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Contratti a termine: risarcimento per abuso nel P.A.

Una lavoratrice ha operato per anni presso un ente pubblico tramite contratti di collaborazione. La Cassazione ha confermato la decisione di merito che ha riqualificato il rapporto come una successione illegittima di contratti a termine, riconoscendo il diritto della lavoratrice a un risarcimento del danno. L’abuso di tali contratti per coprire esigenze stabili e permanenti è stato sanzionato, ribadendo che la sostanza del rapporto prevale sulla forma contrattuale adottata.

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Contratti a termine nel Pubblico Impiego: Quando la forma non salva dalla sanzione

L’utilizzo di forme contrattuali flessibili da parte della Pubblica Amministrazione è un tema di costante attualità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale: la qualificazione formale del contratto non può mascherare la reale natura del rapporto di lavoro. Se una serie di collaborazioni serve in realtà a coprire esigenze permanenti, si configura un abuso di contratti a termine che, pur non portando alla stabilizzazione, obbliga l’ente al risarcimento del danno.

I fatti di causa: una collaborazione prolungata

Il caso esaminato riguarda una lavoratrice che per circa sei anni ha prestato servizio presso un Comune in forza di una successione di contratti, formalmente qualificati prima come collaborazione continuativa e coordinata e poi come cottimo fiduciario. Ritenendo che tale sequenza celasse un unico rapporto di lavoro subordinato, la lavoratrice si è rivolta al Tribunale per chiedere l’accertamento della nullità dei contratti e il conseguente riconoscimento dei suoi diritti, incluso un risarcimento per l’illegittima apposizione del termine.

La decisione della Corte d’Appello

In secondo grado, la Corte d’Appello ha parzialmente accolto le richieste della lavoratrice. I giudici hanno ritenuto che, al di là del nome dato ai contratti, il rapporto intercorso tra le parti avesse tutte le caratteristiche del lavoro subordinato. Hanno quindi dichiarato l’illegittimità della successione di contratti a termine utilizzati dal Comune per soddisfare esigenze non temporanee ed eccezionali, ma ordinarie e durevoli. Pur escludendo la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato, come previsto dalla normativa sul pubblico impiego, la Corte ha condannato l’ente a un risarcimento del danno quantificato in sei mensilità di retribuzione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

Il Comune ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse commesso un ‘salto logico’ applicando la disciplina dei contratti a termine a rapporti di collaborazione professionale. La Suprema Corte ha respinto questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile. Il punto centrale della motivazione risiede nel fatto che la Corte territoriale non ha compiuto alcun salto logico, ma ha semplicemente svolto un accertamento in fatto: ha analizzato le concrete modalità di svolgimento della prestazione e ha concluso che, nella sostanza, si trattava di un rapporto di lavoro subordinato. Di conseguenza, la successione di incarichi configurava un abuso della normativa sui contratti a tempo determinato. Il ricorso del Comune è stato giudicato inammissibile perché non contestava questo accertamento fattuale, limitandosi a ribadire, in modo tautologico, la natura formale dei contratti stipulati. In pratica, l’ente non ha messo in discussione che la lavoratrice fosse, di fatto, una dipendente subordinata.

Conclusioni: la sostanza prevale sulla forma

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: nel diritto del lavoro, e in particolare nel contesto dei contratti a termine, la realtà fattuale del rapporto prevale sulla qualificazione formale scelta dalle parti (il cosiddetto ‘nomen iuris’). La Pubblica Amministrazione non può eludere le tutele previste per i lavoratori subordinati utilizzando contratti di collaborazione per coprire fabbisogni di personale stabili e permanenti. Sebbene nel settore pubblico l’abuso non porti alla conversione del contratto in tempo indeterminato, il lavoratore ha comunque diritto a un risarcimento del danno per la violazione delle norme imperative che regolano l’assunzione.

È possibile che una serie di contratti di collaborazione con la Pubblica Amministrazione nasconda un rapporto di lavoro subordinato a termine?
Sì. I giudici possono analizzare le concrete modalità di svolgimento del lavoro e, se riscontrano gli indici della subordinazione, possono riqualificare il rapporto come lavoro dipendente, a prescindere dal nome formale del contratto.

Cosa succede se la Pubblica Amministrazione utilizza illegittimamente contratti a termine in successione?
A differenza del settore privato, non si verifica la conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato. Tuttavia, il lavoratore ha diritto a ottenere un risarcimento del danno per l’illegittimo utilizzo di tali contratti per soddisfare esigenze stabili e permanenti dell’ente.

Perché il ricorso del Comune è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché il Comune non ha contestato l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’Appello sulla natura subordinata del rapporto di lavoro. Si è limitato a insistere sulla qualificazione formale dei contratti come ‘collaborazioni’, senza affrontare il cuore della decisione precedente, ovvero che nella sostanza si trattava di un unico rapporto di lavoro subordinato a termine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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