Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1934 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1934 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20487-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Altre ipotesi rapporto privato
R.G.N. 20487/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 06/12/2023
CC
avverso la sentenza n. 120/2022 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 21/02/2022 R.G.N. 287/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/12/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Lecce -Sezione Distaccata di Taranto-, con la sentenza n. 120/2022, ha confermato la pronuncia di primo grado, emessa dal Tribunale di Taranto, con la quale era stata respinta la domanda proposta da COGNOME NOME, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE-, diretta alla declaratoria di nullità di n. 4 contratti a progetto, per i periodi dall’1.9.2006 al 15.7.2007, dal 15.7.2007 al 14.7.2008, dal 15.7.2008 al 14.7.2009 e dal 15.7.2009 al 14.7.2010, con la protrazione dell’attività sino al 31.7.2012, senza alcuna forma contrattuale, stipulati con l’RAGIONE_SOCIALE in qualità di consulente nutrizionale presso la struttura semplice di RAGIONE_SOCIALE del presidio ospedaliero di Taranto, in virtù di una convenzione annuale, rinnovata di anno in anno, intervenuta tra la RAGIONE_SOCIALE e la sopra indicata RAGIONE_SOCIALE, in quanto simulanti un rapporto di lavoro subordinato tra le parti dall’1.9.2006 al 31.7.2012, nonché ad ottenere il pagamento delle relative differenze retributive maturate, quantificate in euro 51.979,85, oltre al risarcimento del danno biologico per la perdita di lavoro, nella misura da accertarsi a mezzo di consulenza tecnica di ufficio, oltre al versamento dei contributi ed accessori di legge.
I giudici di seconde cure, condividendo l’impianto decisionale del Tribunale, hanno rilevato che, dall’esame delle risultanze processuali, pur essendo l’attività lavorativa svolta dall’originario ricorrente esercitabile sia in regime di lavoro subordinato che di lavoro autonomo, tuttavia era mancata,
nella fattispecie, la prova dell’elemento fondamentale per qualificare il rapporto di lavoro come dipendente, non essendo stati affatto dimostrati l’attribuzione e lo svolgimento delle modalità delle prestazioni del COGNOME alle precise direttive impartite esclusivamente dal datore di lavoro e al potere organizzativo, gerarchico e disciplinare di quest’ultimo; inoltre, hanno specificato che non era stato provato lo stabile inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale attraverso la sua sottoposi zione a specifiche e vincolanti istruzioni datoriali oltre che l’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative, non rilevando che il COGNOME osservasse un costante orario di lavoro in quanto tale circostanza era compatibile anche con un rapporto di lavoro autonomo; il tutto in una situazione in cui l’individuazione del progetto era specificamente stabilito in ciascun contratto sottoscritto, contenente anche il preciso obiettivo da raggiungere.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad unico articolato motivo cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
Il ricorrente ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico articolato motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge ex art. 360 co. 1 n. 4 e n. 5 cpc, in relazione agli artt. 61, 62 e 69 co. 2 D.lgs. n. 276/2003 in applicazione degli artt. 2697 cc e dell’art. 116 cpc, per nullità del procedimento nella parte in cui la Corte di appello, con la sentenza impugnata, non si era pronunciata sulla eccepita violazione di acquisizione e valutazione delle prove legali da parte del primo giudice, ovvero là dove lo stesso aveva disatteso prove legali in atti e aveva considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico,
elementi di prova soggetti, invece, a valutazione; si duole, altresì, il ricorrente della parte della sentenza impugnata in cui la Corte territoriale non si era pronunciata sull’attività svolta dal ricorrente a far data dal 14.7.2010 al 31.7.2012, caratterizzata dalla mancanza di contratti a progetto. In particolare, il COGNOME lamenta che i giudici del merito avevano fondato la propria decisione basandosi unicamente sul dato probatorio dell’esame testimoniale (peraltro erroneamente interpretato), senza dare alcuna valenza alle prove documentali (legali) già presenti in giudizio che deponevano tutte per la riconduzione del rapporto di lavoro de quo sotto il vincolo della subordinazione per stessa ammissione della controparte: vengono richiamati, al riguardo tre attestazioni del 30.9.2010, 2.10.2010 e 1.9.2012 dalle quali si evinceva la sua totale mancanza di autonomia nella gestione del servizio da lui prestato nonché la convenzione del 17 luglio 2006 (tra la RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE) circa la delega alla seconda di stabilire le direttive funzionali (modalità, luogo e tempi di lavoro) circa il suo utilizzo professionale; infine, il ricorrente lamenta che i giudici del merito non avevano valutato il fatto, omettendo ogni pronuncia sul punto, che dal 14.7.2010 al 31.7.2012 il rapporto di lavoro era proseguito senza alcun contratto (di fatto senza progetto) sanzionabile già di per sé con la conversione del rapporto stesso nella tipologia subordinata a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 69 D.lgs. n. 276/2003.
Il ricorso non è fondato presentando le censure svolte profili di infondatezza e di inammissibilità.
E’ sicuramente infondata la doglianza di omessa pronuncia, da parte dei giudici di merito, relativamente alla richiesta conversione del rapporto di lavoro del COGNOME in uno di natura subordinata a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 69 D.lgs. n. 276/2003, per la mancanza di alcun contratto per il periodo dal 14.7.2010 al 31.7.2012, in quanto tale profilo non era stato oggetto di domanda nel ricorso di primo grado, ove era stata dedotta unicamente la nullità dei
quattro contratti a progetto intercorsi dal settembre 2006 al 14 luglio 2010.
Per il periodo successivo, era venuta in rilievo unicamente la prospettazione della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, escluso, però, all’esito degli accertamenti svolti, sia dal Tribunale che dalla Corte di appello.
Alcuna omessa pronuncia -che ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 28308/2017; Cass. n. 7653/2012) – è ravvisabile, pertanto, nel caso in esame essendovi stato un esame, con relativa decisione, da parte dei giudici di seconde cure su tutto il periodo in contestazione, avendo riguardo alle pretese rite et recte articolate.
In punto di diritto, poi, in relazione alle denunciate violazioni degli artt. 61 e 62 D.lgs. n. 276/2003, la statuizione della Corte territoriale è conforme, ai precedenti di legittimità (Cass. n. 15922/2013; Cass. n. 13394/2013) secondo cui il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dall’art. 61 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, prevede una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione.
Le altre censure non si sostanziano in violazioni o falsa applicazione delle disposizioni denunciate, ma tendono, invece, alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della
vicenda (Cass. n. 27197/2011; Cass. n. 6288/2011, Cass. n. 16038/2013), non consentita in sede di legittimità e sono, quindi, inammissibili.
In tema di ricorso per cassazione, infatti, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
Nella fattispecie, non vi è stata alcuna violazione delle disposizioni in materia di valutazione delle prove legali (attestazioni e convenzione richiamate dal COGNOME nel motivo) ma un esame complessivo di tutte le risultanze istruttorie conformemente al principio in virtù del quale, ai fini della distinzione fra lavoro subordinato e lavoro autonomo, deve attribuirsi maggiore rilevanza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto, da cui è ricavabile l’effettiva volontà delle parti (iniziale o sopravvenuta), rispetto al “nomen iuris” adottato dalle parti e ciò anche nel caso di contratto di lavoro a progetto, normativamente delineato come forma particolare di lavoro autonomo, ai sensi dell’art. 61 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (Cass. n. 22289/2014).
10. E’ opportuno ribadire che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi (art. 244 cpc), come la scelta, tra le varie emergenze
probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467 del 2017).
Deve, poi, sottolinearsi che l’esistenza del vincolo di subordinazione va valutata dal giudice di merito il cui accertamento è censurabile in sede di legittimità quanto all’individuazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre si sottrae al sindacato, se sorretta da motivazione adeguata e immune da vizi logici, la valutazione delle risultanze processuali – avuto riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore ed al modo della sua attuazione. (Cass. n. 9256/2009; Cass. n. 14160/2014; Cass. n. 23816/2021).
Nel caso de quo la Corte territoriale ha precisato che nessuna prova era stata raggiunta proprio in ordine all’assoggettamento del ricorrente al potere direttivo, gerarchico e disciplinare della RAGIONE_SOCIALE resistente, con un accertamento reso con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 n. 5 cpc, in una situazione, peraltro, di cd. ‘doppia conforme’ che rende, quindi inammissibili tutte le doglianze avanzate ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc vertendo le stesse su questioni di fatto concordemente decise dai giudici di primo e secondo grado.
Infondata, infine, è pure la asserita violazione dell’art . 2697 cod. civ. che si ha, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di
legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020).
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 dicembre