Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6716 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6716 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22638/2019 R.G. proposto da
COMUNE DI COGNOME , in persona del Sindaco pro tempore ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME
-ricorrente –
contro
IMPRESA INDIVIDUALE NOME
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore
Oggetto: Appalto lavori pubblici
R.G.N. 22638/2019
Ud. 13 febbraio 2025
CC
entrambe elettivamente domiciliate in ROMA INDIRIZZO c/o RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME NOME
-controricorrenti e ricorrenti incidentali -nonché contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente –
nonché contro
COGNOME , domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME
-controricorrente –
nonché contro
COGNOME NOME COGNOME NOME
-intimati – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO SALERNO n. 1455/2018 depositata il 01/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1455/2018, pubblicata in data 1° ottobre 2018, la Corte d’appello di Salerno, nella regolare costituzione degli appellati COMUNE DI COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME ha accolto l’appello proposto dalle due
imprese DITTA INDIVIDUALE NOME COGNOME – in proprio e quale capogruppo dell’ATI “NOME NOME RAGIONE_SOCIALE” -e RAGIONE_SOCIALE – in proprio e quale mandante della predetta ATI -avverso la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania n. 214/11, del 20 aprile 2011 e, per l’effetto, ha condannato il COMUNE DI COGNOME al pagamento in favore delle appellanti dell’importo di € 139.956,55, oltre accessori.
Le due imprese avevano adito il Tribunale di Vallo della Lucania, premettendo in fatto di avere concluso con il COMUNE DI CAMPORA in data 1° ottobre 2003 contratto per l’esecuzione di lavori di “riqualificazione idraulico-ambientale del torrente Tomo” per un importo fisso ed invariabile di € 364.513,17.
Avevano poi riferito che, dopo l’approvazione di due stati di avanzamento dei lavori e la liquidazione di due acconti per un ammontare complessivo di € 193.119,35, in sede di Stato Finale era stato loro riconosciuto un minor importo complessivo dei lavori per € 224.556,62, con un saldo -detratto l’acconto di € 193.119,35 di € 31.412, 00, con conseguente loro sottoscrizione con riserva degli atti contabili allo Stato Finale.
Avevano quindi chiesto: in via principale, previa qualificazione del contratto come interamente a corpo, la condanna del COMUNE DI CAMPORA al pagamento della somma di € 139.956,55 (differenza tra la somma prevista come corrispettivo nel contratto e quella effettivamente percepita), ovvero al pagamento di € 92.902,00 a titolo di equo compenso ex art. 10, comma 6, D.M. 145/00; in via subordinata, ove il contratto fosse stato ritenuto in parte a corpo e parte a misura, la condanna del medesimo COMUNE al pagame nto di € 147.176,50.
Costituitosi regolarmente il COMUNE DI CAMPORA, contestando la domanda e chiedendo di essere autorizzato a chiamare in causa, per essere garantito, NOME COGNOME e NOME COGNOME quali progettisti e direttori dei lavori, NOME COGNOME quale direttore dei lavori, nonché NOME COGNOME quale collaudatore dei lavori; concessa l’autorizzazione alla chiamata in causa; costituitisi i soli NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME; il Tribunale di Vallo della Lucania aveva interamente disatteso la domanda, accogliendo l’eccezione di decadenza per tardività delle riserve iscritte dalle imprese appaltatrici, in quanto aveva ritenuto che, sia nel caso di contratto stipulato a “corpo” sia nel caso di contratto stipulato a “misura”, fosse comunque onere delle appaltatrici quello di contestare mediante riserva gli importi contabilizzati.
La Corte d’appello, nell’accogliere il gravame, ha, in primo luogo, ritenuto di qualificare il contratto come ‘a corpo’, e ciò sulla base di quello che è stato ritenuto dalla Corte territoriale medesima ‘chiaro ed inequivoco tenore letterale del contratto’ , ed in particolare del suo art. 2, nonché del contenuto del Capitolato Speciale di Appalto.
Operata tale qualificazione, la Corte d’appello ha quindi concluso che le imprese appaltatrici, poiché agivano semplicemente per conseguire il residuo corrispettivo già determinato ab origine e non un compenso aggiuntivo, non erano tenute ad iscrivere alcuna riserva in contabilità e che, per contro, era stato il COMUNE DI COGNOME ad operare una non consentita modifica a posteriori del contratto.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Salerno ricorre il COMUNE DI COGNOME.
Resistono con controricorso e ricorso incidentale le imprese DITTA INDIVIDUALE NOME COGNOME in proprio e quale capogruppo dell’ATI “NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale mandante della medesima ATI.
Resistono altresì con separati controricorsi NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Sono rimasti intimati NOME COGNOME NOME COGNOME
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Hanno depositato memorie il COMUNE DI COGNOME, DITTA INDIVIDUALE NOME COGNOME e NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso principale è affidato a cinque motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.
Il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto di qualificare il contratto come ‘a corpo’, argomentando che tale qualificazione sarebbe frutto di una ricostruzione interpretativa parziale ed inadeguata, in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare le indicazioni contenute nel Capitolato Speciale d’Appalto nel quale verrebbe operata una netta distinzione tra opere a corpo ed opere a misura -nonché di valutare anche il comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto, ed in particolare lo stesso contenuto delle riserve espresse dalle imprese ricorrenti incidentali, dal momento che in tali riserve erano proprio le medesime imprese ad individuare alcuni dei lavori come ‘a misura’ .
Conclude, quindi, che, alla luce sia del complessivo tenore del contratto – ed in particolare dell’espresso richiamo al Capitolato
Speciale d’Appalto – sia della comune intenzione delle parti, come palesatasi con il comportamento tenuto anche successivamente alla stipula , l’interpretazione adottata dalla Corte territoriale risulta erronea ed in netta violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ‘error in iudicando (…) in relazione all’art. 116 c.p.c. e agli artt. 1362 e 1363 c.c.’ .
Si censura la specifica affermazione -contenuta nella decisione impugnata -per cui il Capitolato Speciale di Appalto deponeva nel senso di una determinazione a forfait del corrispettivo e quindi della natura ‘a corpo’ del contratto, contestando tale affermazione, in quanto la stessa sarebbe smentita dallo stesso tenore letterale del Capitolato, così integrandosi la violazione dell’art. 116 c.p.c.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. ‘anche in relazione all’art. 326 L.2248/1865 (All. F)’ .
Sempre in relazione all’interpretazione del contratto adottata dalla Corte territoriale, il COMUNE ricorrente evidenzia che le stesse imprese odierne ricorrenti incidentali, nell’iscrivere le riserve, avevano espressamente operato una distinzione tra lavori e misura e lavori a corpo.
Argomenta, quindi, che la Corte territoriale avrebbe dovuto determinare la comune intenzione delle parti alla luce del loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto e che ‘nell’individuazione dell’esatto contenuto contrattuale, non può assumere rilevanza il mero dato formale (riportato in contratto) dell’invariabilità dell’importo, giacché -ai sensi dell’art. 326 L. 2248/1865 (All. F, c. 2) -ciò al più potrebbe valere solo ed esclusivamente per i contratti a corpo mentre nella specie il contratto
è misto e le parti, in primo luogo l’ATI, nel corso del rapporto hanno fornito la più concreta dimostrazione che tale era stata la loro effettiva volontà contrattuale’ .
Avrebbe, quindi, errato la Corte d’appello nell’imporre il pagamento dell’intera somma richiesta sulla base della immodificabilità del corrispettivo ‘quando invece la immodificabilità dell’importo (contenuta in contratto) non poteva operare che solo ed esclusivamente per la parte dei lavori previsti a corpo’ .
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 159, 163, 164 e 165, d.P.R. n. 554/1999.
Argomenta il ricorrente che, anche ritenendo che il contratto fosse esclusivamente a corpo, la pretesa delle ricorrenti incidentali risulterebbe comunque infondata, in quanto l’appaltatore ha diritto al corrispettivo per le opere effettivamente eseguite, laddove nella specie non tutti i lavori sarebbero stati eseguiti, con la conseguenza che sarebbe stato onere dell’appaltatore iscrivere tempestivamente le riserve
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 161, primo comma, c.p.c. e la nullità della decisione impugnata.
In ogni caso, infine, il ricorrente censura la decisione impugnata, in quanto la stessa avrebbe radicalmente omesso di pronunciarsi sulla domanda di manleva che lo stesso COMUNE DI CAMPORA aveva formulato nei confronti dei terzi chiamati.
Con l’unico motivo il ricorso incidentale deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 91, 92 e 132, n. 4, c.p.c. per avere la Corte d’appello disposto l’integrale compensazione delle spese dei due gradi di giudizio con una motivazione che le
ricorrenti deducono essere del tutto carente e generica, oltre che in concreto inidonea giustificare la compensazione medesima.
Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di procura, sollevata dalle imprese ricorrenti incidentali.
Questa Corte, infatti, ha già affermato il principio per cui ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione proposto da un Comune, sotto il profilo della sussistenza della procura speciale in capo al difensore iscritto nell’apposito albo, è essenziale che la procura sia stata rilasciata dal soggetto munito dei poteri di conferire mandato (nella specie il Sindaco pro-tempore ), in epoca successiva alla sentenza oggetto dell’impugnazione ed anteriormente alla notificazione del ricorso, mentre non rileva che al momento della proposizione del ricorso il Sindaco sia persona fisica diversa da quella che ha rilasciato la procura, dovendo ritenersi che il potere conferito nell’interesse del Comune resti integro nel suo esercizio, a prescindere dal mutamento della persona in carica (Cass. Sez. U, Sentenza n. 11531 del 19/05/2009).
Poiché, nella specie, la procura risulta rilasciata in data 24 maggio 2019, e cioè anteriormente delle elezioni svoltesi in data 26 maggio 2019, la stessa risulta sottoscritta da soggetto che, all’epoca, rivestiva la carica di Sindaco del Comune ricorrente ed è, pertanto, pienamente valida, irrilevante essendo invece il fatto che, al momento della notifica del ricorso, fosse subentrata nella carica di Sindaco una diversa persona.
I primi tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto vengono tutti a dedurre, seppure sotto diverse prospettive, la violazione delle previsioni codicistiche in materia di interpretazione dei contratti.
I motivi sono, nel loro complesso, inammissibili.
Per principio consolidato di questa Corte, l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., anche nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. L – Sentenza n. 10745 del 04/04/2022; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4851 del 27/02/2009).
Tuttavia , nell’ipotesi in cui venga dedotta la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., è onere del ricorrente non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, ma anche precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021; Cass. Sez. 1 -Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017), e ciò perché l’interpretazione accolta nella decisione impugnata non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 28319 del 28/11/2017).
Nel caso ora in esame, il ricorso, ben lungi dall’evidenziare un effettivo contrasto tra l’approdo ermeneutico raggiunto dalla decisione impugnata ed un corretto governo dei canoni di interpretazione dei contratti, si traduce nella mera contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella cui è pervenuta la Corte territoriale, senza tuttavia dimostrare l’assoluta infondatezza della stessa e senza evidenziare una concreta violazione degli artt. 1362 segg. c.c.
Inammissibile è anche il quarto motivo di ricorso.
Rileva questa Corte che il profilo dedotto nel motivo di ricorso non risulta essere stato in alcun modo affrontato nella decisione impugnata – la cui ratio , invero, si basa sulla integrale esecuzione dell ‘opera , senza far minimo cenno ad una esecuzione parziale dei lavori – né parte ricorrente ha dedotto di averlo sollevato nei precedenti gradi di giudizio, individuando, in ossequio all’art. 366 c.p.c., l’atto o gli atti nei quali sarebbe avvenuta tale deduzione.
Deve, conseguentemente, trovare applicazione il principio, reiteratamente enunciato da questa Corte, per cui qualora siano prospettate questioni di cui non si trovi cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass.
Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013).
Fondato, invece, è il quinto ed ultimo motivo.
Si deve, infatti, constatare che la Corte territoriale ha radicalmente omesso di statuire sulla domanda di manleva formulata dall’odierno ricorrente principale, sebbene tale domanda fosse stata ritualmente riproposta in sede di costituzione del COMUNE nel giudizio di appello.
Non può ritenersi -come invece hanno dedotto i controricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME -che nella specie sia dato ravvisare nella decisione della Corte territoriale un rigetto implicito della domanda stessa.
Come reiteratamente chiarito da questa Corte, infatti, è configurabile la decisione implicita di una questione quando la stessa risulti superata e travolta, benché non espressamente trattata, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logicogiuridico, la sua irrilevanza o infondatezza (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 12131 del 08/05/2023; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014).
Nel caso ora in esame, tuttavia, è inevitabile constatare che, mentre il rigetto delle domande delle odierne ricorrenti incidentali avrebbe comportato inevitabilmente l’assorbimento di ogni questione connessa alla domanda di manleva, diversamente, una volta accolta in sede di gravame la domanda delle due imprese, il correlato ma distinto profilo della domanda formulata con la chiamata in garanzia veniva a conservare piena ed autonoma rilevanza, necessitando, pertanto, di una statuizione autonoma ed espressa sul punto.
Quanto alle deduzioni dei controricorrenti in ordine al carattere indeterminato della domanda azionata nei propri confronti, è agevole
osservare che tale profilo atteneva -ed attiene – alla valutazione della domanda medesima, ma non poteva giustificarne il radicale omesso esame da parte della Corte territoriale.
6. Il ricorso incidentale è infondato.
Giova rammentare, in primo luogo, che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 77/2018 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo – per violazione degli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 111, primo comma, Cost. – l’art. 92, secondo comma, c.p.c., – nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del d.l. n. 132 del 2014, conv., con modif., con legge n. 162 del 2014 – nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, in quanto la rigida elencazione prevista dalla previsione veniva a violare il principio di ragionevolezza e di eguaglianza escludendo altre analoghe fattispecie – rispetto alle quali quelle tassativamente indicate hanno carattere paradigmatico e svolgono una funzione parametrica ed esplicativa – riconducibili alla stessa ratio giustificativa.
Questa Corte, conseguentemente, ha chiarito che la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nelle ipotesi di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, nonché – per effetto della sentenza 7 marzo 2018 n. 77 della Corte costituzionale -nelle analoghe ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e in quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle ipotesi tipiche espressamente previste dall’articolo 92, comma 2, c.p.c. (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3977 del 18/02/2020; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 4696 del 18/02/2019), chiarendo ulteriormente che è obbligo del giudice indicare
esplicitamente nella motivazione della sentenza le gravi ed eccezionali ragioni (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 1950 del 24/01/2022; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22310 del 25/09/2017).
Nella specie, si deve osservare che la Corte territoriale ha assolto al proprio onere di specificare ed individuare le ragioni che -presentando caratteri riconducibili alle fattispecie espressamente enunciate dall’art. 92, comma secondo, c.p.c. – venivano a giustificare la statuizione di compensazione delle spese di lite, in tal modo conformandosi all’orientamento espresso da questa Corte .
Si deve, quindi, escludere la denunciata violazione dell’art. 132 c.p.c., così come si deve, ulteriormente, osservare che le censure formulate dalle ricorrenti incidentali investono non tanto l’esistenza in sé della motivazione, quanto il merito della valutazione concreta operata dalla Corte territoriale, traducendosi in un inammissibile sindacato in fatto.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso principale può trovare accoglimento unicamente in relazione al quinto motivo, inammissibili gli altri, mentre il ricorso incidentale deve essere rigettato.
In relazione all’unico motivo di ricorso accolto, relativo al rapporto tra il COMUNE DI COGNOME e NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME la decisione impugnata deve pertanto essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, la quale procederà alla valutazione della domanda di manleva formulata dall’odierno ricorrente principale.
Quanto al rapporto processuale tra il COMUNE DI CAMPORA, da una parte, ed IMPRESA INDIVIDUALE NOME RAGIONE_SOCIALE , dall’altra, la reciproca
soccombenza delle parti vale a giustificare l’integrale compensazione delle spese.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , in relazione alle ricorrenti incidentali, spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte,
accoglie il quinto motivo del ricorso principale, inammissibili gli altri;
rigetta il ricorso incidentale;
cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione quanto al rapporto tra il COMUNE DI COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, a lla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione;
compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità tra il COMUNE DI CAMPORA, IMPRESA INDIVIDUALE NOME, RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principale ed incidentali, di un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima