Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26187 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 26187 Anno 2025
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24839-2024 proposto da:
ARAGIONE_SOCIALE PUGLIA – Agenzia Regionale per le attività Irrigue e Forestali in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale PEC come da registri di giustizia della stesso;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME con domicilio digitale PEC come da registri di giustizia degli stessi;
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE;
Oggetto
NOME
–
Contratti
somministrazione
a
tempo
detrminato.
R.G.N. 24839/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 09/09/2025
CC
– intimata –
avverso la sentenza n. 280/2024 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 15/05/2024 R.G.N. 1113/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/09/2025 dal Consigliere Dott.ssa NOME COGNOME.
FATTI di CAUSA
1.La Corte di Appello di Lecce confermava la sentenza del Tribunale della medesima città di condanna dell’ARIF (Agenzia Regionale Attività Irrigue e Forestali) al pagamento, in favore di COGNOME NOME di una indennità omnicomprensiva corrispondente a sei mensilit à dell’ultima retribuzione di riferimento.
1.1. La sentenza del Tribunale, confermata in seconde cure, accertato che il ricorrente aveva lavorato dal 1.7.2014 al 30.6.2016, alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE, ente pubblico non economico, in forza di contratti di somministrazione a tempo determinato più volte prorogati, dichiarava inammissibile per decadenza l’azione ex art. 39 d.lgs. n. 81 del 2015 con riguardo ai contratti conclusi dal 1.7.2014 al 30.6.2016, e accoglieva, invece, la domanda diretta alla declaratoria della nullità dei contratti stipulati dal 25.6.2015, in ragione della mancanza della valutazione dei ri schi prevista dall’art. 32 d.lgs. n. 81 del 2015, nonché -sulla base dei principi di diritto enunziati dalla Corte di Giustizia con sentenza n. 14.10.2020 nella causa C-681/2018 -per difetto del requisito della temporaneità, stante l’impiego del ricorrente in plurime missioni successive presso lo stesso utilizzatore (ARIF Appunto) per un periodo di due anni, senza che fosse stata fornita da quest’ultimo alcuna ‘spiegazione oggettiva’, con conseguente condanna del predetto utilizzatore al pagamento del risarcimento del danno, di cui innanzi si è
ricordata la quantificazione. Veniva ritenuta insussistente, invece, la responsabilità solidale di RAGIONE_SOCIALE in quanto, ai sensi dell’art. 39 d.lgs. n. 18 del 2025 , il risarcimento grava in capo al datore di lavoro, utilizzatore.
RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione, articolato in due motivi ed assistito da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
Resisteva, con controricorso, il lavoratore indicato in epigrafe.
MOTIVI della DECISIONE
Con il primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 32, lett. d, del d.lgs. n. 81 del 2015, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Sostiene il ricorrente in cassazione che, in applicazione dell’art. 2697 c.c. , l’onere probatorio, nella specie dell’omessa predisposizione del documento di valutazione dei rischi (DVR) da parte del datore, è a carico del lavoratore ricorrente che non l’ha assolto, nemmeno avendo richiesto a differenza di quanto affermato dalla Corte Territoriale -l’ammissione dell’interrogatorio formale e l’ordine di esibizione del DVR.
1.2. Il primo mezzo è inammissibile.
L’accoglimento del ricorso da parte del giudice di primo grado è giustificato, secondo quanto puntualmente emerge dalla lettura della sentenza impugnata ( cfr. pag. 2), da ll’accertamento della nullità dei contratti di somministrazione derivante non solo dalla mancata adozione del documento di valutazione dei rischi, ma anche dalla mancanza del requisito della temporaneità stante l’impiego del lavoratore in plurime missioni, senza alcuna ‘spiegazione obiettiva’.
Ebbene, i motivi di appello, secondo quanto emerge dalla lettura della sentenza di appello, si incentravano esclusivamente: a) sull’individuazione del soggetto tenuto al pagamento del risarcimento, assumendosi che a tanto fosse tenuta la RAGIONE_SOCIALE, vero datore ed unico soggetto tenuto ad adempiere all’obbligo formativo, essendo, invece, l’ARIF mero utilizzatore, negata altresì l’applicabilità alla P.A. degli artt. 19, 23 e 24 d.lgs. n. 81 del 2015; b) sull’erroneità dell’applicazione, nel caso d i specie, dell’art. 36, comma 5, d.lgs. n. 165 del 2001, sostenendosi che detta norma preveda la risarcibilità del danno non come conseguenza della perdita del posto di lavoro, ma della prestazione di lavoro in violazione di norme imperative o, al più, quale risarcimento da perdita di chance , ipotesi, tutte, che, nel caso di specie, mancherebbero.
1.3. Il motivo di ricorso in cassazione, come anticipato, è dunque inammissibile, perché non tiene conto affatto che è maturato il giudicato interno sull’accertamento della nullità dei contratti di somministrazione, ancorato -come si è innanzi evidenziato – ad una duplicità di rationes, quindi, oltre che su ll’omessa predisposizione del DVR anche sulla violazione del principio della temporaneità e della necessaria ‘spiegazione oggettiva’ .
Infatti, nella sentenza di appello (cfr. pag. 3) si dà atto che ‘ va premessa la formazione del giudicato interno sul rigetto della domanda di costituzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sull’inammissibilità dell’azione ex art. 39 d.lgs. n. 81 del 2015 nella parte in cui era diretta alla declaratoria di nullità dei contratti stipulati anteriormente al 25.6.2015, nonché sugli altri vizi denunziati dal ricorrente’.
È evidente, quindi, che la mancata censura in appello della ratio decidendi connessa alla mancanza di temporaneità e di ragioni obiettive ha determinato la maturazione del giudicato interno sulla nullità dei contratti di somministrazione a termine qui in rilievo.
In disparte l’inammissibilità del motivo per la ragione innanzi enucleata, non va sottaciuto che la doglianza è comunque altresì infondata, incombendo all’ARIF , a differenza di quanto sostenuto nella censura, dimostrare di aver adottato il documento di valutazione dei rischi in applicazione dei principi già affermati da questa S.C., cui questo Collegio presta piena adesione, in Cass. n. 21418/2016 e prima ancora in Cass. n. 5241/2012, quale corollario di quanto già precisato nella storica Sez. U. n. 13533 del 2001.
Quanto innanzi osservato rende irrilevanti le ulteriori deduzioni svolte nel mezzo, con riguardo alla dedotta richiesta di mezzi di prova sul punto da parte del dipendente. 2. Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., è denunziata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; la violazione del principio di rispondenza tra chiesto e pronunziato, nonché degli artt. 32 e 39 d.lgs. n. 81 del 2015 e dell’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001.
L’ARIF sostiene che il lavoratore non ha giammai invocato la violazione dell’art. 32 del d.lgs. n. 81 del 2015, deducendo la nullità del contratto di somministrazione stante la mancata predisposizione del documento di valutazione dei rischi, né ha mai invocato la violazione delle norme imperative di cui all’art. 36, comma 5, d.lgs. n. 165 del 2001, ai fini del riconoscimento dell’indennità già prevista dall’art. 32, comma 5, d.lgs. n. 183 del 2012. A tanto aggiunge che il
dipendente nemmeno ha lamentato o provato l’abusiva successione dei contratti a termine, di modo che è violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato.
2.1. Il motivo è inammissibile, per le stesse ragioni enunziate al punto 1.1.
È infatti caduto il giudicato sulla nullità dei contratti di somministrazione per difetto di temporaneità e ragioni obiettive, cui non poteva che seguire (vista la domanda di risarcimento del danno proposto dal dipendente) la condanna, peraltro nella specie effettuata in armonia con l’insegnamento della S.C. (cfr. Cass. n. 446 del 2021). Né rileva che la richiesta risarcitoria sia stata avanzata richiamando una norma diversa (o alcuna norma), tanto perché l’individuazione del dato normativo di riferimento, ai fini di cui innanzi, individuata l’ipotesi di responsabilità, in conformità con le allegazioni del ricorso, resta di competenza del giudice.
Conclusivamente il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con distrazione in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari NOME COGNOME ed NOME COGNOME
5 . Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate in € 200,00 per esborsi, €. 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, con distrazione in favore degli avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione
Lavoro il 9.9.2025.
La Presidente NOME COGNOME