Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6302 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6302 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/03/2025
Oggetto: contratti bancari
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2016/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi da ll’ avv. NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., rappresentata dalla RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE rappresentata dalla Banca Finanziaria s.p.a., a sua volta rappresentata dalla RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
– interventore avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 13914/2019, depositata
il 2 luglio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Roma, depositata il 2 luglio 2019, e oggetto di appello dichiarato dalla Corte d’appello di Roma inammissibile ai sensi degli artt. 348bis e 348ter cod. proc. civ., che: ha respinto le loro domande, avanzate quali fideiussori della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, di accertamento della nullità del contratto di finanziamento da quest’ultima concluso con la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. per usurarietà degli interessi e della nullità del contratto di conto corrente concluso tra le medesime parti per indeterminatezza delle condizioni economiche, con conseguente accertamento del saldo con epurazione delle poste illegittimamente annotate a debito, ordine alla banca di correggere le relative segnalazioni presenti nella Centrale dei Rischi e condanna della banca medesima al risarcimento dei danni; in accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata dalla banca, li ha condannati al pagamento in favore di quest’ultima della somma di euro 74.167,98, oltre interessi convenzionali , quale saldo risultante dall’esecuzione dei menzionati rapporti;
il Tribunale ha osservato che il tasso degli interessi corrispettivi e moratori pattuiti con riferimento al contratto di finanziamento non superavano le soglie previste dai decreti emanati in attuazione della l. 7 marzo 1996, n. 108, applicabili al momento della conclusione del contratto, e che erano infondate le prospettate nullità del contratto di conto corrente, avuto riguardo, in particolare, alla puntuale indicazione del tasso di interesse applicabile, alla legittimità della clausola contenente la capitalizzazione degli interessi e all ‘assenza di elementi a sostegno dell’allegata invalidità della fideiussione per violazione della
disciplina antitrust, atteso che la relativa documentazione era stata prodotta solo con le memorie conclusionali e, dunque, tardivamente, e per violazione dell’art. 1956 cod. civ ., proposta tardivamente;
ha, invece, ritenuto fondata la domanda riconvenzionale della banca, condannando gli attori al pagamento del saldo dei rapporti, respingendo, tuttavia, la richiesta formulata ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ.;
il ricorso è affidato a otto motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE quale mandataria con rappresentanza della Banca Nazionale del Lavoro s.p.a.;
interviene nel presente giudizio di legittimità , ai sensi dell’art. 111 cod. proc. civ. la RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria della Banca Finanziaria s.p.a., a sua volta mandataria della RAGIONE_SOCIALE, allegando la cessione del credito controverso in favore di quest’ultima;
CONSIDERATO CHE:
-va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità dell’intervento spiegato nel presente giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE, attraverso la RAGIONE_SOCIALE, quale successore a titolo particolare della Banca Nazionale del Lavoro s.p.a.;
infatti, il successore a titolo particolare nel diritto controverso può tempestivamente impugnare per cassazione la sentenza di merito, ma non anche intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa riguardante la disciplina di quell’autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione al giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che sono quelle che hanno partecipato al giudizio di merito, benché la sentenza spiegherà comunque i suoi effetti nei suoi confronti (cfr. Cass. 13 giugno 2024, n. 16526; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987);
la facoltà di intervento del successore a titolo particolare va riconosciuta nella sola ipotesi in cui il dante causa non si sia costituito
nel giudizio di legittimità, determinandosi, in difetto, un’ingiustificata lesione del suo diritto di difesa, ma tale ipotesi non ricorre nel caso in esame;
nel merito, con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 119 t.u.b. e 61, 187, 191, 210 e 263 cod. proc. civ., per aver la sentenza impugnata disatteso la richiesta di emanare un ordine di esibizione della documentazione relativa ai rapporti dedotti in giudizio, benché tale documentazione fosse stata già richiesta alla banca ex art. 119 t.u.b., e di disporre una consulenza tecnica d’ufficio di natura contabile;
il motivo è inammissibile;
in generale, l’ ordine di esibizione costituisce uno strumento istruttorio residuale, che può essere utilizzato soltanto in caso di impossibilità di acquisire la prova dei fatti con altri mezzi e non per supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio a carico dell’istante, e che è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione per violazione di norma di diritto (cfr. Cass. 3 novembre 2021, n. 31251; Cass. 8 ottobre 2021, n. 27412; Cass. 1° aprile 2019, n.9020);
con particolare riferimento al diritto spettante al cliente di ottenere copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall’articolo 119, quarto comma, t.u.b., questo può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l’istanza di cui all’articolo 210 cod. proc. civ., in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca e quest’ultima, senza giustificazione, non abbia ottemperato (cfr. Cass. 31 marzo 2023, n. 9082; Cass. 1° agosto 2022, n. 23861; Cass. 13 settembre 2021, n. 24641);
sul punto, parte ricorrente si è limitata ad allegare in modo generico
sia l’avvenuta richiesta inoltrata alla banca ai sensi dell’art. 119, quarto comma, t.u.b., sia la richiesta al giudice di emanare il relativo ordine di esibizione, senza offrire alcun elemento a sostegno di aver presentato una siffatta istanza al giudice e di aver rappresentato al medesimo l’avvenuta richiesta alla banca ex art. 119, quarto comma, t.u..b. e la mancata evasione della stessa nel termine (di novanta giorni) previsto da tale disposizione;
in relazione a tale profilo, dunque, la doglianza si presenta priva della necessaria autosufficienza;
-in relazione, invece, al mancato svolgimento dell’indagine consulenziale, si osserva che il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, per cui non può essere sindacato per violazione o falsa violazione di legge (cfr. Cass. 4 luglio 2024, n. 18299; Cass. 13 gennaio 2020, n. 326; Cass. 21 aprile 2010, n. 9461; Cass. 5 luglio 2007, n. 15219);
con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 1815 cod. civ., 644 cod. pen. e 1 l.n. 108 del 1996, per aver il Tribunale proceduto alla valutazione del rispetto del tasso soglia fissato nel decreto del Ministro applicabile ratione temporis prendendo separatamente in esame il tasso corrispettivo e il tasso moratorio e non il complessivo valore risultante dalla valutazione globale degli stessi;
– il motivo è infondato;
questa Corte ha autorevolmente affermato con la sentenza, resa a Sezioni Unite, del 18 settembre 2020, n. 19597, che la disciplina antiusura, essendo volta a sanzionare la promessa di qualsivoglia somma usuraria dovuta in relazione al contratto, si applica anche agli interessi moratori, non essendo di ostacolo la loro mancata ricomprensione nell’ambito del Tasso effettivo globale medio (T.e.g.m.) individuato nei decreti ministeriali di cui all’art. 2, primo comma, l.n.
108 del 1996, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali;
ha, tuttavia, osservato che l’art. 1815, secondo comma, cod. civ., secondo cui «Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi», deve interpretarsi nel senso che alla pattuizione di interessi usurari non segue la sanzione della non debenza di qualsiasi interesse, ma solo quella della non debenza di quel tipo di interessi che ha superato la relativa soglia;
pertanto, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, ai fini dell’accertamento della usurarietà degli interessi pattuiti, in relazione al superamento delle soglie previste nei decreti emanati in attuazione della l.n. 108 del 1996, non è corretto procedere alla cd. sommatoria degli interessi corrispettivi con quelli moratori, ma occorre procedere a valutazioni separate, una relativa ai primi e una relativa ai secondi, così come condivisibilmente ritenuto dal Tribunale;
con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 1284, 1325, 1346 e 1418 cod. civ. e 116 e 117 t.u.b. e delle delibere C.I.C.R. 9 febbraio 2000 e 4 marzo 2003, per aver la sentenza impugnata disatteso la domanda di nullità del contratto di finanziamento per indeterminatezza della clausola relativa gli interessi sul fondamento che fosse indicato l’ammortamento operato;
sostengono che, in realtà, tale affermazione è erronea e che in nessuna clausola contrattuale è esplicitato che il piano di rimborso era costruito secondo il regime dell’ammortamento alla francese;
il motivo è inammissibile;
la doglianza si risolve in una critica alla valutazione delle risultanze probatorie effettuata dal giudice di merito che investe un accertamento rimesso alla sua discrezionalità e, in quanto tale, non può essere censurato per cassazione sotto il paradigma della violazione e falsa applicazione della legge (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n.
34476);
con il quarto motivo criticano la sentenza del Tribunale per violazione e falsa applicazione delle medesime disposizioni normative indicate nel terzo motivo in relazione alla mancata pattuizione nel contratto di finanziamento dei criteri di determinazione degli interessi dovuti evidenziando che il mero riferimento alla indicazione del tasso cd. Euribor non era sufficiente;
il motivo è inammissibile;
-il giudice capitolino ha, sul punto, respinto la deduzione di indeterminatezza degli interessi indicati nel contratto di finanziamento in ragione del fatto che in tale contratto era espressamente indicata sia la fonte da cui trarre l’indice Euribor (il quotidiano «Il Sole 24 Ore»), sia la modalità di calcolo, ancorata alla media relativa al mese in cui il finanziamento era stato erogato, sia la tipologia dell’ammortamento operato;
anche in questo caso la censura si risolve in una critica alla valutazione degli elementi probatori effettuata dal giudice -in particolare, dell’interpretazione della clausola contrattuale e dell’individuazione del contenuto della stessa che è a lui riservata;
con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1815 cod. civ., 644 cod. pen. e 1 l.n. 108 del 1996, per aver il Tribunale ritenuto che, con riferimento al rapporto di conto corrente, non era configurabile la dedotta usura sopravvenuta in quanto non era rilevante la diminuzione del tasso soglia intervenuta nel corso del rapporto, senza accertare se nel caso in esame non si fosse invece in presenza di una variazione del tasso disposta unilateralmente dalla banca;
il motivo è inammissibile;
esso, infatti, investe una questione, concernente il superamento del tasso soglia durante lo svolgimento del rapporto dipendente dall’innalzamento dei tassi di interessi applicati per effetto dell’esercizio
dello jus variandi della banca, che non risulta essere stata trattata dal Tribunale;
in una siffatta evenienza è onere della parte ricorrente allegare la avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, onde consentire a questa Corte di poter verificare l’ammissibilità delle censure, sotto il profilo dell’assenza di novit à, oltre che la sua fondatezza, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di merito (cfr. Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);
infatti, non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimità le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito, né rilevabili di ufficio (cfr. Cass. 25 ottobre 2017, n. 25319; Cass. 9 luglio 2013, n. 17041; Cass. 30 marzo 2007, n. 7981), posto che il giudizio di cassazione ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo e alle questioni di diritto proposte (così, anche, Cass. 26 marzo 2012, n. 4787);
con il sesto motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1283 cod. civ. e 120 t.u.b., nella parte in cui ha ritenuto legittima la clausola del contratto di conto corrente che prevedeva capitalizzazione degli interessi;
evidenziano che il mero rispetto della cd. condizioni di reciprocità nella capitalizzazione degli interessi non era sufficiente a consentire il riconoscimento della liceità della relativa clausola:
il motivo è inammissibile;
-l’art. 120, secondo comma, t.u.b., nella formulazione introdotto dall’art. 25 d.lgs. 1999, n. 342, prevede che «Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia
assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori»;
è stato, quindi, modificato dall’art. 1, comma 629, l. 2013, n. 147, il quale ha sostituito l’originario testo con il seguente: «Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale»;
-l’art. 31 d.l. 2014, n. 91, ha inciso nuovamente il testo normativo, disponendo, tra l’altro, che il CICR stabilisse «modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi» e prevedendo che fino a tale intervento continuasse ad applicarsi la delibera del CICR del 9 febbraio 2000 (la delibera che aveva dato attuazione all’art. 120, comma 2, per come modificato dal d.lgs. n. 342 del 1999);
l’art. 31 del d.l.
in sede di conversione, ad opera della l. n. 116/2014, n. 91 del 2014 è stato però soppresso;
infine, l’art. 120 t.u.b. è sta to modificato dal l’art. 17 -bis d.l. n. 18 del 2016, inserito in sede di conversione dalla l. n. 49 del 2016, prevedendo, quanto alla lett. b), che «gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale»;
il 3 agosto 2016 è stata emanata la delibera del CICR attuativa di questa nuova disciplina legislativa;
la riferita evoluzione del quadro normativo in materia va interpretata nel senso che per effetto dell’art. 1, comma 628, l.n. 147 del 2013, a decorrere dal 1° dicembre 2014 non è possibile procedere
all’applicazione dell’anatocismo sino ad allora legittima alle condizioni previste dalla delibera CICR del 9 febbraio 2000 -e ciò indipendentemente dal momento in cui il CICR ha emanato la relativa delibera prevista da tale norma (così, Cass. 30 luglio 2024, n. 21344); – i ricorrenti omettono di indicare la data di chiusura del conto corrente
-in particolare, se la stessa è successiva al 1° dicembre 2014 -e conseguentemente l’avvenuta applicazione di interessi anatocistici per il periodo successivo a tale data, non consentendo a questa Corte di valutare la concludenza della doglianza;
con il settimo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia in ordine alla domanda di accertamento della illegittima applicazione di commissioni di massimo scoperto e spese;
il motivo è infondato;
il Tribunale ha ritenuto che le condizioni economiche applicate erano determinate per iscritto e da ciò (anche) ha fatto discendere l’infondatezza delle contestazioni mosse da gli attori;
in tal modo, si è pronunciato sula questione interessata dalla censura, ritenendola priva di pregio;
-con l’ultimo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1421 e 2697 cod. civ. e 101 e 115 cod. proc. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che l’eccezione di nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust non fosse rilevabile d’ufficio e omesso di considerare che i provvedimenti dell’Autorità Garante che accertano siffatte violazioni rientrano nell’ambito del cd. fatto notorio ;
il motivo è inammissibile;
la doglianza non coglie la ratio decidendi che non risiede nella impossibilità per il giudice di rilevare d’ufficio la nullità affermazione espressa limitatamente all ‘eccezione di liberazione del fideiussore prospettata ai sensi dell’art. 1956 cod. civ. quanto nella tardività della
produzione in giudizio del documento della Banca d’Italia che ha accertato la condotta contraria alla disciplina antitrust;
sotto altro profilo, si osserva che la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. può configurarsi solo quando il giudice abbia fatto positivamente ricorso al fatto notorio, deducendo che abbia posto a base della decisione una inesatta nozione del notorio, e non anche ove non abbia ritenuto che il fatto allegato presenti tali caratteristiche, venendo in tal caso la censura ad incidere su una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass. 20 febbraio 2020, n. 4428; Cass. 20 marzo 2019, n. 7726);
per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 5.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 14 febbraio 2025.