Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25172 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 25172 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11121-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrenti –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE rappresentato
Oggetto
Contratto a progetto.
R.G.N.11121/2020
COGNOME
Rep.
Ud 09/07/2025
CC
e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME – controricorrenti – avverso la sentenza n. 1268/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/09/2019 R.G.N. 1037/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/07/2025 dalla Consigliera Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato la sussistenza del debito contributivo di RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’Inps, nei termini e per gli importi di cui al verbale unico di accertamento del 21 maggio 2014, limitatamente ai contributi, interessi e sanzioni accertati con riguardo ai contratti a progetto stipulati con i soggetti indicati nel medesimo verbale. Ha confermato, per il resto, la pronuncia del Tribunale che aveva escluso gli ulteriori crediti contributivi.
1.1. Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte di appello ha ritenuto che i contratti a progetto stipulati da RAGIONE_SOCIALE recassero indicazione di progetti del tutto generici, senza individuare un risultato al cui raggiungimento il progetto avrebbe dovuto tendere; nella sostanza, le descrizioni si risolvevano nella mera descrizione delle mansioni affidate al collaboratore.
1.2. I contratti, dunque, erano difformi dal modello legale delineato dagli artt. 61 e 62 del d. Lgs. n. 276 del 2003; la mancata individuazione di uno specifico progetto comportava le conseguenze sanzionatorie di cui all’art. 69 del d.lgs. cit., con la conseguenza che i rapporti di lavoro dovevano considerarsi a tempo indeterminato.
Avverso tale pronuncia RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura. Hanno depositato controricorso, successivamente illustrato con memoria, le parti indicate in epigrafe.
A seguito di proposta di definizione accelerata del giudizio, la parte ricorrente ha chiesto la decisione e la Corte ha fissato l’odierna adunanza camerale.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2967 c.c., degli artt. 69, comma 1, 61 e 62 del D. lgs. n. 276 del 2003 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
4.1. La società deduce l’omesso esame della documentazione prodotta e assume che i contratti presentavano:
-un obiettivo attinente ad un segmento distinto dell’organizzazione produttiva ed «attingibile» attraverso l’apporto del collaboratore ;
-un collegamento funzionale del progetto a un determinato risultato finale;
-compiti non meramente esecutivi o ripetitivi.
4.2. Inoltre, avrebbe errato la Corte di merito ad applicare la presunzione assoluta di subordinazione; in adesione all’art. 69, comma 2, del d. lgs. n. 276 del 2003, ratione temporis applicabile, antecedente cioè alla riforma di cui alla legge n. 92 del 2012, la presunzione di subordinazione sarebbe relativa e non assoluta.
Il motivo è, nel suo complesso, da disattendere.
5.1. Le censure, per un verso, sono prive della necessaria specificità , per l’omessa trascrizione dei contratti di
lavoro, e, per altro, scivolano in modo evidente nel merito, per richiedere indebitamente a questa Corte una rivalutazione delle prove e un nuovo giudizio sui fatti.
La Corte di appello è pervenuta a ll’ accertamento di insussistenza d el «progetto» nei contratti di lavoro e l’espresso giudizio non è, nella presente sede, sindacabile nei termini denunciati. A tale esito, i giudici territoriali sono pervenuti valutando le risultanze di causa e facendo corretta applicazione dei principi della Corte.
In particolare, quanto all’applicazione del regime della subordinazione, la Corte di merito ha dato attuazione al principio consolidato secondo cui il d. lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, anche nella versione antecedente le modifiche di cui all ‘art. 1 della legge n. 92 del 2012, «si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso» ( ex plurimis , Cass. n. 17127 del 2016; Cass. n. 12820 del 2016; Cass. n. 9471 del 2019; Cass. n. 17707 del 2020; Cass. n. 28501 del 2022).
Si è chiarito (tra le altre, Cass. n. 27543 del 2020), in proposito, che il regime sanzionatorio previsto dall’art. 69 cit. contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi. Al primo comma, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, come nella specie. In tal caso, si realizza un’ipotesi d i c.d. conversione del rapporto ope legis (restando dunque priva
di rilievo l ‘eventuale natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria). Al secondo comma, disciplina l’ipotesi differente in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale dì fatto realizzata tra le parti.
Con il secondo motivo, è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 c.c., degli artt. 69, comma 1, 61 e 62 del d. lgs. n. 276 del 2003, dell’art. 132, comma 2, n°4 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.).
6.1. Parte ricorrente addebita alla sentenza della Corte d’Appello di aver omesso qualsiasi doverosa pronuncia in relazione all’attività ispettiva e al preciso onere di indicare, posizione per posizione, le declaratorie contrattuali di riferimento.
Come osservato anche nella proposta di definizione accelerata, ex art. 380bis c.p.c., trattasi di censure del tutto generiche e come tali inammissibili. Esse non individuano in alcun modo le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che si pongono in contrasto con le disposizioni di legge di cui si denuncia la violazione.
Va disatteso anche il terzo motivo con cui è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116, comma 8, lett. b), della legge n. 388 del 2000 per avere la Corte d’Appello ritenuto fondata l’evasione contributiva (art. 360, comma 1, n . 3, c.p.c).
8.1. Anche in parte qua la sentenza ha fatto corretta applicazione dei principi della Corte e ritenuto che, in presenza dell’accertamento giudiziale di esistenza, tra le parti, di un contratto di lavoro subordinato in luogo di un lavoro a progetto
(per la mancanza di uno specifico progetto), benché regolarmente denunciato e registrato, ricorra l’ipotesi di «evasione» contributiva di cui all’art. 116, comma 8, lett. b), della legge n. 388 del 2000 e non la meno grave fattispecie di «omissione» contributiva di cui alla lettera a) della medesima norma, in quanto la stipulazione di un contratto di lavoro a progetto privo dei requisiti prescritti dalla legge implica occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e fa presumere l’esistenza della volontà datoriale di realizzarlo allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti (Cass. n. 6405 del 2017, richiamata nella sentenza impugnata. Tra le successive, ex plurimis , v. in motiv. Cass. n. 24364 del 2019; Cass. n.3823 del 2020; Cass. n. 28208 del 2022). Resta salva la prova, a carico del datore di lavoro inadempiente, della mancanza dell’intento fraudolento (v. precedenti citati), prova, tuttavia, che qui non è data. Il motivo di ricorso, infatti, in via del tutto generica, deduce che non vi era alcuna intenzionalità. Tanto è, però, insufficiente per contrastare efficacemente il decisum.
Per quanto innanzi, il ricorso va, conclusivamente, rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano, nei confronti dell’Inps, come da dispositivo. Non vi è luogo a provvedere sulle spese in favore di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, evocate, nel presente giudizio, a scopo di mera litis denuntiatio.
10.1. Inoltre, poiché il presente giudizio è definito in conformità alla proposta, deve applicarsi l’art. 96, co. 3 e 4, c.p.c., come previsto dall’art. 380 -bis c.p.c. (Cass., Sez.Un., nn. 27195 e 27433 del 2023; v. anche Cass. n. 27947 del 2023), non ravvisando il Collegio, ragioni per discostarsi nella specie
dalla suddetta previsione legale (cfr. Cass., Sez.Un., n. 36069 del 2023).
10.2. Parte ricorrente va dunque condannata a pagare una ulteriore somma in favore dell’I nps, equitativamente determinata in Euro 3500,00, e d un’altra somma, di Euro 3.500,00, in favore della Cassa delle Ammende.
10.3. Va infine dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite del giudizio di cassazione, in favore dell’I nps, liquidate in Euro 7.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge.
Condanna, inoltre, parte ricorrente a pagare all’I nps l’ulteriore somma di Euro 3500,00 nonché a versare la somma di Euro 3500,00 alla Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 9 luglio 2025.
La Presidente NOME COGNOME