Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16684 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16684 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 17830 del ruolo generale dell’anno 2024 , proposto da
Laboratorio RAGIONE_SOCIALE cliniche RAGIONE_SOCIALE, in persona della legale rappresentante p.t. Dott.ssa NOME COGNOME, con sede legale in Salerno (84135 -SA), INDIRIZZO (P. IVA: P_IVA), rappresentata e difesa anche disgiuntamente, in forza di procura in calce al ricorso, dal Prof. Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL; n. fax: NUMERO_TELEFONO), rinunciante al mandato, dal Prof. Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL; n. fax: 06.36001570) e dall’Avv. NOME COGNOMEC.F.: TARGA_VEICOLO; PEC: EMAIL; n. fax: NUMERO_TELEFONO), con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC dei medesimi EMAIL; EMAIL; avvEMAIL -e domicilio fisico eletto presso lo RAGIONE_SOCIALE in Roma (00197-RM), INDIRIZZO
Ricorrente
Azienda Sanitaria Locale Salerno , C.F. e P.I. P_IVA.
Intimata avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno n° 446 depositata il 17 maggio 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- Con sentenza n° 325/2021 il Tribunale di Salerno condannava l’Azienda sanitaria locale della città a pagare al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE euro 95.683,92, oltre interessi, a titolo di saldo delle prestazioni medico-sanitarie di laboratorio di analisi svolte nel triennio 2010-2012, non versato a seguito della illegittima applicazione dello sconto previsto dall’art. 1, comma 796, lettera o), della legge n° 296/2006.
2 .-Proponeva appello l’Azienda sanitaria in base a quattro mezzi.
Col primo, lamentava il mancato accoglimento dell’eccezione di giurisdizione; col secondo si doleva del mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione quinquennale; col terzo deduceva che l’applicazione dello sconto era stata negozialmente recepita ( sub art. 5) nei contratti successivi al 2009, stipulati ( ex art. 8quinquies del d.lgs. n° 502/1992) col rispetto dei decreti aventi efficacia di legge del Commissario ad acta per la Regione Campania; col quarto allegava che il rispetto del tetto di spesa era stato convenzionalmente assunto dalla struttura, la quale aveva anche emesso note di credito all’esito della regressione tariffaria e che, in ogni caso, la dimostrazione del superamento del tetto poteva essere fornita solo tramite c.t.u., dovendosi calcolare tutti i corrispettivi delle prestazioni della singole strutture nell’ambito della macroarea.
3 .-La Corte accoglieva l’impugnazione con la sentenza indicata in intestazione.
Dopo aver respinto il primo motivo (concernente la carenza di giurisdizione del giudice ordinario), osservava quanto al merito che le questioni poste con i motivi due, tre e quattro dovevano essere precedute dall’esame delle due questioni, rilevate d’ufficio con l’ordinanza 15 giugno 2023, concernenti il tema dell’esistenza di un provvedimento di accreditamento della struttura privata e della validità ed efficacia degli accordi contrattuali prodotti in giudizio, con riferimento alle prestazioni effettuate in ciascuno dei periodi per i quali è stato chiesto il pagamento.
Riguardo a tali temi, osservava il giudice di secondo grado che il Laboratorio COGNOME aveva prodotto esclusivamente un contratto stipulato il 10 agosto 2012, relativo all’anno stesso, ed un ‘ addendum ‘ ad un contrato del 5 ottobre 2011, mentre non aveva versato in atti alcun accordo per gli anni 2010 e 2011.
Tuttavia, per i periodi antecedenti alla stipula, il contratto 2012 non poteva avere applicazione retroattiva, proprio per i rigorosi vincoli formali previsti dagli artt. 16 e 18 del r.d. 18 novembre 1923 n° 2440, desumibili anche dagli artt. 8bis , 8ter , 8quater , 8quinquies del d.lgs. 30 dicembre 1992 n° 502.
Per le prestazioni successive alla stipula, mancava invece la prova dell’accreditamento della struttura.
Il Laboratorio COGNOME aveva dimesso in atti il decreto del Commissario ad acta n° 75 del 16 luglio 2014, che aveva disposto l’accreditamento definitivo dell’impresa erogatrice, facendone derivare la prova del proprio accreditamento anche per gli anni 20102012, ma, la prova dell’accreditamento andava data mediante la produzione del provvedimento ammnistrativo regionale, non surrogabile da altri atti e tantomeno dal riconoscimento implicito o esplicito contenuto in altri atti regionali o nello stesso contratto tra Asl ed erogatore.
Il decreto n° 75/2014 non dimostrava, dunque, né l’accreditamento per il triennio 20102012, né che l’impresa operasse in regime di
accreditamento transitorio o temporaneo ex art. 6, sesto comma, della legge 23 dicembre 1994 n° 794.
4 .- Ricorre per cassazione il Laboratorio, affidando il gravame ad otto mezzi, illustrati da memoria.
L’Asl, nonostante la regolare notificazione del ricorso, è rimasta meramente intimata.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5 .- Col primo motivo la ricorrente deduce ‘ Nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 c.p.c., 2909 c.c. e 324, 329, 342 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., in relazione alla esistenza di un giudicato interno sulla sussistenza dell’accreditamento in capo alla società ricorrente ‘.
Col secondo , denuncia ‘ Nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 c.p.c., 2909 c.c. e 324, 329, 342, 132 c.p.c., 111, comma 6, Cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., in relazione alla esistenza di un giudicato interno sulla applicazione dei contratti inter partes anche alle prestazioni erogate dalla società ricorrente anteriormente alla loro stipula ‘.
Col terzo , allega ‘ Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., in relazione all’asserita mancanza di documentazione idonea a giustificare la remunerazione delle prestazioni sanitarie rese dalla società ricorrente, con particolare riferimento al rapporto di accreditamento e agli accordi contrattuali sottoscritti tra le parti ‘.
Col quarto motivo la ricorrente deduce ‘ Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8, 8-bis, 8-quater e 8-quinquies, del d.lgs. n. 502 del 1992, dell’art. 6, comma 6, della l. n. 724 del 1994, e dell’art. 1, commi 237 -quater e ss., della l.r. Campania n. 4 del 2011, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in relazione all’asserita necessità di un provvedimento di accreditamento di
competenza regionale, quale presupposto per l’erogazione di prestazioni sanitarie per conto e a carico del SSN in regime di accreditamento transitorio ‘.
In sostanza, secondo la ricorrente, il sistema transitorio previsto dall’art. 6, sesto comma, della legge n° 724/1994 consentirebbe alle strutture già convenzionate di continuare ad erogare prestazioni per conto e a carico del Servizio sanitario regionale, senza prevedere, nelle more, l’adozione di alcun provvedimento di accreditamento transitorio di competenza regionale, dovendosi, peraltro, completare la legislazione statale con la normativa regionale, costituita dal Regolamento n° 1/2007 e dalla legge n° 4/2011, con la conseguenza che essa avrebbe ottenuto l’accreditamento definitivo nell’anno 2014 mentre, per gli anni 20102012, avrebbe esercitato l’attività in regime di accreditamento transitorio in forza dell’art. 6, comma 6, della l. n. 724 del 1994 e della menzionata normativa regionale.
Col quinto motivo -rubricato ‘ Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8-bis, 8-quater e 8-quinquies, del d.lgs. n. 502 del 1992, degli artt. 16 e 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, dell’art. 2, comma 7, del d.p.r. 14.1.1997, dell’art. 32, comma 8, della l. 27 dicembre 1997, n. 449 e dell’art. 1322 c.c., e degli artt. 3, 32, 41, 81 e 97, Cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in relazione all’asserita necessità della stipula degli accordi contrattuali tra ASL e struttura privata accreditata in data antecedente a quella di fissazione dei tetti di spesa sanitaria regionale, quale presupposto per l’erogazione di prestazioni sanitarie per conto e a carico del SSN ‘ -la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’erogazione di prestazioni sanitarie per conto e a carico del Servizio sanitario regionale da parte delle strutture private accreditate presupporrebbe la sussistenza di accordi contrattuali sottoscritti antecedentemente a ciascun anno di riferimento.
Col sesto mezzo la ricorrente denuncia ‘ Omesso esame di un fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.; nullità della sentenza per manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nella parte in cui, travisando il contenuto della prova documentale offerta e con motivazione incompatibile con detta prova, non ritiene provato il rapporto di accreditamento ‘.
In sostanza, assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto non provato l’accreditamento, travisando la prova documentale offerta, dalla quale, invece, era risultante l’esistenza di un valido rapporto di accreditamento di tipo transitorio.
Il settimo mezzo predica ‘ Omesso esame di un fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.; nullità della sentenza per manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nella parte in cui, travisando il contenuto della prova documentale offerta e con motivazione incompatibile con detta prova, non ritiene provata la stipulazione di contratti ex art. 8-quinquies, D.Lgs. n. 502/1992 tra la ricorrente e la ASL Salerno per gli anni 2010 e 2011 ‘.
L’ ottavo motivo deduce, infine, subordinatamente agli altri, ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione alla asserita mancata allegazione e carenza di prova in ordine all’indebito arricchimento della ASL SALERNO in virtù dello sconto applicato ‘.
6 .- Sono fondati il primo ed il quinto motivo e la loro fondatezza determina l’assorbimento dei rimanenti mezzi.
Il Collegio intende dare continuità ai propri precedenti emessi in fattispecie sovrapponibili a quella presente (per tutte: Cass., sez. I., 15 novembre 2024 n° 29529; Cass., sez. I, 13 novembre 2024, n° 29274; Cass., sez. I, 12 novembre 2024, n° 29093; Cass., sez.
I, 13 novembre 2024, n° 29276), relativamente all’esistenza di un giudicato interno avente ad oggetto l’accreditamento.
Si tratta di indirizzo condiviso dal Collegio perché il diritto dell’erogatore privato alla percezione dei corrispettivi per le prestazioni rese non dipende soltanto dall’esistenza di un contratto, concluso ai sensi dell’art. 8 -quinquies del d.lgs. n° 502/1992, ma anche dalla sussistenza di un provvedimento di autorizzazione all’esercizio delle attività sanitarie (art. 8 -ter) e di un provvedimento di accreditamento istituzionale (art. 8-quater): provvedimenti che, pur ponendosi all’esterno del contratto (in quanto oggetto di separati atti della PA), sono qualificabili come elementi costitutivi (‘regola delle tre A’) del diritto alla percezione dei corrispettivi, la cui fonte, piuttosto che nell’accordo negoziale, è, dunque, rinvenibile nella stessa legge (sul che si veda anche Cass, sez. I, 17 giugno 2025, n° 16240, emessa all’esito della medesima odierna adunanza camerale). L’accertamento quindi della debenza del prezzo implica l’accertamento degli elementi costitutivi della fattispecie di fonte legale in discorso.
7.- RAGIONE_SOCIALE, in ordine alla questione del giudicato interno in relazione all’accordo contrattuale è comunque la fondatezza del quinto motivo.
Il Collegio aderisce all’orientamento espresso da Cass., sez. I, 17 giugno 2025, n° 16221, deliberata all’esito della medesima odierna adunanza camerale ed emessa in fattispecie sovrapponibile a quella in esame.
In generale, va premesso che nel diritto positivo è vigente il principio (espressamente riconosciuto da Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n° 11656) per cui le persone giuridiche, comprese quelle pubbliche, godono della stessa capacità giuridica delle persone fisiche, fatta ovviamente eccezione per quelle situazioni soggettive riferibili solo a persone fisiche (quali quelle derivanti da
rapporti di famiglia, di successione legittima, da status personali, ecc…).
Ne deriva che le norme giuridiche, esplicite o implicite (spesso ricavabili dalle finalità istituzionali dei singoli Enti), che limitano positivamente o negativamente le attribuzioni ed escludono che un soggetto pubblico possa stipulare determinati negozi di diritto civile, devono essere interpretate in senso restrittivo, presentandosi come eccezioni ad un principio generale (come ad es. nel caso degli artt. 203 e ss. del d.lgs. n° 267/2000).
Nel caso, che rappresenta la generalità, in cui non vi siano particolari restrizioni di legge, la Pubblica amministrazione è libera di concludere negozi di diritto privato senza alcuna limitazione, salvo il rispetto della forma dei contratti imposta dagli artt. 16 e 18 del r.d. 18 novembre 1923 n° 2440.
La forma scritta dei contratti tra PA e privati, allora, va vista co-me strumento indefettibile di garanzia del regolare svolgimento dell’attività negoziale della prima, sia nell’interesse dei cittadini, in quanto costituisce remora ad arbitri, sia nell’interesse della stessa Amministrazione, in quanto agevola l’espletamento della funzione di controllo e la concreta osservanza dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’agire amministrativo (Cass., sez. I, 12 luglio 2001, n° 9428; Cass., sez. III, 24 giugno 2002, n° 9165; Cass., sez. I, 3 aprile 2024, n° 8753, già citata).
Per tali contratti, allora, non solo deve escludersi che la manifestazione di volontà delle parti possa essere implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi (Cass., sez. III, 3 agosto 2002, n° 11649), ma è da escludere altresì qualunque forma di sanatoria o la validità di manifestazioni di volontà implicita o desumibile da comportamenti puramente attuativi (Cass., sez. III, 15 marzo 2004, n° 5234; Cass., sez. I, 3 aprile 2024, n° 8753 già citata).
Tanto premesso e ricapitolato in ordine alla forma necessaria del contratto tra PA e privati, occorre tuttavia osservare che, già da un primo esame, le norme citate (art. 16 e 18) non precludono affatto l’apposizione di un termine iniziale di efficacia ad un accordo negoziale tra privato e PA, limitandosi a stabilire che i contratti a trattativa privata, oltre che nella forma pubblica ammnistrativa disciplinata dall’art. 16 cit., possono essere stipulati anche nelle forme semplificate previste dall’art. 17 del r.d. n° 2440/1923.
Pertanto, volta che sia osservata la forma prevista da tale ultima disposizione, non sembra che la libertà della PA di pattuire liberamente il contenuto delle clausole negoziali (e, dunque, anche di apporre un termine iniziale di efficacia del contratto anteriore alla sua stipula) possa essere limitato dalle disposizioni che disciplinano la forma dei contratti.
Ora, la stipula dei contratti di prestazioni sanitarie tra Aziende sanitarie locali e strutture private è specificamente disciplinata dall’art. 8 -quinquies del d.lgs. n° 502/1992: per cui è a tale disposizione che occorre fare riferimento al fine di verificare se, in ipotesi, essa preveda un divieto di apporre al contratto tra Asl e struttura privata un termine di efficacia anteriore o, comunque, una clausola che disciplini le prestazioni già in precedenza eroga-te.
Ebbene, questo divieto non sembra evincibile dal testo di legge, il quale, infatti, si limita a prevede che la regione e le unità sanitarie locali (definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate e) stipulano contratti con quelle private (che data la loro natura normativa e la loro obbligatorietà sono qualificabili come contratti ‘ imposti ‘), specificando inoltre che tali accordi devono prevedere ‘ d) il corrispettivo preventivato (…) da verificare a consuntivo ‘.
Si tratta, in sostanza, dato il loro contenuto normativamente disciplinato e la loro obbligatorietà, di contratti ‘ imposti ‘, ossia di contratti che rappresentano il risultato finale di un complesso
procedimento amministrativo a latere, a formazione necessariamente progressiva.
La verifica ‘ a consuntivo ‘ del rispetto del limite di spesa sostenibile nell’esercizio è dunque rimesso fisiologicamente (in quanto è la stessa legge a prevederlo) ad un momento successivo nel quale le parti concordano il prezzo delle prestazioni complessivamente rese nell’anno di riferimento, verificando in particolare il rispetto del tetto di spesa e l’eventuale necessità di procedere a regressione tariffaria secondo le indicazioni che in genere vengo-no assunte in una particolare sede, generalmente definita nella legislazione regionale come ‘ tavolo tecnico ‘.
La consustanzialità al sistema della verifica ‘ a consuntivo ‘ del sistema di spesa sanitaria regionale è confermata anche dalla Corte costituzionale, la quale ha osservato che ‘ nel contesto del mercato amministrato delle prestazioni sanitarie, la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio ha carattere fisiologico ‘ (Corte cost. n° 203/2016).
Ne deriva, da un lato, che, se l’operatore prudente e accorto è tenuto a sapere di essere esposto a correttivi dei contenuti economici del contratto imposti in corso d’anno, dall’altro, la variazione dei limiti di spesa e, dunque, della remunerabilità delle prestazioni eseguite è un semplice effetto derivante da una previsione negoziale, che non ha nulla a che vedere con la diversa ipotesi del contratto di diritto privato della PA concluso senza l’osservanza delle forme previste dagli artt. 16 e 18 del r.d. n° 2440/1923.
Peraltro, deve pure osservarsi che nella prassi applicativa le Asl e le strutture private concludono, in qualche caso, il contratto di prestazioni sanitarie prima ancora di sapere con esattezza il limi-te di remunerabilità delle prestazioni, ma rimettendo, grazie ad una apposita clausola negoziale, la determinazione di tale tetto ad un
atto amministrativo successivo, che la struttura privata si obbliga ad osservare in via anticipata.
È evidente che in tale ipotesi si viene ad ottenere il medesimo effetto giuridico della apposizione di un termine di efficacia contrattuale anteriore alla stipula: evenienza che dovrebbe indurre a ritenere che la stipula di un contratto in corso di esercizio non infranga alcuna norma imperativa sulla forma dei contratti tra privati e PA.
Più in generale deve anche aggiungersi che il complesso sistema normativo che disciplina la conclusione dei contratti aventi ad oggetto prestazioni sanitarie e loro remunerazione è deputato non solo all’ottenimento del più alto livello di prestazioni possibili, tenuto conto della spesa sostenibile, ma anche alla verifica del rispetto di tale spesa nel corso del rapporto e, in particolare, al termine dell’esercizio: sicché il divieto di apporre un termine iniziale di efficacia del contratto avrebbe potuto, al più, avere un senso ove da tale previsione negoziale fosse derivato l’obbligo della PA di remunerare comunque le prestazioni, pregresse o meno, rese anche oltre gli importi preventivati nel bilancio regionale.
Ma, dato che per costante giurisprudenza il limite di spesa è ineludibile e non consente alcuna remunerazione delle prestazioni rese oltre la sua misura ( ex multis : Cass., sez. III, 29 ottobre 2019, n° 27608), è evidente che non vi sia alcun ostacolo ad una previsione negoziale retroattiva, giacché essa dovrebbe comunque esplicare i suoi effetti sempre nell’ambito della spesa ammessa.
Va poi aggiunto che il principio affermato dalla Corte d’appello in subiecta materia sarebbe suscettibile di generalizzazione, implicando, a bene vedere, il generale divieto per la PA di attribuire ai propri negozi iure privatorum un termine iniziale di efficacia o un’efficacia retroattiva: conclusione che si pone in contrasto con precedenti giurisprudenziali di questa Corte (Cass., sez. III, 7 dicembre 2000, n° 15530), con i quali si è affermato, ad esempio in
materia locatizia, che la PA, ove sia conduttrice, ben può pattuire in un contratto un termine iniziale di efficacia anteriore alla stipula (o, il che è lo stesso, ‘ attribuire ad esso efficacia retroattiva ‘).
Applicando, poi, il principio predicato dalla Corte territoriale a fattispecie diverse, come a quella giuslavoristica, ne discenderebbe, ad esempio, l’impossibilità di apporre alla transazione o alla rinuncia ex art. 2113 cod. civ., stipulata tra PA e dipendente pubblico, un termine iniziale di efficacia anteriore alla stipula stessa, precludendo in tal modo una parte dei possibili accordi tra PA datore e dipendente pubblico.
In conclusione, a meno che non ostino ragioni contabili e, soprattutto, di bilancio -queste sì oggettivamente impeditive di un accordo che determini una maggiore spesa -l’apposizione di un termine iniziale di efficacia ad un contratto della PA, come pure la previsione della sua retroattività, non sono precluse dalle norme sulla forma dei contratti (artt. 16 e 18 citt.), ma unicamente dalla previsione inderogabile della copertura della spesa, secondo nel norme che riguardano la singola PA contraente.
9 .-All’accoglimento del ricorso, segue la cassazione della sentenza ed il rinvio della causa alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
p.q.m.
la Corte accoglie il primo ed il quinto motivo di ricorso. Dichiara assorbiti i restanti. Cassa e rinvia alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 13 giugno 2025, nella camera di consiglio della prima sezione.
Il presidente NOME COGNOME