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Contratti a termine stagionali: quando sono legittimi?

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di contratti a termine successivi che superano i 36 mesi per un’attività di ristorazione, qualificandola come stagionale. La decisione chiarisce che l’onere di provare la natura stagionale spetta al datore di lavoro, il quale può utilizzare come prova le comunicazioni agli enti pubblici e i contratti collettivi. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso del lavoratore, che mirava a una nuova valutazione dei fatti, convalidando così i contratti a termine stagionali stipulati.

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Contratti a termine stagionali: quando sono legittimi?

La disciplina dei contratti a tempo determinato prevede limiti precisi per tutelare i lavoratori dalla precarietà. Tuttavia, esistono eccezioni importanti, come quella per le attività stagionali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su come un’azienda possa dimostrare la natura della propria attività e sulla legittimità dei contratti a termine stagionali anche quando la loro successione superi i limiti di durata generali. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Lunga Successione di Contratti

Il caso ha origine dalla domanda di un lavoratore, impiegato come cuoco presso una società di ristorazione situata in una località balneare. Il lavoratore era stato assunto con una serie di contratti a tempo determinato la cui durata complessiva aveva superato il limite di 36 mesi previsto dalla legge. Per questo motivo, aveva richiesto al Tribunale la conversione del suo rapporto di lavoro in un contratto a tempo indeterminato.

La società datrice di lavoro si è difesa sostenendo che la propria attività avesse carattere stagionale. Il ristorante, infatti, era aperto tutti i giorni da maggio a settembre, ma solo nei fine settimana e nei giorni festivi durante il resto dell’anno, rispettando i periodi di inattività previsti per le attività stagionali. Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello hanno dato ragione all’azienda, respingendo la domanda del lavoratore. Quest’ultimo ha quindi deciso di presentare ricorso alla Corte di Cassazione.

La Questione della Stagionalità e i Contratti a Termine

La legge consente di derogare ai limiti di durata e al numero di proroghe dei contratti a termine per le cosiddette “attività stagionali”. Ma cosa si intende esattamente con questo termine? Un’attività è stagionale non solo quando presenta picchi di lavoro in certi periodi dell’anno, ma quando la sua operatività è intrinsecamente legata all’alternarsi delle stagioni per fattori climatici o consuetudini sociali. La ristorazione in una località turistica balneare è un classico esempio.

Il punto cruciale della controversia era stabilire chi dovesse provare la natura stagionale dell’attività e con quali mezzi. Su questo si è concentrata l’analisi della Suprema Corte.

L’onere della prova a carico del datore di lavoro

La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: spetta al datore di lavoro dimostrare la sussistenza dei presupposti che giustificano l’eccezione alla disciplina generale. In altre parole, l’azienda doveva provare in modo convincente che la sua attività di ristorazione era effettivamente stagionale.

Il ruolo delle comunicazioni agli enti e della contrattazione collettiva

Nel caso specifico, l’azienda ha fornito prove documentali decisive. In particolare, ha presentato le comunicazioni inviate al Comune e allo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP) relative ai periodi di apertura, chiusura e sospensione stagionale dell’esercizio. Questi documenti attestavano il rispetto dei periodi di inattività richiesti dalla normativa per qualificare un’attività come stagionale (un periodo di inattività non inferiore a 70 giorni continuativi o 120 giorni non continuativi nell’anno solare).

Inoltre, la Corte ha dato rilievo al fatto che la mansione di cuoco, svolta dal lavoratore, fosse espressamente inserita tra quelle a “vocazione stagionale” all’interno del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del settore Pubblici Esercizi.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del lavoratore inammissibile. I giudici hanno ritenuto che le censure mosse dal lavoratore non riguardassero una violazione di legge, ma mirassero a ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove e dei fatti, un’attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

Secondo la Corte, i giudici di merito avevano correttamente valutato le prove fornite dal datore di lavoro, considerandole sufficienti a dimostrare la stagionalità dell’attività. Le comunicazioni agli enti pubblici e la classificazione del CCNL costituivano elementi solidi. Il riferimento alla notorietà dell’aumento del flusso turistico nella località balneare durante l’estate è stato considerato solo un elemento a supporto, non la prova principale. Una volta che l’azienda ha assolto al proprio onere probatorio, sarebbe spettato al lavoratore dimostrare il contrario, cioè che il ristorante operava di fatto per tutto l’anno, cosa che non è avvenuta con prove specifiche.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza offre importanti indicazioni pratiche per datori di lavoro e lavoratori nel settore turistico e in altri ambiti caratterizzati da stagionalità:

1. Onere della Prova: Per i datori di lavoro, è fondamentale conservare e poter produrre documentazione ufficiale (come le comunicazioni al SUAP) che attesti i periodi di inattività, in modo da poter legittimamente applicare la disciplina dei contratti a termine stagionali.
2. Valore del CCNL: La classificazione delle mansioni all’interno dei contratti collettivi come stagionali costituisce un forte elemento a sostegno della tesi aziendale.
3. Limiti del Giudizio di Cassazione: Per i lavoratori, la sentenza ricorda che il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per rimettere in discussione l’apprezzamento dei fatti operato dai giudici di primo e secondo grado, ma solo per denunciare specifiche violazioni di legge o vizi procedurali.

Chi deve dimostrare che un’attività lavorativa è stagionale?
Secondo la Corte, l’onere di provare la natura stagionale dell’attività, che giustifica l’applicazione di norme speciali sui contratti a termine, spetta interamente al datore di lavoro.

Quali prove può usare un’azienda per dimostrare la stagionalità della sua attività?
L’azienda può utilizzare prove documentali come le comunicazioni ufficiali inviate agli enti pubblici (ad esempio, Comune e SUAP) relative ai periodi di apertura e chiusura. Inoltre, è rilevante la classificazione delle mansioni come stagionali nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di settore.

È sufficiente che un’attività abbia dei picchi di lavoro in certi periodi per essere considerata stagionale?
No. La Corte chiarisce che per essere definita ‘stagionale’, un’attività deve essere intrinsecamente connessa all’alternarsi delle stagioni, e non semplicemente presentare ‘punte’ di maggiore intensità in determinati periodi dell’anno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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