Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32647 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32647 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 25769-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME
– controricorrenti –
Oggetto
R.G.N. 25769/20
19
COGNOME
Rep.
Ud. 26/09/2024
CC
avverso la sentenza n. 276/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 07/03/2019 R.G.N. 1360/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE impugna la sentenza n. 276/2019 della Corte d’appello di Milano che respinto il gravame avverso la pronuncia del Tribunale della medesima sede che aveva rigettato il suo ricorso in opposizione ad avviso di addebito, emesso a seguito di accertamento ispettivo con cui erano stati considerati contratti di lavoro subordinato una serie di contratti di collaborazione a progetto.
La società propone quattro motivi di ricorso, illustrati da memoria Resiste INPS con controricorso.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 26 settembre 2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, c.p.c.).
CONSIDERATO CHE
RAGIONE_SOCIALE articola quattro motivi di ricorso.
I Motivo) violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. perché la Corte è entrata nel merito della subordinazione nonostante l’INPS non avesse affrontato detto tema nella memoria di primo grado.
II Motivo) violazione e falsa applicazione dell’art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276/2003 applicabile ratione termporis prima delle previsioni della legge n. 92/2012.
III Motivo) violazione e falsa applicazione dell’art. 69 d.lgs. n. 276/2003 applicabile ratione temporis , avendo la Corte errato nel ritenere che in mancanza di un valido progetto i rapporti di lavoro dovessero considerarsi automaticamente come di lavoro subordinato.
IV Motivo) violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ. per avere la Corte errato nella individuazione degli elementi che avrebbero portato a qualificare i rapporti come subordinati.
Il primo motivo è inammissibile in considerazione delle modalità con cui è stato proposto, che si scontrano con il principio di necessaria autosufficienza del ricorso.
Sul punto valga il richiamo al consolidato orientamento di legittimità come espresso, ex multis , da Cass. 23079/2020, secondo cui detto principio «trova applicazione anche con riferimento alla dedotta violazione di norme processuali (cfr. Sez. L, n. 25482 del 02/12/2014). Invero, ai fini della ammissibilità del motivo con il quale si lamenta il vizio di extra o ultrapetizione, per erronea individuazione del ‘chiesto’ ex art. 112 cod. proc. civ., …, è necessario che il ricorrente, alla luce del principio di autosufficienza dell’impugnazione, trascriva o riporti specificamente nella parte di rilievo il contenuto essenziale delle domande ed eccezioni formulate nei precedenti gradi di giudizio, così da dimostrare la mancata attinenza della pronuncia del giudice (in questo caso, di appello) al thema decidendum, dovendosi ritenere, in mancanza, che la Corte non sia posta in grado di valutare la fondatezza e la decisività delle
censure; e ciò indipendentemente dal potere di procedere all’esame diretto degli atti del merito.
La Corte, infatti, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in un ‘error in procedendo’, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile’ ex of ficio’, né potendo la Corte ricercare e verificare autonoma mente gli atti processuali ed i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il ‘fatto processua le’ di cui richiede il riesame, ma, altresì, assicuri che il corrispondente motivo contenga, per il principio di autosufficienza ed a pena d’inammissibilità del motivo stesso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Sez. U, n.20181 del 25/07/2019…; Sez. 1, n. 2771 del 02/02/2017…; v. anche Cass. SU n. 22726 del 03/11/2011; Sez. 3, n. 8569 del 09/04/2013)».
Il motivo non risponde ai canoni di cui sopra, posto che non riproduce l’atto processuale dal quale dovrebbe ricavarsi il perimetro della domanda che si assume travalicato (e comunque non tiene conto che la vertenza nasce come opposizione ad avviso di adde bito, del quale la società aveva chiesto l’annullamento assumendo la genuinità dei rapporti di collaborazione a progetto disconosciuti dall’INPS, con la conseguenza che l’accertamento della natura dei rapporti in contestazione era, pertanto, oggetto della domanda ( ex multis , Cass. n. 26706/2023)).
Gli altri tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per l’intima connessione che li unisce, sono parimenti inammissibili, in quanto con essi la società -dietro lo schermo della violazione di legge -in realtà chiede alla Corte una nuova
valutazione di merito, con riesame del materiale istruttorio, comprese prove documentali che, peraltro, non sono state trascritte, dolendosi, in definitiva del fatto che i giudici milanesi abbiano ritenuto non genuine le collaborazioni a progetto che erano state oggetto dell’accertamento ispettivo e abbiano concluso per la natura subordinata dei rapporti.
La società, in primis , lamenta che la Corte avrebbe applicato l’art. 61 e l’art. 69 del d.lgs. n. 276/2003 non nel testo vigente ratione temporis ma in quello riformato a seguito della legge n. 92/2012: partendo da tale premessa, sostiene che, leggendo i contratti, le attività sub iudice avrebbero dovuto essere qualificate come rientranti nel concetto di ‘programma di lavoro’, connesse all’attività principale dell’impresa, e che, comunque, anche diversamente opinando, non sarebbe stato possibile inferire da ll’assenza del progetto la natura subordinata tout court dei rapporti, avendo l’art. 69 introdotto una presunzione solo relativa e mancando adeguate prove della effettiva natura subordinata dei rapporti, poichè la Corte avrebbe fatto malgoverno degli indici sintomatici ex art. 2094 cod. civ.
Le censure investono, sub specie di violazione di legge, l’apprezzamento di merito e delle fonti di prova, non sindacabile in questa sede se non nei ristretti limiti del vizio di motivazione nel testo riformato dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., ed i motivi, piuttosto che evidenziare violazioni puntuali di norme di diritto, rinvenibili nella sentenza impugnata, si risolvono in una critica dell’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione.
La Corte milanese in primis analizza i contratti oggetto del verbale e conclude per l’assenza di validi progetti perché, si legge, detti contratti ‘contengono la descrizione delle mansioni assegnate ai lavoratori in merito all’attività di accettazione e pagamento di scommesse ippiche e sportive, che di per sé non configura un
valido progetto risolvendosi nella mera descrizione dell’attività svolta in concreto’.
Parte ricorrente non contesta che le mansioni svolte fossero quelle indicate dalla Corte ma sostiene che le stesse avrebbero dovuto essere considerate come programma di lavoro o fase dello stesso, sulla base della descrizione dei segmenti dell’attività di impresa come ‘riportata nei singoli contratti’, contratti che, peraltro, non trascrive.
La censura, che fa leva sulla rilevata assenza dei presupposti di specificità del progetto e sulla pretesa errata interpretazione del concetto di programma di lavoro, è inammissibile, trattandosi di accertamento riguardante circostanze di fatto desumibili da prove documentali (contratti) che compete al giudice del merito e non sindacabile, in sede di legittimità, se congruamente motivato, come nel caso di specie (Cass. n. 9484/2022).
Contrariamente a quanto dedotto in ricorso, la sentenza gravata ancora la decisione al testo dell’art. 61 del d.l.gs n. 276/2003 nella versione vigente ratione temporis: infatti, pur non indicando la norma , scrive che ‘i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato’ -e tale è esattamente il testo dell’art. 61 del d.lgs. n. 276/2003 -concludendo, infine, che, ‘nel caso in esame, la stessa descrizione del progetto previsto nel contratto non soddisfa la previsione di legge’ poiché meramente riproduttiva delle attività di cui all’oggetto sociale.
Dalla lettura del ricorso emerge che ciò che la società lamenta in questa sede non è, in realtà, una violazione dell’art. 61 d.lgs. n.
276/2003 nel testo vigente all’epoca, bensì la qualificazione che la Corte ha dato dell’attività decritta nei contratti, attività che ha ritenuto non rispettosa della legge in quanto ‘l’accettazione ed il pagamento delle scommesse non rappresenta una fase o programma di lavoro ma la semplice descrizione dell’attività societaria’.
Con tale statuizione, i giudici milanesi si sono, peraltro, conformati a quanto già ripetutamente affermato da questa Corte in ipotesi sovrapponibili alla presente -ossia in casi in cui veniva in rilievo la definizione legale del contratto a progetto fornita dall’art. 61 d.lgs. 276/2003 nel testo originario.
In Cass. n. 15108/2020 vengono richiamati ed esposti i precedenti conformi, con i quali la «Corte, con riferimento al medesimo testo della disposizione, ha chiarito (Cass. n. 24739 del 2017, Cass. n. 10135 del 26.4.2018) che la nozione di “specifico progetto”, quale deriva dall’ esegesi normativa, deve ritenersi consistere -tenuto conto delle precisazioni introdotte nell’art. 61 cit. dalla I. n. 92 del 2012 -in un’attività produttiva chiaramente descritta ed identificata e funzionalmente ricollegata ad un determinato risultato finale, cui partecipa con la sua prestazione il collaboratore, precisando tuttavia che la norma non richiede che il progetto specifico debba inerire ad una attività eccezionale, originale o del tutto diversa rispetto alla ordinaria e complessiva attività di impresa. 14. Il progetto concordato non può comunque consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale della committente, e dunque nella previsione di prestazioni, a carico del lavoratore, coincidenti con l’ordinaria attività aziendale (Cass. n. 17636 del 06/09/2016), in quanto i termini in questione non possono che essere intesi -pena il sostanziale svuotamento della portata della norma -come volti ad enucleare il contenuto della collaborazione in un quid distinto dalla mera messa a disposizione
di energie lavorative nell’attuazione delle ordinarie attività aziendali. 15. Né diversa interpretazione potrebbe attribuirsi all’espressa possibilità (successivamente venuta meno) che il progetto si riferisca ad una “fase” del lavoro, considerato che è proprio il riferimento ad una porzione, ad un ben individuato segmento dell’attività produttiva, che vale a connotare il progetto di una sua individualità rispetto ad essa».
Di tali principi ha fatto applicazione la Corte di merito, laddove ha ritenuto assente un valido progetto o fase di esso per la coincidenza delle prestazioni con l’ordinaria attività aziendale.
A ciò si legano le considerazioni relative alle altre due censure: il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 69 d.lgs. n. 276/2003 per avere la Corte territoriale ritenuto che il primo comma di tale articolo, nella formulazione vigente prima delle modifiche apportate dalla legge n. 92/2012, avesse introdotto un principio di presunzione assoluta -e non semplice -circa la natura subordinata del rapporto di lavoro in caso di mancanza di un progetto specifico; il quarto verte sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ. e dei criteri che identificano il rapporto di lavoro subordinato, in considerazione del fatto che la Corte milanese ha motivato non solo con riferimento al difetto di un valido progetto o programma di lavoro ma è entrata, altresì, nel merito della esistenza di indici della subordinazione, ravvisati nelle ‘ modalità di esecuzione di tali rapporti secondo lo schema tipico della subordinazione quanto alla retribuzione mensile in base alla presenza oraria, la rilevazione della presenza a fine prestazione, i turni di lavoro predisposti dall’appellante sulla base delle disponibilità inserite nel sistema informatico, l’etero direzione durante lo svolgimento del turno di lavoro con autorizzazione alle pause’.
Anche con riferimento a dette doglianze -dirette in ultima analisi a sovvertire le valutazioni di merito compiute dalla Corte sulla base degli elementi a sua disposizione -valgono le considerazioni di inammissibilità già svolte.
La censura appuntata sulla natura della presunzione di cui all’art. 69 d.lgs. n. 276/2003 (sempre nel testo vigente ratione temporis ) è già stata respinta siccome infondata in molteplici occasioni ( ex multis , Cass. n. 9483/2019, n. 9471/2019, n. 12647/2019), in particolare nei seguenti termini: «non può accogliersi la tesi secondo cui l’assenza del progetto comporterebbe una mera presunzione semplice della subordinazione. La fattispecie sanzionatoria di cui al primo comma dell’art. 69 citato opera automaticamente di diritto la conversione del contratto di lavoro a progetto in caso di assenza di un “progetto, programma o fase di programma” (alla luce la previsione normativa anteriore alla riforma introdotta legge 92 del 2012, cui la controversia è sottratta ratione temporis). Una diversa opzione interpretativa sarebbe del tutto incoerente con il complessivo assetto della nuova disciplina e tale da tradire la sua impronta antielusiva e antifrodatoria, pure considerato che la Corte costituzionale nella sentenza n. 399 del 2008 ha affermato che la novità introdotta dalla riforma è proprio quella di vietare rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che, pur avendo ad oggetto genuine prestazioni di lavoro autonomo, non siano riconducibili ad un progetto. 2.6. Tale opzione interpretativa è l’unica che soddisfa l’esigenza di differenziare la previsione di cui al primo comma dell’art. 69 da quella delineata nel comma successivo, che opera nell’ipotesi in cui, pur essendo stato previsto un valido progetto o programma, il rapporto abbia assunto, nelle sue concrete modalità di svolgimento, la natura subordinata. 2.7. Non è ostativo il principio dell’indisponibilità qualificatoria del tipo legale, in quanto
-come sancito la Corte costituzionale (sent. 121 del 1993 e 115 del 1994) -non è consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura ove da ciò derivi l’inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall’ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato. Tale principio non trova applicazione all’ipotesi inversa di qualificazione come subordinato di un rapporto di lavoro autonomo. 2.8….. 2.9. Tale soluzione ermeneutica trae ulteriore conferma dalla circostanza che la legge n. 92 del 2012, all’art. 1, comma 24, ha dettato una norma di interpretazione autentica dell’art. 69, comma 1, d.lgs. 276 del 2003, prevedendo che tale disposizione si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, mentre il successivo comma 25, secondo cui la disposizione anzidetta si applica ai contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore della norma, non incide sulla natura della presunzione (assoluta) dettata dalla norma interpretata, ma sulla introduzione di una regola espressa di validità del contratto» (Cass. n. 12647/2019 ex multis ).
Quindi, «il regime sanzionatorio previsto dall’art. 69 co. 1 del D.lgs. n. 276 del 2003 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla l. 92 del 2012…), in caso di assenza di specifico progetto, programma o fase di esso -determinante l’automatica conversione a tempo indeterminato, con applicazione delle garanzie del lavoro dipendente e senza necessità di accertamenti giudiziali sulla natura del rapporto -non contrasta con il principio di “indisponibilità del tipo” posto a tutela del lavoro subordinato e
non invocabile nel caso inverso, né con l’art. 41 co. 1 Cost., in quanto trae origine da una condotta datoriale violativa di prescrizioni di legge ed è coerente con la finalità antielusiva perseguita dal lavoratore» ( ex multis, Cass. n. 9484/2022).
La medesima giurisprudenza di questa Corte ha altresì aggiunto che «la disposizione ( nella versione antecedente le modifiche di cui all’art. 1, comma 23, lett. f) della l. n. 92 del 2012), si interpreta poi nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso (Cass. n. 17127 del 17/08/2016 e, ancora da ultimo, Cass. n. 28156 del 5/11/2018)» (Cass. 15108/2020).
Di talchè, in assenza di valido progetto, non vi è necessità di indagare in ordine alle effettive modalità con cui si è realizzato il rapporto di lavoro.
Ciò posto, la parte di motivazione con cui la Corte milanese affronta anche la sussistenza in concreto degli indici della subordinazione appare inserita ad abundantiam , essendo sufficiente la prima ratio decidendi : pertanto, resistendo alle censure la prima, diventa superfluo analizzare le doglianze avverso la seconda, in considerazione del fatto che, qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza, o inammissibilità, delle censure mosse ad una delle ‘ rationes decidendi ‘ rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure
relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 5, ord. 11 maggio 2018, n. 11493; in senso analogo già Cass. Sez. Un., sent. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. Sez. 3, sent. 14 febbraio 2012, n. 2108).
Inammissibile è, quindi, anche la censura che verte sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ. e dei criteri che identificano il rapporto di lavoro subordinato.
Peraltro, a fronte di una valutazione compiuta dai giudici del merito in coerenza con i canoni dell’art. 2094 cod. civ. in ordine alla sottoposizione al potere organizzativo, direttivo e gerarchico del datore di lavoro, la parte ricorrente formula critiche che, dietro le sembianze della violazione di legge, auspicano un riesame delle risultanze istruttorie, contestando la valenza degli indici individuati dalla Corte: viceversa, gli elementi dalla Corte valorizzati, come la retribuzione mensile in base alla presenza oraria, la rilevazione delle presenze a fine turno, l’eterodirezione nello svolgimento del turno con autorizzazione alla effettuazione di pause, sono coerenti con il dictum dell’art. 2094 cod. civ. come interpretato da questa Corte di legittimità e vanno correlati all’ultimo periodo dell’art. 61 del d.lgs. n. 276/2033 qui invocato, in forza del quale, i progetti o programmi di lavoro, per essere genuini, debbono essere ‘gesti ti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa’.
Pertanto, conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna al pagamento delle spese secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €8000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 26 settembre