Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16683 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16683 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 18438 del ruolo generale dell’anno 2024 , proposto da
Laboratorio di analisi cliniche e radioimmunologiche Ehrlich del Dr. COGNOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. , in persona del legale rappresentante p.t. Dott. NOME COGNOME, con sede legale in Mercato San Severino (84085-SA), INDIRIZZO (P. IVA: P_IVA), rappresentata e difesa nel presente giudizio, anche disgiuntamente, dal Prof. Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL; n. fax: NUMERO_TELEFONO), rinunciante al mandato, dal Prof. Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL; n. fax: NUMERO_TELEFONO) e dall’ Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL), in forza di procura in calce al ricorso, con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC dei medesimi EMAIL; EMAIL; EMAIL -e domicilio fisico eletto presso lo RAGIONE_SOCIALE in Roma (00197-RM), INDIRIZZO Sacchetti, 9.
Ricorrente
contro
Azienda sanitaria locale Salerno , C.F. e P.I. P_IVA, in persona del Direttore Generale e legale rapp.te p.t., Ing. NOME COGNOME dom.to per la carica in Salerno alla INDIRIZZO rapp.ta e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (GLT CODICE_FISCALE) con i quali elett.te domiciliata presso gli indirizzi PEC: EMAIL, avv.EMAIL, giusta procura speciale allegata al controricorso, i quali dichiarano di voler ricevere tutte le notificazioni e comunicazioni ai seguenti indirizzi di posta elettronica certificata: EMAIL, avv.EMAIL.
Intimata
avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno n° 572 depositata il 19 giugno 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- Con sentenza n° 4387/2022 il Tribunale di Salerno condannava l’Azienda sanitaria locale della città a pagare al Laboratorio di analisi cliniche e radioimmunologiche COGNOME del Dr. COGNOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE.s. euro 125.806,15 oltre interessi moratori di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n° 231/02, a titolo di saldo delle prestazioni sanitarie svolte nel triennio 2010-2012, non versato a seguito della illegittima applicazione dello sconto previsto dall’art. 1, comma 796, lettera o), della legge n° 296/2006.
2 .-Proponeva appello l’Azienda sanitaria in base a quattro mezzi. Col primo, lamentava il mancato accoglimento dell’eccezione di giurisdizione; col secondo si doleva del mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione quinquennale; col terzo allegava che lo sconto ex art. 1, comma 796, lettera o), della legge n° 296/2006, ritenuto conforme a Costituzione da Corte cost. n°
94/2009 (sentenza) e n° 243/2010 (ordinanza), era stato legittimamente praticato anche negli anni 2010-2012 in virtù dei decreti del Commissario ad acta della Regione Campania n° 35 del 12 giugno 2010, per l’anno 2010, n° 24 del 05 aprile 2011 per l’ano 2011, n° 63 del 26 settembre 2011 e n° 67 del 22/06/2012, sino a giungere al Decreto n° 32 del 27 marzo 2013, col quale si era previsto l’assorbimento dello sconto a seguito dell’adozione delle nuove tariffe; col quarto (erroneamente numerato ‘ 3 ‘) asseriva che lo sconto era stato convenzionalmente assunto dalla struttura, la quale aveva anche emesso note di credito all’esito della regressione tariffaria applicata; col quinto (erroneamente numerato ‘ 4 ‘) deduceva che la disapplicazione dello sconto per gli anni 2010-2012 avrebbe comunque generato uno sforamento del tetto di spesa ed una conseguente ulteriore regressione tariffaria; col quinto (erroneamente numerato ‘ 4 ‘) censurava la sentenza nella parte in cui aveva riconosciuto all’erogatore privato gli interessi ex d.lgs. n° 231/2002.
3 .-La Corte accoglieva l’impugnazione con la sentenza indicata in intestazione.
Dopo aver respinto il primo motivo (concernente la carenza di giurisdizione del giudice ordinario), osservava, esaminando i motivi di appello terzo, quarto e quinto, che, ‘ al di là della condivisibilità o meno delle ragioni addotte a sostegno della decisione ‘, le conclusioni del primo giudice non potevano essere tenute ferme.
Gli erogatori privati, infatti, potevano vantare un diritto alla remunerazione delle prestazioni solo dimostrando l’accreditamento della struttura, risultante da un provvedimento amministrativo regionale, e la sussistenza di uno specifico contratto scritto.
L’impresa, per contro, non aveva prodotto per gli anni 2010 -2012 né un provvedimento di accreditamento, né un accordo scritto.
A seguito dell’ordinanza 14 luglio 2023 con la quale la Corte aveva invitato i litiganti, ex art. 101, secondo comma, cod. proc.
civ., ad interloquire sulla sussistenza dell’accreditamento -l’impresa aveva versato in atti un certificato di valido titolo convenzionale, datato 23 novembre 2011 e rilasciato ai fini dell’ammissibilità dell’istanza di accreditamento definitivo, nel quale era specificato che la struttura sanitaria sarebbe munita di un ‘ valido titolo convenzionale ai sensi dell’articolo 6, comma sesto, della legge numero 724 del 1994 ‘ per l’esercizio di determinate attività, conformi a quelle ‘ autorizzate ed attualmente erogate in regime di provvisorio accreditamento ‘, nonché il decreto n° 82 del 2014.
Tali documenti, tuttavia, non permettevano di ritenere assolto l’onere probatorio.
I contendenti, infatti, con l’ordinanza 14 luglio 2023, erano stati invitati solo ad interloquire sul tema dell’accreditamento e non a produrre documenti, che, pertanto, non potevano essere versati in atti ex art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., essendo essi relativi (non a fatti impeditivi, modificativi o estinti, ma) a fatti costitutivi della pretesa creditoria (come stabilito da Cass. 35974/2021).
Pur essendo vero che secondo un orientamento (Cass., sez. un., n° 26242/2014 e Cass. n° 20870/2020) sarebbe possibile, ex art. 101, secondo comma, far luogo ad ulteriore attività istruttoria, sarebbe altrettanto vero, secondo altra tesi (Cass. n° 2963/2023), che non sarebbe possibile superare le preclusioni istruttorie.
Ad ogni modo, anche volendo ritenere ammissibili i documenti prodotti, ‘ osterebbe ad una loro positiva valutazione, nell’ottica della prova che essa avrebbe dovuto dare, il loro precipuo contenuto ‘: infatti, il Decreto del Commissario ad acta n° 82/2024 era successivo alle prestazioni rese, mentre il certificato del 23 novembre 2011, in disparte il fatto che anch’esso era successivo a molte delle prestazioni, consisteva in una mera attestazione
rilasciata dall’Azienda Sanitaria Locale Salerno -finalizzata, peraltro, ‘ all’ammissibilità dell’istanza di accreditamento definitivo ‘. D’altra parte, la necessaria produzione in giudizio di un provvedimento di accreditamento era evincibile anche dalla disciplina legislativa di settore, statale e regionale, che aveva subordinato la remunerabilità delle prestazioni degli erogatori all’esercizio di poteri delle Regioni concernenti le modalità di svolgimento del servizio, la valutazione dei presupposti qualitativi delle imprese ed il fabbisogno dell’utenza.
Neppure poteva reputarsi legittima la prassi in voga nella Regione Campania, basata sulla prosecuzione di fatto dei rapporti con le strutture private, in termini di accreditamento provvisorio o transitorio, essendo stato più volte chiarito (Cass. n° 5682/2024) che la remunerazione delle prestazioni non era dovuta in mancanza di accreditamento e contratto.
Da ultimo, era anche infondata la domanda dell’impresa basata sull’art. 2041 cod. civ.
4 .- Ricorre per cassazione il Laboratorio, affidando il gravame ad otto mezzi, illustrati da memoria.
L’Asl, nonostante la regolare notificazione del ricorso, è rimasta meramente intimata.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5 .- Col primo motivo la ricorrente deduce ‘ Nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 c.p.c., 2909 c.c. e 324, 329, 342 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., in relazione alla esistenza di un giudicato interno sulla sussistenza dell’accreditamento in capo alla società ricorrente ‘.
Col secondo , denuncia ‘ Nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 c.p.c., 2909 c.c. e 324, 329, 342, 132 c.p.c., 111, comma 6, Cost., ai sensi degli artt. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., in
relazione alla esistenza di un giudicato interno sulla sussistenza di ‘validi ed efficaci’ rapporti contrattuali stipulati tra le parti ‘con riferimento a parte delle prestazioni dedotte in giudizio’; nonché motivazione perplessa e apparente sul punto ‘.
Col terzo , allega ‘ Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., in relazione all’asserita mancanza di documentazione idonea a giustificare la remunerazione delle prestazioni sanitarie rese dalla società ricorrente, con particolare riferimento al rapporto di accreditamento e agli accordi contrattuali sottoscritti tra le parti ‘.
Col quarto motivo la ricorrente deduce ‘ Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8, 8-bis, 8-quater e 8-quinquies, del d.lgs. n. 502 del 1992, dell’art. 6, comma 6, della l. n. 724 del 1994, e dell’art. 1, commi 237 -quater e ss., della l.r. Campania n. 4 del 2011, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in relazione all’asserita necessità di un provvedimento di accreditamento di competenza regionale, quale presupposto per l’erogazione di prestazioni sanitarie per conto e a carico del SSN in regime di accreditamento transitorio ‘.
In sostanza, secondo la ricorrente, il sistema transitorio previsto dall’art. 6, sesto comma, della legge n° 724/1994 consentirebbe alle strutture già convenzionate di continuare ad erogare prestazioni per conto e a carico del Servizio sanitario regionale, senza prevedere, nelle more, l’adozione di alcun provvedimento di accreditamento transitorio di competenza regionale, dovendosi, peraltro, completare la legislazione statale con la normativa regionale, costituita dal Regolamento n° 1/2007 e dalla legge n° 4/2011, con la conseguenza che essa avrebbe ottenuto l’accreditamento definitivo nell’anno 2014 mentre, per gli anni 20102012, avrebbe esercitato l’attività in regime di accreditamento transitorio in forza dell’art. 6, comma 6, della l. n. 724 del 1994 e della menzionata normativa regionale.
Col quinto motivo -rubricato ‘ Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8-bis, 8-quater e 8-quinquies, del d.lgs. n. 502 del 1992, degli artt. 16 e 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, dell’art. 2, comma 7, del d.p.r. 14.1.1997, dell’art. 32, comma 8, della l. 27 dicembre 1997, n. 449 e dell’art. 1322 c.c., e degli artt. 3, 32, 41, 81 e 97, Cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in relazione all’asserita necessità della stipula degli accordi contrattuali tra ASL e struttura privata accreditata in data antecedente a quella di fissazione dei tetti di spesa sanitaria regionale, quale presupposto per l’erogazione di prestazioni sanitarie per conto e a carico del SSN ‘ -la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’erogazione di prestazioni sanitarie per conto e a carico del Servizio sanitario regionale da parte delle strutture private accreditate presupporrebbe la sussistenza di accordi contrattuali sottoscritti antecedentemente a ciascun anno di riferimento.
Col sesto mezzo la ricorrente denuncia ‘ Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 101 e 115 e 345 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., in relazione alla asserita tardiva e inammissibile produzione dei documenti comprovanti la pretesa creditoria ricorrente ‘.
Premesso che tale inammissibilità riguarderebbe solo la certificazione di valido titolo convenzionale del 23 novembre 2011 e non il Decreto commissariale n° 82/2014, la ricorrente fa osservare che la sussistenza dell’accreditamento era comunque pacifica inter partes e coperta dal giudicato e, comunque, che il rilievo del giudice contenuto nell’ordinanza 14 luglio 2023 involgeva una questione di invalidità del rapporto, donde la possibilità per le parti, invitate ex art. 101 cod. proc. civ., non solo di interloquire con attività assertiva, ma anche di svolgere attività probatoria.
Col settimo motivo il Laboratorio lamenta ‘ Omesso esame di un fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5
c.p.c.; nullità della sentenza per manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nella parte in cui, travisando il contenuto della prova documentale offerta e con motivazione incompatibile con detta prova, non ritiene provato il rapporto di accreditamento ‘.
L’ ottavo motivo deduce, infine, subordinatamente agli altri, ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione alla asserita mancata allegazione e carenza di prova in ordine all’indebito arricchimento della Asl Salerno in virtù dello sconto applicato ‘.
6 .- Il primo ed il quinto motivo sono fondati e determinano l’assorbimento degli altri.
Il Collegio intende dare continuità ai propri precedenti emessi in fattispecie sovrapponibili a quella presente (per tutte: Cass., sez. I., 15 novembre 2024 n° 29529; Cass., sez. I, 13 novembre 2024, n° 29274; Cass., sez. I, 12 novembre 2024, n° 29093; Cass., sez. I, 13 novembre 2024, n° 29276) relativamente all’esistenza di un giudicato interno avente ad oggetto l’accreditamento .
Si tratta di indirizzo condiviso dal Collegio perché il diritto dell’erogatore privato alla percezione dei corrispettivi per le prestazioni rese non dipende soltanto dall’esistenza di un contratto, concluso ai sensi dell’art. 8 -quinquies del d.lgs. n° 502/1992, ma anche dalla sussistenza di un provvedimento di autorizzazione all’esercizio delle attività sanitarie (art. 8 -ter ) e di un provvedimento di accreditamento istituzionale (art. 8quater ): provvedimenti che, pur ponendosi all’esterno del contratto (in quanto oggetto di separati atti della PA), sono qualificabili come elementi costitutivi (‘ regola delle tre A ‘) del diritto alla percezione dei corrispettivi, la cui fonte, piuttosto che nell’accordo negoziale, è, dunque, rinvenibile nella stessa legge (sul che si veda anche Cass, sez. I, 17 giugno 2025, n° 16240, emessa all’esito della medesima odierna adunanza camerale). L’accertamento quindi
della debenza del prezzo implica l’accertamento degli elementi costitutivi della fattispecie di fonte legale in discorso.
7 .- RAGIONE_SOCIALE, in ordine alla questione del giudicato interno in relazione all’accordo contrattuale è comunque la fondatezza del quinto motivo.
Il Collegio aderisce all’orientamento espresso da Cass., sez. I, 17 giugno 2025, n° 16221, deliberata all’esito della medesima odierna adunanza camerale ed emessa in fattispecie sovrapponibile a quella in esame.
In generale, va premesso che nel diritto positivo è vigente il principio (espressamente riconosciuto da Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n° 11656) per cui le persone giuridiche, comprese quelle pubbliche, godono della stessa capacità giuridica delle persone fisiche, fatta ovviamente eccezione per quelle situazioni soggettive riferibili solo a persone fisiche (quali quelle derivanti da rapporti di famiglia, di successione legittima, da status personali, ecc…).
Ne deriva che le norme giuridiche, esplicite o implicite (spesso ricavabili dalle finalità istituzionali dei singoli Enti), che limitano positivamente o negativamente le attribuzioni ed escludono che un soggetto pubblico possa stipulare determinati negozi di diritto civile, devono essere interpretate in senso restrittivo, presentandosi come eccezioni ad un principio generale (come ad es. nel caso degli artt. 203 e ss. del d.lgs. n° 267/2000).
Nel caso, che rappresenta la generalità, in cui non vi siano particolari restrizioni di legge, la Pubblica amministrazione è libera di concludere negozi di diritto privato senza alcuna limitazione, salvo il rispetto della forma dei contratti imposta dagli artt. 16 e 18 del r.d. 18 novembre 1923 n° 2440.
La forma scritta dei contratti tra PA e privati, allora, va vista come strumento indefettibile di garanzia del regolare svolgimento dell’attività negoziale della prima, sia nell’interesse dei cittadini, in
quanto costituisce remora ad arbitri, sia nell’interesse della stessa Amministrazione, in quanto agevola l’espletamento della funzione di controllo e la concreta osservanza dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’agire amministrativo (Cass., sez. I, 12 luglio 2001, n° 9428; Cass., sez. III, 24 giugno 2002, n° 9165; Cass., sez. I, 3 aprile 2024, n° 8753, già citata).
Per tali contratti, allora, non solo deve escludersi che la manifestazione di volontà delle parti possa essere implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi (Cass., sez. III, 3 agosto 2002, n° 11649), ma è da escludere altresì qualunque forma di sanatoria o la validità di manifestazioni di volontà implicita o desumibile da comportamenti puramente attuativi (Cass., sez. III, 15 marzo 2004, n° 5234; Cass., sez. I, 3 aprile 2024, n° 8753 già citata).
Tanto premesso e ricapitolato in ordine alla forma necessaria del contratto tra PA e privati, occorre tuttavia osservare che, già da un primo esame, le norme citate (art. 16 e 18) non precludono affatto l’apposizione di un termine iniziale di efficacia ad un accordo negoziale tra privato e PA, limitandosi a stabilire che i contratti a trattativa privata, oltre che nella forma pubblica ammnistrativa disciplinata dall’art. 16 cit., possono essere stipulati anche nelle forme semplificate previste dall’art. 17 del r.d. n° 2440/1923.
Pertanto, volta che sia osservata la forma prevista da tale ultima disposizione, non sembra che la libertà della PA di pattuire liberamente il contenuto delle clausole negoziali (e, dunque, anche di apporre un termine iniziale di efficacia del contratto anteriore alla sua stipula) possa essere limitato dalle disposizioni che disciplinano la forma dei contratti.
Ora, la stipula dei contratti di prestazioni sanitarie tra Aziende sanitarie locali e strutture private è specificamente disciplinata dall’art. 8 -quinquies del d.lgs. n° 502/1992: per cui è a tale disposizione che occorre fare riferimento al fine di verificare se, in
ipotesi, essa preveda un divieto di apporre al contratto tra Asl e struttura privata un termine di efficacia anteriore o, comunque, una clausola che disciplini le prestazioni già in precedenza erogate.
Ebbene, questo divieto non sembra evincibile dal testo di legge, il quale, infatti, si limita a prevede che la regione e le Aziende sanitarie (definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate e) stipulano contratti con quelle private, specificando inoltre che tali negozi devono prevedere, oltre ai requisiti previsti alle lettere da a) a c), anche ‘ d) il corrispettivo preventivato (…) da verificare a consuntivo ‘.
Si tratta, in sostanza, dato il loro contenuto normativamente disciplinato e la loro obbligatorietà, di contratti ‘ imposti ‘, ossia di contratti che rappresentano il risultato finale di un complesso procedimento amministrativo a latere, a formazione necessariamente progressiva.
La verifica ‘ a consuntivo ‘ del rispetto del limite di spesa sostenibile nell’esercizio è dunque rimesso fisiologicamente (in quanto è la stessa legge a prevederlo) ad un momento successivo nel quale le parti concordano il prezzo delle prestazioni complessivamente rese nell’anno di riferimento, verificando in particolare il rispetto del tetto di spesa e l’eventuale necessità di procedere a regressione tariffaria secondo le indicazioni che in genere vengono assunte in una particolare sede, generalmente definita nella legislazione regionale come ‘ tavolo tecnico ‘.
La consustanzialità al sistema della verifica ‘ a consuntivo ‘ del sistema di spesa sanitaria regionale è confermata anche dalla Corte costituzionale, la quale ha osservato che ‘ nel contesto del mercato amministrato delle prestazioni sanitarie, la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio ha carattere fisiologico ‘ (Corte cost. n° 203/2016).
Ne deriva, da un lato, che, se l’operatore prudente e accorto è tenuto a sapere di essere esposto a correttivi dei contenuti economici del contratto imposti in corso d’anno, dall’altro, la variazione dei limiti di spesa e, dunque, della remunerabilità delle prestazioni eseguite è un semplice effetto derivante da una previsione negoziale, che non ha nulla a che vedere con la diversa ipotesi del contratto di diritto privato della PA concluso senza l’osservanza delle forme previste dagli artt. 16 e 18 del r.d. n° 2440/1923.
Peraltro, deve pure osservarsi che nella prassi applicativa le Asl e le strutture private concludono, in qualche caso, il contratto di prestazioni sanitarie prima ancora di sapere con esattezza il limite di remunerabilità delle prestazioni, ma rimettendo, grazie ad una apposita clausola negoziale, la determinazione di tale tetto ad un atto amministrativo successivo, che la struttura privata si obbliga ad osservare in via anticipata.
È evidente che in tale ipotesi si viene ad ottenere il medesimo effetto giuridico della apposizione di un termine di efficacia contrattuale anteriore alla stipula: evenienza che dovrebbe indurre a ritenere che la stipula di un contratto in corso di esercizio non infranga alcuna norma imperativa sulla forma dei contratti tra privati e PA.
Più in generale deve anche aggiungersi che il complesso sistema normativo che disciplina la conclusione dei contratti aventi ad oggetto prestazioni sanitarie e loro remunerazione è deputato non solo all’ottenimento del più alto livello di prestazioni possibili, tenuto conto della spesa sostenibile, ma anche alla verifica del rispetto di tale spesa nel corso del rapporto e, in particolare, al termine dell’esercizio: sicché il divieto di apporre un termine iniziale di efficacia del contratto avrebbe potuto, al più, avere un senso ove da tale previsione negoziale fosse derivato l’obbligo della
PA di remunerare comunque le prestazioni, pregresse o meno, rese anche oltre gli importi preventivati nel bilancio regionale.
Ma, dato che per costante giurisprudenza il limite di spesa è ineludibile e non consente alcuna remunerazione delle prestazioni rese oltre la sua misura ( ex multis : Cass., sez. III, 29 ottobre 2019, n° 27608), è evidente che non vi sia alcun ostacolo ad una previsione negoziale retroattiva, giacché essa dovrebbe comunque esplicare i suoi effetti sempre nell’ambito della spesa ammessa.
Va poi aggiunto che il principio affermato dalla Corte d’appello in subiecta materia sarebbe suscettibile di generalizzazione, implicando, a bene vedere, il generale divieto per la PA di attribuire ai propri negozi iure privatorum un termine iniziale di efficacia o un’efficacia retroattiva: conclusione che si pone in contrasto con precedenti giurisprudenziali di questa Corte (Cass., sez. III, 7 dicembre 2000, n° 15530), con i quali si è affermato, ad esempio in materia locatizia, che la PA, ove sia conduttrice, ben può pattuire in un contratto un termine iniziale di efficacia anteriore alla stipula (o, il che è lo stesso, ‘ attribuire ad esso efficacia retroattiva ‘).
Applicando, poi, il principio predicato dalla Corte territoriale a fattispecie diverse, come a quella giuslavoristica, ne discenderebbe, ad esempio, l’impossibilità di apporre alla transazione o alla rinuncia ex art. 2113 cod. civ., stipulata tra PA e dipendente pubblico, un termine iniziale di efficacia anteriore alla stipula stessa, precludendo in tal modo una gran parte dei possibili accordi tra PA datore e dipendente pubblico.
In conclusione, a meno che non ostino ragioni contabili e, soprattutto, di bilancio -queste sì oggettivamente impeditive di un accordo che determini una maggiore spesa -l’apposizione di un termine iniziale di efficacia ad un contratto della PA, come pure la previsione della sua retroattività, non sono precluse dalle norme sulla forma dei contratti (artt. 16 e 18 citt.), ma unicamente dalla
previsione inderogabile della copertura della spesa, secondo nel norme che riguardano la singola PA contraente.
8 .-All’accoglimento del ricorso, segue la cassazione della sentenza ed il rinvio della causa alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
p.q.m.
la Corte accoglie il primo ed il quinto motivo di ricorso. Dichiara assorbiti i restanti. Cassa e rinvia alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 13 giugno 2025, nella camera di