Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23116 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23116 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
Oggetto: accertamento sussistenza rapporti subordinati a temine
Dott. NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9887/2024 R.G. proposto da:
COMUNE DI GIUGLIANO IN CAMPANIA, persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– ricorrente –
contro
NOME, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata
e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia ;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 3305/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/10/2023 R.G.N. 1124/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME, operatrice sociale presso la sede del Settore Welfare (poi Settore socio -sanitario e quindi Polizia municipale e Servizi al cittadino) del Comune di Giugliano di Campania a partire dal 29.12.2006, con contratti di collaborazione continuativa e coordinata e, da ultimo, di cottimo fiduciario succedutisi nel tempo, adiva il Tribunale per chiedere di accertare la nullità di tali contratti in quanto stipulati in violazione dell’art. 46 della legge n. 133/2008 e dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 e comunque in frode alla legge e dichiarare la sussistenza tra le parti di un unico rapporto di lavoro di natura subordinata, con conseguente riconoscimento del diritto della lavoratrice alle relative differenze retributive ed ai contributi assistenziali e previdenziali per tutta la durata del rapporto e condanna del Comune di Giugliano al risarcimento del danno in misura non inferiore a ventiquattro mensilità.
Il Tribunale rigettava il ricorso.
La Corte d’appello di Napoli, in parziale accoglimento dell’impugnazione della lavoratrice, e, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava l’illegittimità dei contratti a termine intercorsi tra le parti dal 29.12.2006 al 31.10.2012, condannava il Comune appellato al risarcimento del danno nella misura di 6 mensilità.
Riteneva sussistente il divieto di conversione irrilevante essendo che i contratti in questione erano stati stipulati a seguito di prova selettiva.
Richiamava l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 e la necessità ivi prevista che le forme flessibili di assunzione rispondessero ad esigenze temporanee ed eccezionali.
Evidenziava che, nello specifico, i contratti succedutisi nel tempo non contenevano alcuna indicazione delle ragioni tecnico organizzative o delle esigenze temporanee ed eccezionali tali da legittimare e giustificare l’apposizione del termine.
L’Ente aveva di fatto soddisfatto una propria esigenza istituzionale ordinaria permanente e durevole nel corso di un vasto arco temporale, disciplinando il rapporto sotto diverse forme contrattuali, pur nella sostanziale identità del suo contenuto esecutivo.
In merito, al risarcimento del danno, escluso – siccome incongruo il richiamo alla disciplina del licenziamento illegittimo e fatta applicazione dell’art. 36, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001 e del previsto risarcimento del danno in caso di violazione di norme imperativa, riteneva doversi fare riferimento all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 e quantificava il danno presunto ex lege nella misura di 6 mensilità.
Avverso tale sentenza il Comune di Giugliano ha prop osto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
6 . Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo il Comune denuncia la violazione e falsa applicazione del decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368 (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.).
Sostiene che tra il Comune di Giugliano e la lavoratrice non è mai intercorso alcun contratto di lavoro subordinato a termine ma dei
contratti di collaborazione ex artt. 2222 e 2229 e seguenti codice civile ex art. 409 cod. proc. civ.
Assume che alla stipula dei cennati rapporti di collaborazione professionale si era pervenuti in applicazione dell’art. 7 comma 6, comma 6 bis e comma 6 ter del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, applicabile ratione temporis , il quale, com’è noto, ha espressamente previsto la possibilità per le amministrazioni pubbliche, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, di conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso.
Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale, nella vicenda sottoposta alla sua cognizione, non poteva in alcun modo evocare la disciplina legale in materia di successione dei contratti a termine e conseguentemente applicare un regime sanzionatorio e risarcitorio destinato a regolamentare una fattispecie contrattuale del tutto differente da quella qui esistente.
2. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente, che concentra le censure nelle sole pagg. 26 e 27 del ricorso, si limita a denunciare il salto logico compiuto dalla Corte territoriale che avrebbe ritenuto applicabile la disciplina legale in materia di contratti a termine a fronte di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
Il suddetto salto logico in realtà non sussiste avendo la Corte territoriale ritenuto che, al di là delle forme contrattuali scelte, il rapporto lavorativo inter partes si era sviluppato in concreto, nel corso di un vasto arco temporale, come un sostanziale rapporto subordinato attraverso contratti a termine succedutisi nel tempo.
Il ricorrente, a ben guardare, non censura tale affermazione se non con la tautologica affermazione che i contratti in questione (peraltro neppure riportati nel loro contenuto) erano stati stipulati ai sensi dell’art. 7, comma 6, comma 6 -bis , comma 6ter del d.lgs. n.
Pag.4
165/2001, né prospetta la violazione dell’art. 2094 cod. civ. in punto di subordinazione ovvero un vizio motivazionale come ancora rilevante ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
Lo stesso accertamento in fatto della Corte territoriale non ha formato oggetto di rilievo da parte del ricorrente che formula il motivo in modo inammissibile denunciando una violazione di legge sulla base di circostanze esterne alla interpretazione della norma e che ineriscono alla tipica valutazione del giudice di merito.
Né il ricorrente critica specificamente la quantificazione del risarcimento del danno che la Corte territoriale ha operato in primis richiamando la previsione di cui all’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 il quale, come è noto, prescrive che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni ma, appunto, il risarcimento del danno.
Tale risarcimento, come da questa Corte più volte affermato (v. ex multis tra le più recenti Cass. 13 febbraio 2023, n. 4360), va riconosciuto nei limiti di cui all’art. 2126 cod. civ. ma, nello specifico, il ricorrente non censura specificamente il criterio di quantificazione adottato dalla Corte territoriale (per vero neppure impugnato dalla lavoratrice in favore di un criterio a sé più favorevole) limitandosi a dedurre che alla disciplina legale in materia dei contratti a termine la Corte territoriale è pervenuta sulla base di un salto logico che, come sopra evidenziato, in realtà non sussiste.
Da tanto consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni
processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15% da attribuirsi all’avvocato NOME COGNOME antistatario.
Ai sensi del d.P .R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 -bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2025.