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Contratti pubblica amministrazione: forma e limiti

Una società termale ha citato in giudizio un’Azienda Sanitaria Locale per ottenere il pagamento di differenze tariffarie relative a prestazioni erogate sulla base di un’intesa, ma in assenza di un contratto scritto. La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei gradi precedenti, ha respinto il ricorso. È stato ribadito il principio fondamentale secondo cui i contratti con la pubblica amministrazione richiedono la forma scritta a pena di nullità, non essendo sufficienti accordi verbali o comportamenti concludenti. La Corte ha inoltre rigettato la richiesta subordinata di indennizzo per arricchimento senza giusta causa, chiarendo che tale rimedio copre solo il danno emergente (la perdita effettiva) e non il lucro cessante (il mancato guadagno), e che l’onere di provare tale danno spetta a chi agisce in giudizio.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contratti con la Pubblica Amministrazione: la Forma Scritta è un Baluardo Invalicabile

I contratti con la pubblica amministrazione rappresentano un’area del diritto dove il formalismo non è un vezzo, ma una garanzia fondamentale di trasparenza e legalità. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ribadisce con forza un principio cardine: senza un contratto scritto, qualsiasi prestazione resa a un ente pubblico rischia di non essere riconosciuta, nemmeno sotto forma di indennizzo per mancato guadagno. La decisione analizza il caso di una società che, pur avendo operato sulla base di un’intesa generale, si è vista negare le proprie pretese economiche per la mancanza di un accordo formalizzato.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore termale erogava prestazioni in favore degli utenti di un’Azienda Sanitaria Locale. Anni dopo, la società richiedeva un adeguamento tariffario per i servizi resi, basando la sua pretesa su un'”Intesa” a livello nazionale e regionale che stanziava fondi specifici. L’Azienda Sanitaria si opponeva, e la società otteneva un decreto ingiuntivo. Nel successivo giudizio di opposizione, sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione all’ente pubblico, revocando il decreto. La questione è quindi approdata dinanzi alla Corte di Cassazione, con la società che insisteva sul proprio diritto al pagamento, in via principale in forza del rapporto esistente e, in subordine, a titolo di arricchimento senza giusta causa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società su tutta la linea, confermando le sentenze precedenti. I giudici hanno smontato le argomentazioni della ricorrente, ribadendo due principi giuridici fondamentali e interconnessi: l’inderogabilità della forma scritta per i contratti con la pubblica amministrazione e i limiti rigorosi dell’azione di arricchimento senza giusta causa.

Le Motivazioni della Sentenza

Il Principio della Forma Scritta nei Contratti Pubblica Amministrazione

Il motivo principale del rigetto risiede in una regola consolidata: i contratti stipulati dagli enti pubblici devono, a pena di nullità, essere redatti in forma scritta. Questa non è una mera formalità burocratica, ma un requisito posto a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, come sancito dall’art. 97 della Costituzione. La forma scritta permette di identificare con certezza il contenuto delle obbligazioni, la copertura finanziaria e di assoggettare l’atto ai necessari controlli.

La Corte ha specificato che non è ammissibile il perfezionamento di un accordo con la P.A. sulla base di comportamenti concludenti, manifestazioni di volontà implicite o accordi verbali. L'”Intesa” richiamata dalla società, pur essendo stata recepita a livello regionale, non poteva sostituire un vero e proprio contratto tra la società stessa e l’Azienda Sanitaria. L’assenza di tale atto formale rende nullo qualsiasi vincolo negoziale e, di conseguenza, inesigibile il credito vantato.

L’Azione di Arricchimento Senza Giusta Causa: Non Copre il Mancato Guadagno

La società aveva anche avanzato una richiesta subordinata, basata sull’art. 2041 c.c., sostenendo che l’Azienda Sanitaria si fosse comunque arricchita ingiustamente a suo danno. Anche questa via è stata sbarrata dalla Corte.

Richiamando l’orientamento consolidato delle Sezioni Unite, i giudici hanno chiarito che l’indennizzo per arricchimento senza giusta causa è limitato alla minor somma tra l’arricchimento dell’ente e l’impoverimento del privato. Crucialmente, l’impoverimento indennizzabile corrisponde solo al cosiddetto danno emergente, ovvero la perdita patrimoniale effettiva subita (es. costi vivi sostenuti e non coperti), con esclusione del lucro cessante, cioè il mancato guadagno che il privato avrebbe realizzato se il contratto fosse stato valido ed efficace.

Nel caso di specie, la società richiedeva le “differenze tariffarie”, che per loro natura rappresentano una componente del profitto atteso. Poiché la società non ha allegato né provato di aver subito perdite secche non coperte dai pagamenti già ricevuti, la sua domanda non poteva essere accolta.

L’Onere della Prova e la Soccombenza

Infine, la Corte ha respinto la doglianza relativa alla presunta errata ripartizione dell’onere della prova e alla compensazione delle spese. Era onere della società dimostrare l’esistenza e l’ammontare del danno emergente. Non avendolo fatto, la sua richiesta è stata correttamente respinta. Inoltre, non si poteva parlare di soccombenza reciproca solo perché una delle eccezioni preliminari dell’Azienda Sanitaria (la prescrizione) era stata rigettata. La società era risultata integralmente soccombente nel merito di entrambe le sue domande (principale e subordinata), e quindi è stata giustamente condannata al pagamento di tutte le spese processuali.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame lancia un messaggio inequivocabile a tutte le imprese che si rapportano con il settore pubblico: la prudenza e il rigore formale sono essenziali. Qualsiasi prestazione di beni o servizi a un ente pubblico deve essere preceduta dalla stipula di un contratto scritto, valido ed efficace. Agire sulla base di rassicurazioni verbali, intese programmatiche o prassi consolidate espone a rischi enormi, poiché in assenza di un contratto formale, il diritto al corrispettivo è nullo. Anche il paracadute dell’azione di arricchimento senza giusta causa offre una tutela molto limitata, circoscritta al solo rimborso dei costi vivi effettivamente sostenuti e provati, escludendo qualsiasi margine di profitto.

Un accordo verbale o un’intesa generale sono sufficienti per un contratto con la Pubblica Amministrazione?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che i contratti con gli enti pubblici richiedono la forma scritta a pena di nullità. Accordi basati su comportamenti concludenti o intese generali non sono sufficienti a creare un vincolo contrattuale valido.

Se un contratto con la P.A. è nullo, si può chiedere un indennizzo per arricchimento senza giusta causa?
Sì, ma con limiti precisi. L’indennizzo è calcolato nei limiti della diminuzione patrimoniale subita e copre unicamente il danno emergente (la perdita patrimoniale effettiva), escludendo espressamente il lucro cessante (il mancato guadagno che si sarebbe ottenuto con un contratto valido).

Chi deve provare il danno in un’azione di arricchimento contro la P.A.?
L’onere della prova incombe sulla parte che si ritiene impoverita. Quest’ultima deve dimostrare non solo l’arricchimento della controparte, ma anche la sussistenza e l’esatta consistenza della propria perdita patrimoniale, intesa come danno emergente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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