Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12829 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 12829 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 17815-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3624/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/10/2019 R.G.N. 1166/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/03/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
Contratti di collaborazione
continuativa e coordinata con ente pubblico
Subordinazione
Esclusione
R.G.N. 17815/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 06/03/2024
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da COGNOME NOME contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 8753/2016, che aveva respinto il suo ricorso nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, volto ad ottenere -in relazione ai dieci diversi contratti (taluni prorogati) intercorsi tra le parti in periodo compreso tra l’1.6.2005 e il 31.12.2014, tutti qualificati di ‘collaborazione coordinata e continuativa’ -l’accertamen to della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con inquadramento nel livello D del CCNL del personale del RAGIONE_SOCIALE a decorrere dall’1.6.2005, e la condanna dell’istituto convenuto alla riammissione in servizio della lavoratrice ed al pagamento della retribuzione mensile di € 1.980,13 per 13 mensilità, nonché alla ricostruzione della carriera con il pagamento delle differenze retributive di cui agli allegati conteggi, e, in subordine rispetto alla riammissione in servizio, la condanna dell’IFO al risarcimento del danno da liquidarsi in € 42.902,81 o nella diversa somma ritenuta di giustizia ed al pagamento di tutte le differenze retributive di cui al conteggio in atti, con riserva di quantificare le competenze di fine rapporto.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale riteneva anzitutto, in base alle disposizioni considerate, che l’illegittimità dei contratti di collaborazione stipulati con la pubblica amministrazione non poteva determinare la trasformazione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Quanto alle censure della lavoratrice appellante, relative all’omesso rilievo della violazione dell’art. 7, comma 6,
d.lgs. 165/2001, considerava la Corte che comunque, anche a voler ritenere la illegittimità degli incarichi e l’espletamento delle prestazioni anche negli intervalli fra un contratto e l’altro, non poteva essere dichiarata la sussistenza di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra le parti, né disposta la riammissione in servizio della lavoratrice, ostandovi sempre la previsione di cui all’art. 36 dello stesso d.lgs. n. 165/2001.
Nondimeno, riteneva che ricorreva la necessità di verificare se il rapporto di lavoro per cui è processo, a prescindere dalla regolarità contrattuale e dalla continuità dello stesso anche nei periodi non coperti da contratto, si fosse svolto con le forme della subordinazione, anche al fine di verificare la fondatezza delle domande di condanna al pagamento delle differenze retributive e di regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale della lavoratrice, che avrebbero potuto comunque trovare accoglimento ai sensi dell’art. 2126 c.c.
4.1. E, in tale ottica, riconsiderate in particolare le deposizioni testimoniali assunte in prime cure, giungeva alla conclusione che, a prescindere dalle effettive mansioni espletate, doveva escludersi che le stesse fossero state espletate con il vincolo della subordinazione.
Avverso tale decisione, COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’istituto intimato ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un primo articolato motivo la ricorrente ex art. 360 n. 3) c.p.c. denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 del D.P.R. n. 617/1980, dell’art. 8 del D.lgs. n. 269/1993, dell’art. 11, comma 2, del D.lgs. n. 288/2003, dell’articolo unico, comma 11, della L. n. 311/2004, dell’art. 1, comma 9, L. n. 266/2005, dell’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, degli artt. 2094, 2126, 2222 e 2229 del Codice Civil e, nonché degli artt. 16 e 17 del R.D. n. 2440/1923’.
1.1. In relazione al primo contratto del 29.7.2005, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello, pur statuendo che esso e i successivi non fossero sussumibili nella disciplina di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001, giacché ‘… nella vigenza del testo or iginario dell’art. 7 del d.lgs. n. 165 2001 (…) i contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati dalla P.RAGIONE_SOCIALE. non risultavano disciplinati esplicitamente, essendo detta norma riferibile alle sole prestazioni rese da esperti di comprovata esp erienza’, né tanto meno nel d.lgs. n. 276/2003 ‘per l’esclusione contenuta nell’art. 1, comma 2’, ha omesso di accertare che la norma, espressamente richiamata dagli I.F.O. per disciplinare (e, dunque, per rendere legittimo) l’incarico a lei affidato, vale a dire, l’art. 36 del d.P.R. n. 617/1980, era in realtà già stata abrogata dall’art. 8 del d.lgs. n. 269/1993 e, dunque, ben prima della stipula di quel primo contratto. Secondo la ricorrente, quindi, la Corte d’appello è incorsa in violazione e/o falsa applicazione di legge, giacché ha statuito la legittimità di detto incarico di collaborazione (dal 01/06/2005 al 31/05/2006), ritenendo applicabile la disciplina di una norma non più in vigore, già abrogata al momento della stipula inter partes di detto contratto di collaborazione.
1.2. Con riferimento al co.co.co. relativo al periodo dal 15/06/2006 al 31/05/2007, secondo la ricorrente, la Corte d’appello è incorsa in violazione e/o falsa applicazione degli artt. 16 e 17 del R.D. n. 2440/1923, nonché dell’art. 2697 c.c., avendo statu ito la legittimità dell’incarico di collaborazione conferito alla ricorrente, pur difettando la prova della forma scritta espressamente prevista dalla legge quale condizione di validità del rapporto contrattuale.
1.3. Con riferimento all’incarico di collaborazione relativo al periodo dal 15/06/2007 al 15/05/2008, per la ricorrente, la Corte d’appello di Roma è incorsa in violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 288/2003, espressamente richiamato dagli I.F.O. per legittimare il ricorso a detta tipologia contrattuale.
1.4. Tanto, secondo la ricorrente, valeva anche per i successivi incarichi di collaborazione a lei affidati in relazione ai periodi dal 1° luglio 2008 al 15 maggio 2009, poi prorogato fino al 31 maggio 2009; dal 1° luglio 2009 al 30 settembre 2009 e dal 1° aprile 2010 al 31 maggio 2010, poi prorogato fino al 31 agosto 2010; tutti contratti stipulati ai sensi dell’art. 11, comma 2, d.lgs. n. 288/2003.
1.5. Pure i contratti per i periodi: a) dal 01.01.2011 al 31.12.2011; b) dal 16.2.012 al 15.01.2013, con proroga fino al 30.04.2013; c) dal 01.07.2013 al 31.10.2013; erano stati tutti stipulati ai sensi dell’art. 11, comma 2, d.lgs. n. 288/2003.
1.6. Infine, la Corte d’appello era incorsa in violazione e/o falsa applicazione di legge anche con riferimento all’ultimo contratto di collaborazione sottoscritto dalla ricorrente in
relazione al periodo dall’1.6.2014 al 30.11.2014, prorogato fino al 31.12.2014.
Con un secondo motivo ex art. 360 n. 5) c.p.c. denuncia ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione agli artt. 2094 e 2126 cod. civ. e agli artt. 115 e 116 c.p.c.’. Secondo la ricor rente la Corte d’appello aveva ‘omesso di esaminare fatti decisivi ai fini della decisione della controversia (tutti forniti di prova documentale) giacché, se attentamente scrutinati, essi avrebbero senz’altro indotto il Giudice del gravame a ritenere accertato, nella fattispecie, il vincolo della subordinazione ex art. 2094 c.c., ai fini dell’art. 2126 c.c.’.
Con il terzo motivo ex art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. denuncia ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, 7, 35 e 36 del D.lgs. n. 165/2001, dell’art. 32, comma 5, L. n. 183/2010, nonché degli artt. 2094 e 2697 c.c.’. La ricorrente censura la se ntenza d’appello anche in relazione al punto in cui è stato disconosciuto lo svolgimento di fatto di una prestazione di lavoro in regime di subordinazione in esecuzione di tutti i richiamati contratti di collaborazione coordinata e continuativa, negando in tal modo alla lavoratrice la tutela risarcitoria in conseguenza della illegittimità dei plurimi contratti di collaborazione e della loro abusiva reiterazione nel corso del tempo, essendo la Corte d’appello incorsa in violazione e/o falsa applicazione degli articoli in rubrica indicati.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Tale censura, infatti, non coglie l’effettiva ratio decidendi della Corte territoriale, là dove vi si assume che essa
avrebbe ritenuto la legittimità di tutti gli incarichi di collaborazione.
5.1. Così non è. La Corte di merito ha piuttosto ritenuto, come già premesso in narrativa, che, anche a voler ritenere l’illegittimità e l’espletamento delle prestazioni pure negli intervalli fra un contratto e l’altro, non poteva essere dichiarata la sussistenza di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra le parti, né disposta la riammissione in servizio della lavoratrice, ostandovi la previsione di cui a ll’art. 36 d.lgs. n. 165/2001.
Indi, dopo aver richiamato Cass., 8.5.2018, n. 10951 e Cass. 19.11.2018, n. 29779, ha comunque ritenuto la necessità di verificare se il rapporto di lavoro oggetto di causa, a prescindere dalla regolarità contrattuale e dalla continuità dello stesso anche nei periodi non coperti da contratto, si fosse svolto con le forme della subordinazione; verifica reputata appunto necessaria anche al fine di valutare la fondatezza delle domande di condanna al pagamento delle differenze retributive e di regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale della lavoratrice che potrebbero comunque trovare accoglimento ai sensi dell’art. 2126 c.c.
E detta verifica, nella specie, la Corte di merito ha operato, come pure accennato in narrativa, ma con esito negativo quanto alla ricorrenza dei caratteri della subordinazione nelle prestazioni rese dalla lavoratrice nei rapporti intercorsi tra le parti.
Pertanto, la decisione sul punto risulta conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale in tema di pubblico impiego privatizzato, qualora la p.a. faccia ricorso a
successivi contratti formalmente qualificati di collaborazione coordinata e continuativa e il lavoratore ne alleghi l’illegittimità anche sotto il profilo del carattere abusivo della reiterazione del termine, il giudice è tenuto ad accertare se di fatto si sia instaurato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e a riconoscere al lavoratore, in assenza dei presupposti richiesti dalla legge per la reiterazione, il risarcimento del danno, alle condizioni e nei limiti necessari a conformare l’ordinamento interno al diritto dell’Unione europea (così Cass. n. 10951/2018, richiamata dalla Corte distrettuale, e in termini, tra le altre, id., sez. lav., 24.2.2022, n. 6129 e id., sez. lav., 13.2.2023, n. 4360).
7. Inammissibile è il secondo motivo.
8. Per questa Corte, infatti, ricorre l’ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (in tal senso, ex multis , Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).
E’ stato, inoltre, specificato che, nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dal quinto comma dell’articolo 348 -ter del c.p.c., il ricorrente per cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’articolo 360 del c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo
grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (così, tra le altre, Cass. civ., sez. II, 14.12.2021, n. 39910; id., sez. III; 3.11.2021, n. 31312; id., sez. III, 9.11.2020, n. 24974).
8.1. Nel caso in esame, la sentenza di secondo grado e quella che ha definito il primo grado sono del tutto conformi.
8.2. Ebbene, la ricorrente neanche ha allegato se ed in che parti le motivazioni delle due sentenze in questione fossero significativamente difformi.
E’ infine inammissibile il terzo motivo.
Secondo questa Corte, la valutazione circa la sussistenza degli elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato costituisce un accertamento di fatto, rispetto al quale il sindacato della Corte di cassazione è equiparabile al più generale sindacato sul ricorso al ragionamento presuntivo da parte del giudice di merito; pertanto, il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo è censurabile ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. solo per ciò che riguarda l’individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, per come tipizzati dall’art. 2094 c.c., mentre è sindacabile nei limiti ammessi dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. allorché si proponga di criticare il ragionamento (necessariamente presuntivo) concernente la scelta e la ponderazione degli elementi di fatto, altrimenti denominati indici o criteri sussidiari di subordinazione, che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (in tal senso Cass., sez. lav., 21.7.2022, n. 22846).
Nella specie, come si è visto, è stata censurata l’impugnata sentenza ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. nel secondo motivo di ricorso, ma in modo inammissibile, stante la preclusione di cui s’è detto in presenza di c.d. ‘doppia conforme’.
Nell’ambito del terzo motivo, formulato esclusivamente in relazione al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., è anche denunciata la violazione dell’art. 2094 c.c., ma la ricorrente non specifica quali caratteri identificativi del lavoro subordinato, come tipizzati in tale disposizione, non sarebbero stati considerati o sarebbero stati erroneamente individuati.
Tanto è stato, piuttosto, fatto nello sviluppo del secondo motivo (cfr. in particolare, pagg. 32-33); tuttavia, la ricorrente non tiene conto che la Corte di merito, prima di rivalutare le deposizioni testimoniali assunte in prime cure, aveva dedicato estesa parte della propria motivazione circa i principi di diritto cui aveva inteso conformarsi sul tema dell’accert amento dell’esistenza di fatto di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti (cfr. pagg. 6-8 della sua sentenza).
Nel terzo motivo, del resto, si lamenta in particolare la negazione della tutela risarcitoria in conseguenza dell’illegittimità dei plurimi contratti di collaborazione e della loro abusiva reiterazione nel corso del tempo.
Ma, in base all’orientamento espresso nel precedente § 6 di questa motivazione, cui la Corte territoriale ha fatto espresso riferimento, detta tutela compete al lavoratore quando sia accertato anzitutto che di fatto si sia instaurato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; e, come
già detto, la stessa Corte, in base ad accertamento fattuale e valutazione delle prove assunte che devono rimanere fermi, ha escluso la ricorrenza nella specie dei caratteri della subordinazione.
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 6.3.2024.