SENTENZA CORTE DI APPELLO DI FIRENZE N. 516 2025 – N. R.G. 00000788 2024 DEPOSITO MINUTA 01 10 2025 PUBBLICAZIONE 01 10 2025
In nome del popolo italiano LA CORTE D’APPELLO DI FIRENZE Sezione lavoro
composta dai magistrati
dott.ssa NOME COGNOME presidente
dott.ssa NOME COGNOME consigliera
dott.ssa NOME COGNOME consigliera relatrice
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 788/2024 del ruolo generale, promossa da in liquidazione , in persona del liquidatore pro tempore rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME in forza di procura speciale in calce al ricorso in appello APPELLANTE
contro
rappresentato e difeso dalle avv.sse NOME COGNOME e NOME COGNOME
Strologo in forza di procura speciale in calce al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado APPELLATO
e contro
in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in forza di procure generali del 22 marzo 2024 per atto notaio i Roma APPELLATO
Conclusioni per l’appellante:
In riforma della sentenza gravata, accogliere tutte le conclusioni avanzate in prime cure ove non già accolte, quindi rigettare integralmente il ricorso avversario, introduttivo del giudizio di primo grado, inammissibile ed infondato in ogni sua parte, con vittoria di spese del doppio grado di giudizio.
Conclusioni per l’appellato
in via preliminare dichiarare inammissibile l’appello avversario;
nel merito rigettare in toto l’appello ex adverso proposto in quanto infondato in fatto ed in diritto, con integrale conferma della sentenza di prime cure.
Con vittoria di spese ed onorari di entrambi i gradi di causa da corrispondere direttamente all’avv. NOME COGNOME che si dichiara antistataria.
Conclusioni per l’appellato :
In ipotesi di conferma della decisione gravata, e quindi di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso e di condanna in favore della ricorrente al pagamento di differenze retributive, condannare il datore di lavoro al pagamento dei contributi in relazione al periodo di causa ed in ragione delle somme assoggettabili a contribuzione, nella misura accertata e ritenuta di giustizia. Con il favore delle spese.
Svolgimento del processo
a convenuto dinanzi al Tribunale di Firenze
l
, deducendo di aver lavorato alle
dipendenze della stessa ininterrottamente dal 10 gennaio 2008 al 31 dicembre 2016, sotto la forma fittizia di quattordici contratti a progetto. Ha sostenuto di aver svolto mansioni di coordinamento dell’attuazione di protocolli di intesa stipulati con la Regione Toscana in materia di sanità e di servizi delle zone montane, percependo una retribuzione mensile fissa, anche nei periodi non coperti da tali contratti, che non sempre erano stati in continuità uno con l’altro.
Tale attività, secondo il ricorrente, rientrava nei compiti ordinari dell’ ed in particolare nella funzione -peraltro prevalente, in termini di risorse economiche – di attuare le politiche regionali a sostegno della popolazione delle zone montane; tanto che nei contratti a progetto che gli erano stati fatti sottoscrivere non era indicato alcun risultato specifico da conseguire. Egli prestava la propria opera tutti i giorni dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18 presso la sede fiorentina dell’ o presso gli enti locali coinvolti o comunque presso i soggetti esterni coinvolti nei progetti; era soggetto alle indicazioni ed al controllo del presidente dell’ fruiva di due settimane all’anno di ferie, collocate in agosto per volere dell’ente; utilizzava mezzi e strumentazioni dell’ente , e quando si avvaleva di attrezzature sue riceveva un rimborso spese; gli era stato assegnato un account di posta elettronica dell’ente .
Ha chiesto quindi dichiararsi nulli i contratti a progetto ed accertarsi la sussistenza di un unico contatto a tempo indeterminato e pieno per l’intero periodo; e, sull’assunto di aver svolto mansioni rientranti nel quinto livello del Ccnl idraulico forestale applicato dall’ U.n.c.e.m. -o in subordine nel quarto livello ha domandato condannarsi l’ente a pagargli le relative differenze retributive, ossia euro 155.260,61. In subordine, in caso di ritenuta natura pubblica dell’ ha domandato in aggiunta il risarcimento del danno per il ricorso abusivo a contratti di lavoro flessibili , ai sensi dell’art. 7 e dell’art 36 d.lg. n. 165/2001. In ogni caso ha chiesto la regolarizzazione della propria posizione contributiva, ed allo scopo ha convenuto in giudizio anche l’ .
Costituitasi, la liquidazione dell’ si è opposta alle pretese del ricorrente deducendo di essere un’associazione di enti locali che, per le proprie finalità istituzionali di tutela e sviluppo delle comunità di cittadini residenti nelle zone appenniniche, ha dato esecuzione a numerosi progetti finanziati dalla Regione; si è quindi dovuta avvalere, per la durata di tali progetti, di professionisti esterni e di tecnici, il cui compenso, appunto, non gravava sulle modeste finanze dell ma era a carico del finanziamento regionale. Sicchè la tipologia contrattuale più confacente era stata ritenuta il contratto di collaborazione a progetto, della durata media di sei mesi, salvo proroghe dovute al prolungamento del progetto regionale. veva sempre accettato liberamente questi contratti, anche in ragione del lauto compenso ivi previsto. Sul piano dello svolgimento concreto del rapporto, egli aveva sempre svolto la sua attività in piena autonomia, senza avere alcun obbligo di presenza né di orario, e senza alcun controllo; riceveva solo indicazioni organizzative di massima dal presidente.
Ha eccepito infine la prescrizione quinquennale delle differenze retributive, sull’assunto che la aveva più di quindici dipendenti e quindi il vantato rapporto di lavoro dipendente di sarebbe stato comunque assistito dalla c.d. tutela reale; in particolare, dovevano ritenersi prescritti tutti i crediti maturati prima dei cinque anni antecedenti al 13 luglio 2018, data di notifica dell’unica diffida ad adempiere.
Si è costituito anche l , dando atto che l nel corso dei contratti a progetto, ha versato per contributi alla gestione separata; ha chiesto pertanto, per il caso di accertamento della natura subordinata del rapporto, condannarsi l’ente al pagamento de lla differenza rispetto alla contribuzione già versata.
La causa è stata istruita con l’escussione di testi e consulenza tecnica contabile.
Con sentenza del 19 giugno 2024 n. 641 il Tribunale ha accolto in parte la domanda di Il giudice, per quanto ancora qui interessa, ha ritenuto la nullità di tutti i contratti intercorsi tra le parti per mancanza di un valido progetto, e, in applicazione dell’art. 69 comma I d.lg. n. 276/2003 li ha convertiti in un unico rapporto di lavoro subordinato fin dal primo di essi , e sino alla scadenza dell’ultimo . Ha tuttavia condannato la liquidazione dell l a pagare al ricorrente il solo t.f.r. pari ad euro 44.708,47 -in quanto, per il resto, le retribuzioni spettantigli in base al 5° livello Ccnl, ritenuto adeguato, sono
interamente assorbite -e sopravanzate -da quanto egli ha effettivamente percepito. La condanna ha ad oggetto anche euro 32.000 a titolo di retribuzioni previste dall’ultimo contratto e non corrisposte, relative agli ultimi mesi di lavoro.
Contro la sentenza propone appello l’ cui resistono l’ .
Motivi della decisione
Con un unico, articolato motivo di appello, la critica la sentenza nella parte in cui afferma che i vari contratti stipulati con on contengono un progetto individuato. Il giudice non avrebbe tenuto conto che, in realtà, l’attività istituzionale dell’ non è quella di realizzare i progetti deliberati e finanziati dalla Regione Toscana; il suo personale è addetto ad altre funzioni; sicchè legittimamente ha fatto ricorso al contratto a progetto, anche in considerazione della portata temporale limitata di tali progetti regionali. In diritto, poi, il Tribunale non ha tenuto conto del testo originario dell’art. 61 d.lg. n. 276/2003, nel cui vigore sono stati stipulati i contratti a progetto prodotti in atti, l’ultimo dei quali risulta sottoscritto il 28 giugno 2012 con scadenza al 30 giugno 2012: testo originale che non richiedeva in alcun modo, ai fini della validità di questo tipo di contratto, la pattuizione di un progetto diverso dall’oggetto sociale del committente; tale requisito è stato introdotto solo successivamente, cioè dall’art. 1 comma 23 legge n. 28 giugno 2012 n. 92, a modifica dell’art. 61; quindi i contratti documentati in causa erano validi, ed il Tribunale non poteva operare la conversione ex art. 69 primo comma d.lg. n. 276/2003. Comunque, soggiunge l’appellante, esaminando nel merito i vari contratti il giudice avrebbe dovuto accorgersi che l’incarico di volta in volta conferito a ra strettamente legato a ciascun progetto finanziato dalla Regione, compiutamente descritto in contratto; e ad uno specifico protocollo di intesa tra la Regione stessa; di fatto, cessava di prestare la propria opera una volta concluso il progetto, e restava inattivo fino a che l’approvazione ed il finanziamento di un nuovo progetto da parte della Regione rendevano necessario un suo ulteriore ingaggio. Significativo è poi, secondo l’appellante, che non abbia prodotto i contratti successivi al 2012, forse perché contenevano elementi contrari alla propria tesi.
Anche sul piano dello svolgimento in concreto dei rapporti, il giudice non avrebbe considerato la deposizione del teste – già presidente dell’ il
quale ha decisamente escluso che abbia lavorato anche dopo la scadenza di ciascun contratto e prima della conclusione del successivo. Questo teste, e anche gli altri escussi, hanno negato peraltro che egli avesse un orario di lavoro, o che fosse tenuto a chiedere ferie se voleva assentarsi; il teste ha asserito, è vero, che era di fatto continuativamente presente in ufficio, a meno che non si recasse presso gli enti locali facenti parte dell’ per espletare il suo incarico; ma in realtà non può affermarlo, posto che questo teste, anch’egli collaboratore a progetto, ha prestato o la sua opera per l solo a periodi; né sarebbe stato possibile materialmente che i collaboratori, come e come lo stesso fossero presenti a tempo pieno in ufficio, dal momento che le postazioni lavorative nell’unico ambiente erano cinque o sei, mentre collaboratori erano una trentina. Il teste a ben vedere, ha riferito solo di una sua propria posizione vagamente subordinata a ma non di una posizione subordinata di i
vertici dell’
sarebbe anche la decisione del Tribunale di convertire i contratti a progetto in un rapporto di lavoro dipendente a tempo pieno, nonostante che ai sensi dell’art. 69 comma 2 il rapporto convertito debba essere ‘corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti’; diversamente da quanto opinato dal giudice, è emerso dall’istruttoria che il rapporto non poteva comunque essere a tempo pieno ma certamente a tempo parziale, stante quanto detto circa la mancanza di una postazione lavorativa dedicata specificamente a
Ancora, il giudice avrebbe violato l’art. 32 legge n. 183/2010 omettendo di dichiarare la decadenza di dall’azione contro l’ egli infatti ha superato il termine di sessanta giorni, previsto a pena di decadenza dall’art. 6 legge n.604/1966, richiamato dal citato art. 32, per l’impugnazione stragiudiziale dei contratti a progetto, termine che decorreva dalla scadenza dell’ultimo, ossia dal 31 dicembre 2016. Ed in ogni caso egli, non avendo mai impugnato i singoli contratti a progetto via via stipulati, se non appunto con la lettera del 13 luglio 2018, ha mostrato per fatti concludenti di non voler proseguire il rapporto con
l
Infine, l’appellante critica la sentenza in punto di mancato accertamento della prescrizione dei diritti vantati da L’errore del Tribunale sarebbe quello di aver considerato nulli per difetto di progetto anche i contratti stipulati tra le parti
dopo il 2012, cosicchè secondo il Tribunale si avrebbe un unico rapporto di lavoro dipendente perdurato fino al 31 dicembre 2016, durante il quale la prescrizione non poteva decorrere per effetto del mutamento legislativo in ordine alla tutela dal licenziamento illegittimo. In realtà, sarebbe stato onere del lavoratore produrre tali contratti, in mancanza dei quali non poteva il Tribunale dichiararne la nullità per mancanza del progetto. La conversione, insomma, opererebbe solo fino all’ultimo contratto prodotto, che scadeva come si è detto il 30 giugno 2012; da allora, ogni diritto retributivo o risarcitorio di i è evidentemente prescritto, posto che il primo atto stragiudiziale di messa in mora risale, appunto, al 13 luglio 2018.
Questa Corte rileva preliminarmente l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 348 bis c.p.c. , sollevata dalla difesa appellata. Non può dirsi che l’impugnazione dell’ sia ‘manifestamente infondata’, perché si appunta essenzialmente su una questione a lungo dibattuta e in sè controvertibile, ossia quella delle caratteristiche che doveva avere il ‘progetto’ contenuto nei contratti di cui agli artt. 61 e segg. d.lg. n. 276/2003, prima della loro abrogazione ad opera dell’art. 52 d.lg. n. 81/2015.
Nel merito, tuttavia, l’appello è infondato.
Il Tribunale, diversamente da quanto opina l’appellante, ha avuto ben presente la differenza di formulazione tra il testo originario dell’art. 61 d.lg. .n. 276/2003, che richiede solamente che il progetto sia ‘specifico’ e ‘ gestito autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato ‘, ed il testo modificato ad opera dell’art. 1 comma 23 lett. f) legge n. 92/2012, il quale ha aggiunto che esso deve essere ‘ funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente ‘; difatti il giudice ha premesso che al caso in esame si applica il testo originario, ratione temporis , ed ha correttamente richiamato la giurisprudenza di legittimità pronunciatasi proprio su fattispecie verificatesi prima della modifica legislativa; giurisprudenza secondo cui il progetto deve consistere in un’iniziativa distinta dall’attività normale dell’impresa o dell’ente (cfr., oltre alle sentenze citate dal Tribunale, anche Cass. 19 settembre 2023 n. 26829, Cass. 25 febbraio 2019 n. 5418, Cass. 16 ottobre 2017 n. 24379). Si tratta di un’interpretazione consolidata, e condivisa da questa Corte, sia per il termine usato dalla norma, che di per sé indica un piano volto alla realizzazione di un risultato nuovo (anche se non necessariamente rientrante in un’attività eccezionale o del tutto estranea a quella normale dell’azienda), sia per
la ratio della legge, che è quella di reprimere l’uso generalizzato di contratti di collaborazione al posto di normali contratti di lavoro dipendente.
9.
Nel caso in esame, più elementi militano nel senso dell’inesistenza dei progetti, oltre a quello testuale già rilevato dal Tribunale della formulazione generica dell’oggetto dei contratti; questi si limitano effettivamente ad attribuire a a funzione di coordinatore di non meglio identificate ‘fasi progettuali’, ‘procedure di attuazione’, ‘rapporti tecnici con i soggetti esterni al progetto’, ‘gruppi di coordinamento’, senza l’indicazione di risultati da conseguire. Vero è che la parola ‘progetto’ o ‘progettuale’ compare in tali contratti, con riferimento però a protocolli stipulati con la Regione Toscana, e alle relative delibere della giunta regionale, che hanno obiettivi di portata politico-amministrativa assai generale (cfr. documenti prodotti da a 6 a 11). Un conto, infatti, sono i ‘progetti’ nel senso di azioni amministrative accompagnate da un finanziamento apposito, significato usato ormai comunemente nell’ambito delle pubbliche amministrazioni e in ambito europeo, altro conto è il progetto determinato dal committente all’atto di ingaggiare un collaboratore, nella previsione dell’art. 61 d.lg. n. 276/2003. Le due cose non coincidono, perché un ‘progetto’ nel primo significato ben può essere portato avanti anche da lavoratori dipendenti; quindi per ricorrere alla particolare tipologia contrattuale in questione occorre che l’ingaggio abbia una finalizzazione più specifica, che individui cioè un risultato realizzabile dal collaboratore, e non solo uno o più compiti.
Gli altri elementi rilevanti nel senso dell’inesistenza di progetti specifici consistono: a) nella lunga durata dei contratti, sia presi a sé (il primo ha avuto la durata di tre anni, dal 10 gennaio 2008 al 31 dicembre 2010; uno dei successivi si è protratto per quasi due anni, dal 15 marzo 2013 al 31 dicembre 2014), sia considerati complessivamente (nove anni, dal gennaio 2008 al dicembre 2016); b) nella circostanza che avorava anche negli intervalli tra un contratto e l’altro, come si ricava dal fatto che percepiva il compenso mensile tutti i mesi dell’anno, e non solo nei periodi coperti da un contratto, cosa ammessa dalla stessa la quale ha cercato di giustificare ciò con asserite esigenze contabili non indicate (pag. 8 della memoria di costituzione in primo grado); c) nel fatto che i collaboratori a progetto dell’ erano assai più numerosi dei dipendenti, come si ricava dalle denunce contributive periodiche in atti, nelle quali si legge, ad esempio, che nel 2012 a fronte di quattordici dipendenti (‘gestione ex Inpdap’)
l’odierna appellante ha avuto un numero di collaboratori oscillanti tra ventotto e quarantaquattro; nel 2013 i dipendenti risultano quindici mentre i collaboratori sono stati da diciassette a settantuno; nel 2014 a fronte di undici dipendenti l di è avvalsa da trentanove a sessantasette collaboratori.
L’insieme denota come la realizzazione di progetti regionali rientrasse nell’attività ordinaria dell’ Del resto, nell’atto d’appello essa ammette che ‘ avrebbe di certo avuto maggior interesse ad assumere a tempo indeterminato. La verità è che i costi e la durata dei progetti non permettevano tali assunzioni (…)’.
Né rileva il fatto che bbia prodotto solo i contratti a progetto stipulati fino alla fine del 2012: una volta accertata l’assenza dei progetti con conseguente conversione in un unico rapporto a tempo indeterminato, ciò esimeva il giudice dal verificare se anche i contratti stipulati successivamente a quel periodo presentassero la stessa carenza.
E’ inammissibile, poi, la censura relativa alla mancata declaratoria della decadenza di x art. 32 legge n. 183/2010. Tale eccezione non è stata formulata nel giudizio di primo grado, quindi non può essere proposta in questa fase di appello; né si tratta di un’eccezione rilevabile d’ufficio. In ogni caso è infondata, perchè Il termine di decadenza previsto nella norma citata è posto solo per le azioni di impugnazione del licenziamento e per una serie di altre azioni (impugnazione del recesso del committente, del trasferimento, del termine apposto al contratto, etc.) tra le quali non rientra la domanda di questa ha ad oggetto solo la riqualificazione dei contratti a progetto in rapporto di lavoro dipendente, senza alcuna impugnativa del recesso del committente. E’ incontestato tra le parti, infatti, che il rapporto tra le stesse è cessato definitivamente il 31 dicembre 2016, senza alcuna pretesa di alla ricostituzione del rapporto. Ciò, peraltro, rende inconferente l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, anch’essa comunque formulata tardivamente.
Infine, la censura relativa alla prescrizione è a sua volta infondata. La condanna pronunciata dal giudice di primo grado, come si è detto, riguarda solo il t.f.r., maturato allo scadere del rapporto, cioè il 31 dicembre 2016, ed i compensi pattuiti per l’ultimo semestre; tali crediti sono stati oggetto di diffida, pacificamente, del 13 luglio 2018, quindi entro il quinquennio. Nel quinquennio successivo, cioè nel 2019, è seguito il deposito del ricorso giudiziario e la relativa notifica all’
Anche sotto questo aspetto, quindi, la sentenza deve essere confermata.
Data la soccombenza, l’appellante è tenuta alla rifusione delle spese di questo grado in favore di liquidate come in dispositivo sullo scaglione da 26.000 a 52.000 entro cui rientra l’importo del t.f.r. L’ulteriore somma di euro 32.000 che l è stata condannata a pagare non è oggetto dell’appello, trattandosi di compensi pacificamente previsti dai contratti di collaborazione, che prescindono quindi dalla qualificazione giuridica del rapporto.
Il rigetto dell’appello, infine, comporta in capo all’appellante, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002 il raddoppio del contributo unificato.
E’ giustificato compensare le spese nei confronti dell’ , che si è costituito in questo grado di appello senza svolgere attività difensiva, ma limitandosi ad aderire alla sentenza impugnata.
P.Q.M.
la Corte
rigetta l’appello proposto dall’ avverso la sentenza del Tribunale di Firenze, Sezione lavoro, del 19 giugno 2024 n. 641;
condanna l’appellante alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di
che liquida in euro 5.200, oltre al 15% per spese forfettarie, Iva e Cpf, da distrarsi in favore dell’avv.ssa NOME COGNOME;
compensa le spese nei confronti dell’ .
dichiara che sussiste, in capo all’appellante, il presupposto processuale di cui all’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 per il raddoppio del contributo unificato.
Firenze, 23 settembre 2025
l’estensore la presidente dott.ssa NOME COGNOME dott.ssa NOME COGNOME