Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23699 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23699 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 27488-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. COGNOME che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
COGNOME , in persona del sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1869/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata in data 01/04/2020
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato il Comune di Guidonia Montecelio (oggi Città di Guidonia Montecelio) interponeva opposizione avvero il decreto ingiuntivo n. 122/2012, con il quale il Tribunale di Tivoli gli aveva ingiunto di pagare a RAGIONE_SOCIALE la somma di € 204.025,32 a fronte della fornitura di materiale d’ufficio e di attività di assistenza tecnica eseguite nel periodo gennaio 2009 – aprile 2011. L’opponente contestava le fatture sulla base delle quali era stato emesso il provvedimento ingiuntivo, affermando di non aver mai ordinato il materiale e le forniture in esse indicate ed eccependo la mancanza del visto, su di esse, del responsabile del servizio e comunque l’assenza di un contratto scritto e la mancanza di un impegno di spesa nel bilancio comunale. Affermava quindi che, in difetto dei detti ultimi due requisiti, previsti per legge per i contratti con la pubblica amministrazione, l’eventuale obbligazione sarebbe stata assunta personalmente dal funzionario o dirigente che aveva consentito la fornitura, e non dall’ente locale.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE resistendo all’opposizione, evidenziando che diverse fatture precedenti a quelle sulla cui base era stato emesso il decreto opposto erano state pagate dal Comune e che alla consegna della merce le fatture erano state vistate da COGNOME NOMECOGNOME autorizzato al comando con delibera della giunta comunale del 23.9.2011 e che il contratto avente ad oggetto le forniture di assistenza tecnica era stato firmato da COGNOME, dirigente comunale.
Con sentenza n. 1721/2015 il Tribunale accoglieva parzialmente l’opposizione, revocando il decreto opposto e condannando l’ente locale
al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, della minor somma di € 168.000 oltre accessori.
Con la sentenza impugnata, n. 1869/2020, la Corte di Appello di Roma accoglieva il gravame interposto dal Comune di Guidonia Montecelio avverso la decisione di prime cure, rigettando la domanda di pagamento di RAGIONE_SOCIALE e rigettando l’appello incidentale da quest’ultima spiegato. La Corte distrettuale riteneva che le fatture commerciali potessero costituire prova del credito soltanto nella fase monitoria, ma che in sede di opposizione la pretesa creditoria dovesse essere dimostrata nell’ an e nel quantum mediante la dimostrazione dell’esistenza di un rapporto contrattuale e dell’esecuzione delle prestazioni in esso convenute. Evidenziava, poi, che a fronte del rilevante importo economico della fornitura, difettava la prova di un contratto scritto tra le parti; quanto alle forniture di merce, infatti, le determinazioni dirigenziali n. 215 del 24.7.2008 e n. 31 del 6.2.2009 non contenevano alcun accordo negoziale con RAGIONE_SOCIALE, ma soltanto la determinazione dell’impegno di spesa per le voci relative alle forniture di beni e servizi in favore del Comune; quanto invece all’assistenza tecnica, il contratto prodotto da RAGIONE_SOCIALE non era firmato in calce, ma soltanto sul frontespizio, con un timbro non ufficiale dell’ente locale ed una sottoscrizione illeggibile, ed era stato contestato dal Comune, senza che la società ne avesse chiesto il riconoscimento (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata). Il solo elemento di prova idoneo a confermare l’esistenza del credito, quindi, era la testimonianza del COGNOME che non poteva essere ritenuto attendibile in quanto imputato per delitti contro la pubblica amministrazione in associazione con imprenditori, tra i quali anche il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE (cfr. ancora pag. 7 della sentenza).
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione RAGIONE_SOCIALE affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso la Città di Guidonia Montecelio.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la società ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2702 c.c., 115, 116, 214, 215, 216 c.p.c. e 191 T.U.E.L., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non utilizzabili, ai fini della prova dell’esistenza del rapporto di fornitura e della sua esecuzione, il contratto di assistenza tecnica del 29.2.2008, le fatture ed i report comprovanti i servizi assicurati, nonostante detti documenti recassero il visto di un funzionario comunale. Il giudice di appello avrebbe dunque errato nel dar valore, per superare la valenza di scritture private di detti documenti, ad una generica contestazione mossa dall’ente locale.
Con il secondo motivo, invece, la ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 2702, 2727 c.c., 115, 116 c.p.c. e 191 T.U.E.L., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente escluso la sussistenza di un rapporto contrattuale di fornitura di beni e servizi, nonostante la prova dell’accettazione e del pagamento, eseguito dal Comune, di precedenti fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE per prestazioni analoghe a quelle oggetto delle fatture poste a base del decreto ingiuntivo opposto e per non aver rilevato la presenza di indizi univoci e concordanti, idonei ad integrare presunzione ai sensi dell’art. 2727 c.c., quali l’esistenza di un impegno di spesa, l’inclusione di RAGIONE_SOCIALE tra le società fornitrici, i report attestanti l’esecuzione delle prestazioni di assistenza tecnica, il
contratto di assistenza tecnica del 29.2.2008, le fatture e le dichiarazioni testimoniali acquisite nel corso dell’istruttoria esperita in prime cure.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili, in quanto non colgono adeguatamente la ratio della decisione impugnata, rappresentata dalla riscontrata assenza, nel caso di specie, di un contratto scritto, previsto per legge in materia di contrattazione con la pubblica amministrazione. Al riguardo, va evidenziato che la parte ricorrente non svolge alcuna specifica contestazione in relazione al rilievo, operato dal giudice di merito, relativo (appunto) all’assenza del predetto contratto in forma scritta.
La Corte di Appello, al riguardo, ha, da un lato, ravvisato che le determinazioni dirigenziali n. 215 del 24.7.2008 e n. 31 del 6.2.2009, che prevedevano la determinazione dell’impegno di spesa per le voci relative alle forniture di beni e servizi in favore del Comune, non contenessero alcun accordo negoziale con RAGIONE_SOCIALE; e, dall’altro lato, ha evidenziato che il contratto di assistenza tecnica prodotto da RAGIONE_SOCIALE non era firmato in calce, ma solo sul frontespizio, con un timbro non ufficiale dell’ente locale ed una sottoscrizione illeggibile, ed era stato contestato dal Comune, senza che la società ne avesse chiesto il riconoscimento (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
Dalla motivazione resa dalla Corte distrettuale emerge che la contestazione mossa dalla Città di Guidonia Montecelio ai documenti prodotti da RAGIONE_SOCIALE a sostegno della sua pretesa creditoria non era stata affatto generica, ma -al contrario- era circostanziata, e fondata sul decisivo rilievo che le fatture prodotte dalla società erano state vistate da un dipendente comunale (il COGNOME) che era stato imputato per delitti contro la pubblica amministrazione, proprio in concorso, tra gli altri, con il rappresentante legale della presunta
fornitrice (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata): motivo, questo, per il quale la Corte di Appello ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni del teste COGNOME (cfr. pag. 7 della sentenza).
Nel corpo del ricorso, peraltro, vengono riprodotti l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo e la prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c. (cfr. pagg. 12 e ss. del ricorso), dal cui esame emerge la conferma che la contestazione del Comune era stata puntuale e specifica: l’ente locale, infatti, aveva eccepito l’assenza di un impegno di spesa precedente alle fatture poste a base del credito vantato da RAGIONE_SOCIALE, dell’attestazione dell’esistenza della loro copertura finanziaria e di un ordine scritto delle prestazioni indicate in detti documenti; aveva inoltre contestato di aver mai ricevuto dette fatture (cfr. pag. 21 del ricorso); aveva contestato le firme sulle stesse apposte, aveva evidenziato che esse non erano comunque mai state inviate alla ragioneria dell’ente dal responsabile del servizio con il visto di regolarità della fornitura, aveva eccepito che il COGNOME non aveva il potere di firma, non essendo un responsabile del servizio, e che il contratto di fornitura di servizi non era stato sottoscritto se non sul frontespizio (cfr. pag. 22 del ricorso). Quanto sopra conferma l’esistenza di una specifica e puntuale contestazione dell’ente locale, sia in relazione alla validità dei documenti allegati da RAGIONE_SOCIALE, sia quanto al potere di firma del COGNOME, sia quanto alla regolarità formale della procedura in concreto -apparentemente- seguita per la fornitura di cui è causa.
L’affermazione della Corte capitolina, secondo cui ‘Non risponde poi al vero che le firme del consegnatario apposte sulle fatture non fossero anch’esse investite dalla contestazione di tali documenti sulla quale l’opposizione all’ingiunzione si fondava, avendo il Comune addirittura segnalato che nessuna delle fatture poste a fondamento del decreto
ingiuntivo gli fosse mai pervenuta, tanto è vero che le stesse non risultavano neppure protocollate, come d’uso e prassi’ (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata) è dunque corretta, avendo la contestazione dell’ente locale investito la validità probatoria dei documenti prodotti da RAGIONE_SOCIALE sotto ogni profilo, tanto oggettivo che soggettivo.
Gli ulteriori riscontri che la parte ricorrente indica, peraltro genericamente, non sono stati ritenuti sufficienti dalla Corte distrettuale. Nel ricorso, peraltro, vengono riprodotti soltanto un report in data 30.11.2011, indicante ‘1 servizio di assistenza tecnica’ (cfr. pag. 26), la fattura n. 106 del 2.2.2009, per € 3.721,42 recante una firma illeggibile (cfr. pag. 27) e la fattura n. 432 del 9.4.2009, per € 16.800 essa pure recante una firma illeggibile (cfr. pag. 28) ed il contratto di assistenza tecnica, firmato solo sulla prima pagina e non invece sulla seconda, recante la specificazione del contenuto negoziale dell’accordo (cfr. pag. 33 e s. del ricorso). Detti documenti, oltre a non poter essere considerati equipollenti ad un contratto che necessariamente deve rivestire forma scritta, non sono comunque stati ritenuti sufficienti, dal giudice di merito, per superare le specifiche contestazioni che erano state mosse, alla pretesa creditoria, da parte del Comune di Guidonia Montecelio.
Del pari irrilevanti, ai fini della prova del rapporto negoziale ipotizzato da RAGIONE_SOCIALE, è il fatto che precedenti fatture sarebbero state pagate dall’ente locale senza contestazione, poiché esse non sono quelle poste a base del decreto ingiuntivo opposto. In assenza di idonea dimostrazione che l’oggetto di quelle fatture fosse identico, o analogo, a quello delle fatture sulle quali si fonda il credito oggi in discussione, la circostanza che le prime siano state onorate non consente di affermare, come sembra sostenere la società ricorrente, che le seconde possano far prova nei confronti dell’ente locale. Il richiamo, peraltro, al
principio secondo cui le fatture costituiscono prova nei rapporti tra imprenditori, contenuto a pag. 36 del ricorso), non è pertinente, sia perché il principio opera in danno, e non a favore, del soggetto che le abbia emesse, sia perché, in ogni caso, la Città di Guidonia Montecelio non ha la qualifica di imprenditore.
Le richiamate considerazioni evidenziano altresì l’irrilevanza, ai fini della prova del rapporto negoziale, degli estratti conto riprodotti dal ricorrente (cfr. pagg. 37 e ss. del ricordo), appunto perché non pertinenti alle fatture poste a base del credito oggetto di contestazione.
Fermo restando che la riproduzione di documenti nel corpo del ricorso non attribuisce alla Corte di Cassazione il potere di valutarne l’efficacia probatoria in relazione alla pretesa dedotta dalla parte ricorrente nel giudizio di merito, ma soltanto di verificare se essi siano stati considerati dal giudice di merito ai fini della decisione della causa, va osservato che nessuno dei documenti riprodotti nel corpo dei primi due motivi del ricorso evidenzia l’esistenza di un travisamento delle prova da parte della Corte distrettuale, posto che le lacune formali evidenziate da quest’ultima trovano conferma nell’esame diretto dei documenti, consentito al collegio grazie alla loro riproduzione, da parte del ricorrente, nel corpo del suo atto di impugnazione.
Neppure si configura alcuna violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dovendosi ribadire, al riguardo, che ‘In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia
attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01). Mentre, con riferimento alla deduzione relativa alla violazione dell’art. 116 c.p.c., va ribadito che ‘In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa- secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02; conf. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021, Rv. 661360). Nel caso di specie, nessuna delle suindicate ipotesi ricorre, non avendo il giudice di merito pronunciato sulla base di prove non introdotte dalle parti, né attribuito ad alcune delle prove una valenza o una forza diversa da quella prevista dalla legge, ma semplicemente operato una complessiva valutazione delle risultanze del compendio istruttorio.
Con il terzo motivo, la società ricorrente contesta la nullità della sentenza per apparenza della motivazione e la violazione dell’art. 132 c.p.c. e violazione dell’art. 191 T.U.E.L., in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte capitolina avrebbe omesso di considerare, nell’ambito della motivazione resa, la valenza probatoria delle fatture non contestate, e pagate, dall’ente locale e le risultanze delle deposizioni testimoniali dei testi COGNOME, COGNOME e COGNOME, nonché di ravvisare gli estremi per l’accoglimento della domanda subordinata di indebito arricchimento.
Con il quarto motivo, inoltre, la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., e violazione dell’art. 191 T.U.E.L., perché la Corte territoriale avrebbe trascurato di tener conto delle risultanze della prova documentale e delle testimonianze COGNOME, COGNOME e COGNOME, nonché degli ulteriori riscontri a sostegno dell’effettiva esecuzione delle prestazioni oggetto delle fatture poste a base del decreto ingiuntivo opposto, anche in relazione alla domanda subordinata di indebito arricchimento.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono infondate.
Va innanzitutto ribadito che la mancata contestazione di fatture diverse da quelle poste a base del decreto ingiuntivo opposto non spiega alcun effetto in relazione alla prova dell’ an e del quantum della pretesa creditoria di cui si discute nel presente giudizio. Sotto questo profilo, possono richiamarsi le considerazioni già espresse in occasione della confutazione dei primi due motivi.
Inoltre, va evidenziato che non è vero che la Corte di Appello non abbia considerato le dichiarazioni dei testi escussi in prime cure. In relazione alla deposizione del COGNOME, già si è detto che il giudice di merito l’ ha ritenuta, a ragione, irrilevante a cagione della ravvisata inattendibilità del testimone. Le deposizioni COGNOME e COGNOME, invece, sono state prese in esame dalla Corte distrettuale, la quale ha dato atto che i dipendenti di RAGIONE_SOCIALE escussi a testimoni avevano affermato che gli ordini venivano impartiti telefonicamente (cfr. pagg. 6 e 7 della
sentenza impugnata), in tal modo confermando l’assenza di ordinativi scritti da parte dell’ente locale. Le deposizioni dei testi di cui si discute, peraltro, sono riprodotte alle pagg. 44 e 54 del ricorso e non sono decisive ai fini della prova del credito vantato da RAGIONE_SOCIALE, posto che la COGNOME -qualificatasi segretaria dipendente di RAGIONE_SOCIALE– ha dichiarato ‘… non mi ricordo se ho ricevuto io direttamente gli ordini di cui alle fatture che mi si mostrano, ma in genere sono io che rispondo al telefono e prendo gli ordini; varie volte mi sono interfacciata con il COGNOME …’ mentre il teste COGNOME -qualificatosi tecnico dipendente di RAGIONE_SOCIALE– ha dichiarato di aver consegnato le fatture e la merce al COGNOME, che aveva controllato lo scarico e firmato i documenti. Nessuna di tali deposizioni, dunque, risulta decisiva ai fini della prova dell’ an del credito di cui si discute.
Al riguardo, peraltro, va ribadito che ‘Tutti i contratti stipulati dalla pubblica amministrazione (anche quando essa agisca iure privatorum) richiedono la forma scritta ad substantiam, non rilevando a tal fine la deliberazione dell’organo collegiale dell’ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico, dell’appalto o della fornitura, ove tale deliberazione (costituente mero atto interno e preparatorio del negozio, avente come destinatario l’organo legittimato ad esprimerne la volontà all’esterno) non risulti essersi tradotta in un atto, sottoscritto da entrambi i contraenti, da cui possa desumersi la concreta sistemazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da eseguirsi e al compenso da corrispondersi; né, peraltro, per la conclusione del contratto ha rilevanza la sottoscrizione in calce alla delibera ‘per accettazione” da parte del privato, non potendosi ravvisare in detto atto gli estremi di una proposta contrattuale. Pertanto il contratto privo della forma richiesta ad substantiam è nullo ed insuscettibile di qualsivoglia forma di
sanatoria’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15488 del 06/12/2001, Rv. 550945; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 59 del 03/01/2001, Rv. 542937; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7422 del 21/05/2002, Rv. 554575; cass. Sez. 2, Sentenza n. 17891 del 25/11/2003, Rv. 568421; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17890 del 04/09/2004, Rv. 576707; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18561 del 15/09/2004, Rv. 577108; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19070 del 05/09/2006, Rv. 591895).
Da quanto precede deriva che, in assenza di contratto scritto, o, quanto meno, di ordini scritti, la prova della consegna della merce ordinata dal COGNOME, e del fatto che costui abbia firmato le fatture corrispondenti alle forniture ricevute, non è efficace ai fini della dimostrazione dell’esistenza di un rapporto negoziale impegnativo per la P.A. Correttamente, dunque, la Corte di Appello ha trascurato di dar rilievo alla deposizione COGNOME, esercitando, al riguardo, la facoltà, riconosciuta al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, di valutare le risultanze dei documenti e delle deposizioni testimoniali, anche ai fini dell’attendibilità dei testi e della credibilità di alcuni invece che di altri, e di scegliere, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, senza altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo egli tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendosi ritenere implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
Né assumono rilievo le determinazioni dirigenziali riportate a pagg. 47 e 48 del ricorso, che da un lato non sostituiscono il contratto, e dall’altro contengono il solo impegno di spesa per le forniture di beni e servizi del genere di quella di cui si discute.
Infine, va anche rilevato che l’assenza dei requisiti formali per la validità dei contratti degli enti pubblici locali, con particolare riferimento alla copertura finanziaria, che costituisce condizione di efficacia del negozio ed esige, oltre all’indicazione del capitolo di bilancio impegnato, anche il visto di regolarità contabile rilasciato dal responsabile del servizio finanziario, atta a garantire l’effettiva disponibilità di denaro nel capitolo di bilancio dedicato, è rilevabile d’ufficio come eccezione in senso lato (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29828 del 27/10/2023, Rv. 669307).
Con il quinto ed ultimo motivo, la società ricorrente lamenta la nullità della sentenza e del procedimento, nonché la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte del gravame avrebbe rigettato l’appello incidentale spiegato da RAGIONE_SOCIALE senza fornire alcuna motivazione al riguardo.
La censura è infondata.
Dalla sentenza impugnata risulta che effettivamente RAGIONE_SOCIALE aveva proposto appello incidentale, invocando sia la conferma del decreto opposto, che, in subordine, la condanna dell’ente pubblico a titolo di indebito arricchimento, ai sensi dell’art. 2041 c.c. (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata, che riporta le conclusioni rassegnate in appello dalla società odierna ricorrente). La Corte distrettuale, dopo aver accolto l’appello principale dell’ente locale, non ha esaminato funditus quello incidentale, limitandosi a rigettarlo nel dispositivo.
Tale statuizione è giustificata, quanto alla domanda proposta in tesi da RAGIONE_SOCIALE perché la conferma del decreto opposto, invocata dall’appellante incidentale, è evidentemente incompatibile con l’accoglimento del gravame principale spiegato dalla Città di Guidonia Montecelio.
Con riferimento, invece, alla domanda subordinata di arricchimento senza causa, occorre evidenziare che la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in difetto di un contratto scritto idoneo ad impegnare la pubblica amministrazione nei confronti del privato, deve comunque essere indagata la sussistenza di una utilitas della prestazione in favore dell’ente (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14099 del 27/07/2004, Rv. 574984; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5179 del 12/05/1995, Rv. 492229) è stata recentemente superata da un diverso orientamento, secondo cui ‘In tema di fornitura e servizi prestati in favore degli enti locali senza l’osservanza del procedimento contabile previsto per l’assunzione di obbligazioni vincolanti per l’ente locale, ai sensi dell’art.23, comma 4, del D. L. n. 66 del 1989, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 144 del 1989, sostituito dall’art. 35, comma 4, del D. Lgs. n. 77 del 1995, poi modificato dall’art. 4 del D. Lgs. n. 342 del 1997, ed infine trasfuso nell’art. 191 del D. Lgs. n. 267 del 2000, il contraente privato fornitore non è legittimato a proporre l’azione diretta di indebito arricchimento verso l’ente pubblico per difetto del requisito di sussidiarietà mentre può esercitare l’azione ex art. 2041 c.c. nei confronti dello stesso ente utendo iuribus dell’ amministratore suo debitore, agendo in via surrogatoria ex art. 2900 c.c. (contestualmente alla ed indipendentemente dalla) iniziativa nei confronti dell’amministratore onde assicurare e conservare le proprie ragioni quando il patrimonio di quest’ultimo non offra adeguate garanzie. In tal caso, il privato contraente ha l’onere di provare il fatto
oggettivo dell’arricchimento in correlazione con il depauperamento dell’amministratore, senza che l’ente possa opporre il mancato riconoscimento della utilitas, salva la possibilità per l’ente medesimo di dimostrare che l’arricchimento sia stato non voluto, non consapevole o imposto’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5665 del 02/03/2021, Rv. 660732). Ancor più di recente, questa Corte ha affermato che ‘L’azione diretta del fornitore nei confronti dell’amministratore o funzionario che, ai sensi dell’art. 191, comma 4, T.U.E.L., abbia consentito l’acquisizione di beni o servizi, può essere esperita unicamente quando la delibera comunale sia priva dell’impegno contabile e della sua registrazione sul competente capitolo di bilancio e non anche quando tali requisiti siano stati rispettati, ma il contratto concluso con l’ente locale sia invalido per difetto di forma scritta, non potendo operare, in ipotesi di invalidità negoziale, il meccanismo di sostituzione nel rapporto obbligatorio previsto dalle legge. Ne consegue che, in tali ipotesi, il fornitore potrà promuovere l’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti dell’ente comunale, nella ricorrenza dei presupposti di legge’ (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5480 del 29/02/2024, Rv. 670225).
In ogni caso, tuttavia, il presupposto di fatto per l’eventuale accoglimento di una domanda di arricchimento senza causa è la dimostrazione dell’effettivo svolgimento della prestazione, cosa che, nel caso specifico, la Corte di Appello ha espressamente escluso, affermando che la società odierna ricorrente non aveva fornito adeguata prova di aver eseguito le forniture oggetto di causa. Il difetto del predetto requisito fondamentale giustifica la reiezione dell’appello incidentale anche nella parte in cui esso riproponeva la domanda di arricchimento senza causa di cui si discute.
In definitiva, vanno dichiarati inammissibili i primi due motivi, rigettati gli altri.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.200, di cui € 200 per esborsi, oltre iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda