Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19733 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19733 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18504/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE DI SALERNO, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 403/2020 depositata il 20/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Centro di riabilitazione RAGIONE_SOCIALE, dopo aver premesso di essere una struttura accreditata con il Servizio Sanitario Nazionale per la branca di assistenza riabilitativa e FKT e di vantare crediti nei confronti della ASL SA 1 per competenze relative al periodo dal 2003 al 2007 nella complessiva misura di € 7.554.096,94 (cui dovevano essere aggiunti adeguamenti ISTAT e addizionali contrattuali per un totale di € 13.815.772,95); di non essere riuscita ad ottenere il pagamento nonostante i solleciti, le diffide e l’avvio di procedure esecutive; di aver così subìto un grave danno economico, sia per aver dovuto fare ricorso al credito bancario per poter far fronte alle spese correnti ed evitare uno stato di decozione, sia in conseguenza di un pignoramento, da parte di Equitalia spa, delle somme depositate sui propri correnti; tutto ciò premesso, ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore la ASL SA 1 per sentirla condannare al risarcimento ex art. 1224 cc di tutti i danni lamentati, da specificare meglio in corso di causa, ovvero in quella somma maggiore o minore che il Giudice avesse ritenuto di liquidare, maggiorati di rivalutazione monetaria e di interessi ex d.lgs n. 231/02.
Il Tribunale, con sentenza depositata il 27/07/2011, ha condannato la ASL SA 1 (d’ora in poi ASL) al pagamento in favore del Centro Lars della complessiva somma di € 6.351.824,00, oltre accessori.
La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza n. 403/2020, depositata il 20.4.2020, ha accolto l’appello dell’ASL sul rilievo assorbente della questione, rilevata d’ufficio, della mancata
dimostrazione della stipula degli accordi contrattuali tra la società appellata e lo stesso ASL per gli anni 2003-2005.
Il Centro COGNOME aveva, infatti, offerto prova della stipula dei contratti per i soli anni 2006 e 2007, senza, tuttavia, dimostrare l’ammontare del credito vantato nei confronti della ASL, sia a titolo di corrispettivo per le prestazioni erogate in quegli anni, sia a titolo risarcitorio, per la necessità di far ricorso, per quel periodo, al prestito bancario per far fronte alla carenza di liquidità conseguente al mancato incasso.
Inoltre, al fine di determinare il danno, non poteva neppure attingersi dalla CTU espletata in primo grado, atteso che, al di là del fatto che l’ausiliario aveva effettuato un’analisi del periodo 2003/2007 considerato complessivamente, dalla relazione non era dato comunque evincere con certezza il nesso di causalità tra l’inadempimento della ASL ed il ricorso al credito bancario, ovvero la dimostrazione che l’eventuale pagamento tempestivo avrebbe evitato al Centro Lars di indebitarsi con le banche.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi.
L’ASL ha resistito in giudizio con controricorso.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 8 quinquies D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, integrato dall’art. 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 Violazione e falsa applicazione del D. Lgs. n.229/99 – Violazione delle norme in materia di responsabilità e inadempimento contrattuale. Erronea valutazione operata dalla Corte di Appello di Salerno delle violazioni di cui sopra in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’.
Espone la ricorrente che la mancata sottoscrizione dei contratti individuali negli anni 2003, 2004 e 2005 non è stato il frutto di una
volontà imprenditoriale di sottrarsi ad un obbligo di legge, essendo unicamente dipesa da una politica gestionale dell’Amministrazione che ha posto in essere una condotta antigiuridica in aperta violazione degli obblighi di legge, rendendo impossibile la tutela dei diritti dei centri accreditati.
La ricorrente, pertanto, afferma che anche in assenza di un contratto scritto ad substantiam per il triennio in oggetto, esistevano comunque degli accordi contrattuali ‘non scritti’ tra le parti che, ogni caso, hanno prodotto degli effetti che, in ogni caso, vanno fatti salvi.
2. Il motivo non è fondato.
Costituisce principio consolidato ultraventennale di questa Corte quello per cui i contratti con la pubblica amministrazione devono essere stipulati per iscritto a pena di nullità (Cass., 4 giugno 1999, n. 5448), non essendo consentita neppure alcuna eventuale convalida o ratifica successiva (Cass., 3 gennaio 2001, n. 59).
Si è ritenuto, in particolare, che, soprattutto in presenza di accordi specifici complessi con la pubblica amministrazione, la forma scritta sia assolutamente necessaria, «soprattutto al fine di rendere possibili i controlli istituzionali dell’autorità tutoria» (Cass., 3 gennaio 2001, n. 59, in tema di appalto pubblico; Cass., sez. 2, 30 maggio 2002, n. 7913, in tema di conferimento di incarichi a professionista; di recente Cass., sez. 2, 27 marzo 2023, n. 8574).
La forma scritta, allora, va vista come strumento indefettibile di garanzia del regolare svolgimento dell’attività negoziale della PA, sia nell’interesse dei cittadini, in quanto costituisce remora ad arbitri, sia nell’interesse della stessa amministrazione, in quanto agevola l’espletamento della funzione di controllo e la concreta osservanza dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione (Cass., sez. 1, 12 luglio 2001, n. 9428; anche Cass., sez. 3, 24 giugno 2002, n. 9165).
Per tali contratti, allora, non solo deve escludersi che la manifestazione di volontà delle parti possa essere implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi (Cass., sez. 3, 3 agosto 2002, n. 11649), ma deve ritenersi che, salvo le ipotesi in cui specifiche norme lo consentano, il contratto deve essere consacrato in un unico documento nel quale siano specificamente indicate le clausole disciplinanti rapporto. La volontà della PA di concludere il negozio deve essere manifestata alla controparte dall’organo rappresentativo esterno dell’ente, che è il solo abilitato a stipulare in nome e per conto di questo, e ad essere perciò munito dei poteri necessari per vincolare l’amministrazione per la quale si obbliga (Cass. n. 59 del 2001, cit.; anche Cass., sez. 2, 6 dicembre 2001, n. 15488).
Il contratto privo della forma scritta ad substantiam è nullo ed insuscettibile di qualsiasi forma di sanatoria, dovendosi, quindi, escludere l’attribuzione di rilevanza ad eventuali convalida o ratifica successive e non potendosi neppure ammettere la validità di manifestazioni di volontà implicita o desumibile da comportamenti puramente attuativi (Cass., sez. 3, 15 marzo 2004, n. 5234).
3. Con il secondo motivo è stata dedotta ‘Erronea valutazione, da parte della Corte di Appello, della risultanze della c.t.u. espletata nel corso del giudizio di primo grado -Divieto di fondare la decisione su prove reputate assenti ma in realtà offerte – Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4 del c.p.c.’.
Contesta la ricorrente l’affermazione del giudice d’appello secondo cui non era stata fornita prova del nesso di causalità tra l’inadempimento della ASL ed il ricorso al credito bancario e che, conseguentemente, l’eventuale pagamento tempestivo avrebbe evitato al Centro Lars di indebitarsi con le banche.
Sostiene, in particolare, che tale danno era in re ipsa, essendo l’ASL l’unico suo cliente e tutto ciò era risultato sia dai libri contabili che dall’espletata consulenza tecnico – contabile.
L’ASL aveva la possibilità di provare che il Centro Lars non avesse subìto un maggior danno o che lo avesse subìto in misura inferiore in relazione al meno remunerativo uso che avrebbe fatto della somma dovuta se gli fosse stata tempestivamente versata.
Infine, le conclusioni cui era pervenuto il CTU erano state integralmente condivise dal giudice di primo grado nell’assenza di qualsiasi contestazione, eccezione, e/o osservazione da parte dell’ASL. Peraltro, il CTU aveva eseguito l’analisi in maniera assai analitica e dettagliata così da consentire una compiuta ed approfondita disamina per singolo esercizio.
Il motivo presenta concomitanti profili di inammissibilità ed infondatezza.
Va, in primo luogo, osservato che, a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 19499/2008, l’orientamento di questa Corte è sempre stato costante nell’affermare che ‘ Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, cod. civ. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà
l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale’.
Ciò premesso, le censure con cui la ricorrente contesta la valutazione del giudice d’appello in ordine alla sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta della P.A. ed il danno lamentato, si configurano, oltre che palesemente infondate nella parte in cui ha invocato il danno ‘in re ipsa’, anche di puro merito, e, come tali inammissibili, essendo finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti ed una non consentita rivisitazione del materiale probatorio rispetto a quelle operate dal giudice d’appello. Parimenti inammissibile, anche per la sua estrema genericità, è l’affermazione della ricorrente secondo cui – diversamente da quanto ritenuto dal giudice d’appello, secondo cui l’ausiliario del giudice aveva effettuato un’analisi complessiva del periodo 2003 -2007, senza poter quindi scorporare gli anni 2006-2007 (gli unici in cui risultava sottoscritto il contratto con la P.A.) – il CTU aveva eseguito l’analisi in maniera assai analitica e dettagliata così da consentire una compiuta ed approfondita disamina per singolo esercizio.
Infine, è, altresì, inammissibile è la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. (principio di non contestazione). Sul punto, questa Corte ha più volte affermato che, in virtù del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla
trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare, atteso che l’onere di specifica contestazione, ad opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova (cfr. Cass. n. 20637/2016; vedi anche Cass. 10761/2022).
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in € 10.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte sia della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma in data 13.6.2025