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Contratti a termine stagionali: limiti e tutele

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26199/2024, ha chiarito i limiti all’utilizzo dei contratti a termine stagionali da parte di un ente pubblico agricolo. La Corte ha stabilito che la nozione di “stagionalità” deve essere interpretata in modo rigoroso, escludendo le attività che rispondono a esigenze operative permanenti. È stato ribadito che l’onere di provare la natura esclusivamente stagionale delle mansioni svolte dal lavoratore grava sul datore di lavoro. La sentenza di appello, che aveva dato ragione all’ente, è stata cassata con rinvio.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contratti a termine stagionali: la Cassazione fissa i paletti per il settore pubblico

L’uso dei contratti a termine stagionali rappresenta uno strumento flessibile per le aziende, specialmente in settori come l’agricoltura, ma il suo utilizzo deve rispettare precisi limiti per non sfociare in abuso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali su questo tema, con particolare riferimento agli enti pubblici non economici che operano nel settore agricolo.

I Fatti del Caso

Un lavoratore agricolo aveva prestato servizio per un Ente di Sviluppo Agricolo attraverso una serie di contratti a tempo determinato, reiterati nel tempo. Ritenendo che tale prassi mascherasse un’esigenza lavorativa stabile e non meramente stagionale, il lavoratore ha citato in giudizio l’ente per ottenere il risarcimento del danno derivante dall’abusiva reiterazione dei contratti.

Il Tribunale di primo grado ha dato ragione al lavoratore. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, accogliendo le tesi dell’ente. Il caso è quindi giunto all’esame della Corte di Cassazione su ricorso del lavoratore.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto le ragioni del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un nuovo esame. La decisione si fonda su un’analisi rigorosa della normativa che disciplina i contratti a termine e la loro applicazione nel contesto specifico di un datore di lavoro pubblico non qualificabile come ‘imprenditore agricolo’.

Limiti all’abuso dei contratti a termine stagionali

Il cuore della pronuncia risiede nell’interpretazione del concetto di ‘stagionalità’. La Corte ha specificato che non tutte le attività svolte nel settore agricolo possono essere considerate stagionali. La deroga che consente di superare i limiti di durata massima dei contratti a termine si applica solo a quelle attività che sono strettamente legate a una determinata stagione e che non rispondono a esigenze operative permanenti dell’ente.

La Corte ha chiarito che attività come la custodia, la manutenzione e riparazione dei macchinari, o la preparazione per la nuova stagione, pur essendo essenziali, rappresentano necessità che proseguono per tutto l’anno. Di conseguenza, i lavoratori stabilmente adibiti a tali mansioni devono essere assunti con contratti a tempo indeterminato, anche se l’attività produttiva complessiva dell’ente ha un carattere stagionale.

L’onere della prova a carico del datore di lavoro

Un altro punto cruciale della decisione riguarda l’onere della prova. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: spetta al datore di lavoro dimostrare che le mansioni affidate al lavoratore erano esclusivamente di natura stagionale. Questa prova deve essere rigorosa e deve risultare chiaramente dalla causale indicata nei contratti. In caso di contestazione, il giudice è tenuto a verificare in concreto le attività effettivamente svolte.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando innanzitutto la natura giuridica dell’ente datore di lavoro: un ente pubblico non economico. Tale qualifica impedisce di applicargli la stessa disciplina prevista per l’imprenditore agricolo privato (art. 2135 c.c.), in particolare le deroghe più ampie previste dal D.Lgs. 368/2001 (art. 10, comma 2). Di conseguenza, l’ente è soggetto a regole più stringenti.

La motivazione centrale, però, è la necessità di un’interpretazione rigorosa del concetto di ‘attività stagionale’. Permettere un uso indiscriminato dei contratti a termine per qualsiasi attività agricola svuoterebbe di significato le tutele previste dalla normativa nazionale ed europea (Direttiva 1999/70/CE) contro l’abuso dei contratti a tempo determinato. La ‘ciclicità’ tipica dell’agricoltura non può diventare un pretesto per giustificare deroghe al sistema di tutele, soprattutto quando esistono esigenze lavorative stabili e permanenti.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione rappresenta un importante monito per i datori di lavoro, in particolare per gli enti pubblici che operano in settori caratterizzati da stagionalità. La sentenza afferma con forza che la flessibilità non può tradursi in precarietà ingiustificata. I datori di lavoro devono attentamente valutare la natura delle mansioni e distinguere tra esigenze realmente temporanee e stagionali e fabbisogni operativi stabili, che devono essere coperti con contratti di lavoro a tempo indeterminato. Per i lavoratori, questa pronuncia rafforza gli strumenti di tutela contro l’illegittima reiterazione dei contratti a termine, chiarendo che l’onere di provare la legittimità del ricorso a tali contratti grava interamente sulla parte datoriale.

Un ente pubblico agricolo può usare i contratti a termine stagionali come un’impresa privata?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che un ente pubblico non economico non è un ‘imprenditore agricolo’ ai sensi dell’art. 2135 c.c. e, pertanto, non può beneficiare delle stesse deroghe alla disciplina dei contratti a termine previste per le imprese agricole private.

Qualsiasi attività svolta nel settore agricolo è considerata ‘stagionale’?
No. La stagionalità deve essere interpretata in senso stretto. Sono stagionali solo le attività legate a specifiche e limitate scansioni temporali. Le attività che rispondono a esigenze permanenti, come la manutenzione dei macchinari, la custodia o la preparazione, non sono considerate stagionali e richiedono contratti a tempo indeterminato.

In caso di controversia, chi deve dimostrare che il lavoro era effettivamente stagionale?
L’onere della prova grava interamente sul datore di lavoro. Egli deve dimostrare che il lavoratore è stato adibito esclusivamente ad attività stagionali, complementari o accessorie, e non a mansioni che coprono un fabbisogno stabile dell’ente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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