hanno rilevato un vizio fondamentale: la mancanza di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, elemento essenziale richiesto dalla normativa all’epoca vigente (D.Lgs. 276/2003, la cosiddetta ‘Legge Biagi’).

Secondo la legge, l’assenza di questo elemento cardine nel contratto a progetto fa scattare una sanzione: la conversione ope legis (cioè per effetto diretto della legge) del rapporto in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla sua data di costituzione. Su questa base, la Corte d’Appello ha riconosciuto al lavoratore lo status di dirigente e le relative spettanze economiche.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La società ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, presentando ben tredici motivi di ricorso. Le censure spaziavano da presunti vizi procedurali (come la nullità del ricorso introduttivo e il vizio di extra-petizione, per aver la Corte deciso su una base giuridica non esplicitamente richiesta) a questioni di merito sulla qualificazione del rapporto e sull’applicabilità del regime sanzionatorio.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha esaminato e rigettato tutti i motivi di ricorso, ritenendoli infondati o inammissibili. La decisione si fonda su alcuni pilastri argomentativi di grande interesse.

La Conversione del Contratto a progetto

Il punto centrale della decisione è la conferma del meccanismo sanzionatorio previsto dall’art. 69 del D.Lgs. 276/2003. La Corte ha ribadito che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, si realizza una conversione automatica in rapporto di lavoro subordinato. Questa conversione è una conseguenza diretta e inderogabile della legge, che prescinde da un’indagine sulla reale volontà delle parti o sulla natura effettivamente autonoma della prestazione. La mancanza del progetto è, di per sé, sufficiente a innescare la tutela massima per il lavoratore.

Questioni Procedurali e Natura del Rapporto

La Cassazione ha respinto le eccezioni procedurali della società. In particolare, ha chiarito che non sussiste il vizio di extra-petizione quando il giudice, partendo dai fatti allegati dalle parti, applica la corretta disciplina giuridica, anche se diversa da quella invocata. Il giudice ha il dovere di ‘dare il giusto nome’ ai fatti (iura novit curia), e applicare la sanzione della conversione rientra pienamente in questo potere-dovere.

Inoltre, la Corte ha giudicato inammissibili le censure che miravano a una rivalutazione nel merito della natura del rapporto, ricordando che tale accertamento è riservato ai giudici di primo e secondo grado e non può essere riesaminato in sede di legittimità se la motivazione è adeguata, come nel caso di specie.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale in materia di collaborazioni autonome. Essa sottolinea l’importanza cruciale della corretta formalizzazione dei contratti di lavoro, in particolare per quelle tipologie contrattuali che la legge circonda di specifici requisiti di validità. La mancanza di un elemento essenziale, come il progetto nel contratto a progetto, non è una mera irregolarità, ma un vizio genetico che porta alla conseguenza più drastica: la riqualificazione del rapporto nella forma di tutela più forte, quella del lavoro subordinato a tempo indeterminato. Per i datori di lavoro, questa sentenza rappresenta un monito a non utilizzare forme contrattuali flessibili per mascherare rapporti che, nella sostanza, presentano i caratteri della subordinazione, pena il rischio di pesanti conseguenze economiche.

Quando un contratto di collaborazione a progetto si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato?
Secondo la normativa applicabile al caso (D.Lgs. 276/2003), la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato avviene automaticamente (ope legis) quando il contratto è stipulato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso. L’assenza di questo elemento essenziale è sufficiente a far scattare la sanzione.

Il giudice può qualificare un rapporto di lavoro in modo diverso da quanto richiesto inizialmente dal lavoratore?
Sì, il giudice ha il potere-dovere di inquadrare correttamente i fatti e gli atti della causa nella giusta disciplina giuridica. Non commette un vizio di extra-petizione se, sulla base dei fatti provati, assegna al rapporto una qualificazione giuridica diversa da quella inizialmente prospettata, applicandone le relative conseguenze (come la conversione del rapporto), purché non introduca nuovi elementi di fatto non allegati dalle parti.

La mancata o errata indicazione del Contratto Collettivo (CCNL) nel ricorso iniziale rende la domanda nulla?
No. La Corte ha stabilito che la mancata indicazione del CCNL applicabile in un ricorso di lavoro non ne comporta la nullità, specialmente se i fatti su cui si basano le pretese retributive sono esposti in modo chiaro e completo, permettendo alla controparte di difendersi adeguatamente. Il giudice può individuare il CCNL corretto nel corso del giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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