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Contratto a progetto: quando non è lavoro subordinato

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un consulente nutrizionale che chiedeva il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato. La richiesta si basava su una collaborazione pluriennale, formalizzata inizialmente con un contratto a progetto e poi proseguita senza contratto. La Corte ha stabilito che, per qualificare un rapporto come subordinato, è necessaria la prova dell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, prova che nel caso di specie non è stata fornita.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contratto a progetto: Guida alla differenza con il lavoro subordinato

La distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato è una delle questioni più dibattute nel diritto del lavoro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre spunti cruciali per comprendere quando un contratto a progetto, anche se inserito in una collaborazione duratura, non si trasforma in un rapporto di lavoro dipendente. Analizziamo questa decisione per capire quali sono gli elementi che contano davvero per il giudice.

I Fatti del Caso

Un consulente nutrizionale ha collaborato per diversi anni con un’associazione no-profit. Il rapporto, iniziato nel 2006, è stato inizialmente regolato da quattro contratti a progetto successivi, fino a luglio 2010. Successivamente, la collaborazione è proseguita fino al 2012 senza alcun contratto scritto. Ritenendo di essere stato, di fatto, un lavoratore dipendente, il consulente ha citato in giudizio l’associazione chiedendo la conversione del rapporto in lavoro subordinato a tempo indeterminato, con il conseguente pagamento di differenze retributive, contributi e risarcimento danni.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto le sue richieste, non riscontrando gli elementi tipici della subordinazione. Il caso è quindi giunto all’esame della Corte di Cassazione.

La Decisione della Cassazione sul contratto a progetto

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1934/2024, ha rigettato definitivamente il ricorso del lavoratore, confermando le sentenze dei gradi precedenti. La Corte ha ribadito che, per distinguere un contratto a progetto (o un’altra forma di lavoro autonomo) dal lavoro subordinato, non è sufficiente guardare alla durata del rapporto o alla presenza di un orario di lavoro, ma è necessario verificare l’esistenza del vincolo di subordinazione.

Le Motivazioni della Corte

La decisione si fonda su principi consolidati, che è utile ripercorrere per la loro importanza pratica.

L’assenza degli indici di subordinazione

Il cuore della questione risiede nella prova dell’assoggettamento del lavoratore al potere del datore di lavoro. La Corte ha specificato che l’elemento fondamentale per qualificare un rapporto come subordinato è la sottoposizione del prestatore di lavoro al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore. Nel caso esaminato, non è stata fornita alcuna prova che il consulente ricevesse direttive specifiche e vincolanti sulle modalità di svolgimento delle sue prestazioni, né che fosse soggetto a un controllo gerarchico o a un potere disciplinare da parte dell’associazione. L’attività lavorativa, sebbene continuativa, era esercitata in autonomia.

L’onere della prova e il ruolo del giudice

La Cassazione ha ricordato che l’onere di provare la sussistenza della subordinazione spetta al lavoratore che ne chiede il riconoscimento. Non basta affermare di essere un dipendente; è necessario dimostrarlo con elementi concreti. Inoltre, la valutazione di tali elementi (come le testimonianze o i documenti) è compito del giudice di merito. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare se la legge è stata applicata correttamente, cosa che nel caso di specie è avvenuta. La presenza di una ‘doppia conforme’, cioè due sentenze di merito con la stessa conclusione, ha reso ancora più difficile per il ricorrente contestare la valutazione dei fatti.

La non decisività dell’orario e del periodo senza contratto

Un punto interessante chiarito dai giudici è che l’osservanza di un orario di lavoro costante non è, da sola, una prova sufficiente della subordinazione. Tale modalità organizzativa può infatti essere compatibile anche con un rapporto di lavoro autonomo. Allo stesso modo, il fatto che la collaborazione sia proseguita per due anni senza un contratto formale non ha comportato un’automatica conversione del rapporto. Anche per quel periodo, infatti, non sono emersi elementi concreti che dimostrassero un cambiamento nella natura autonoma della prestazione.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per la qualificazione di un rapporto di lavoro, conta più la sostanza della forma. Non è il nome dato al contratto (nomen iuris) a essere decisivo, ma le concrete modalità di svolgimento della prestazione. Per chi intende far valere la natura subordinata di una collaborazione, è essenziale raccogliere prove concrete dell’assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del committente. Per le aziende, invece, è un monito a gestire correttamente i rapporti di collaborazione autonoma, garantendo ai professionisti l’indipendenza operativa che caratterizza tale tipologia contrattuale, per evitare contestazioni future.

Avere un orario di lavoro fisso è sufficiente per trasformare un contratto a progetto in lavoro subordinato?
No, secondo la Corte, l’osservanza di un orario di lavoro costante non è di per sé una prova decisiva della subordinazione, poiché tale circostanza può essere compatibile anche con un rapporto di lavoro autonomo.

Chi deve dimostrare che una collaborazione è in realtà un rapporto di lavoro dipendente?
L’onere della prova spetta al lavoratore. È lui che deve fornire in giudizio gli elementi concreti che dimostrino l’assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.

Cosa succede se un rapporto di lavoro continua dopo la scadenza di un contratto a progetto senza un nuovo accordo scritto?
La prosecuzione del rapporto non lo trasforma automaticamente in lavoro subordinato. Anche in assenza di un contratto formale, il giudice valuterà le concrete modalità di svolgimento della prestazione per determinarne la natura. Nel caso specifico, la Corte ha concluso che il rapporto era rimasto di natura autonoma.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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