Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32419 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32419 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 611-2022 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE TORINO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
Oggetto
Altre ipotesi rapporto privato
R.G.N. 611/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 04/12/2024
CC
avverso la sentenza n. 312/2021 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 30/06/2021 R.G.N. 98/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
1. gli odierni ricorrenti hanno convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Torino, la Fondazione del Teatro Regio di Torino per sentire dichiarare l’illegittimità dei plurimi contratti a termine in forza dei quali avevano prestato, a partire dal 2010, attività lavorativa subordinata a favore della Fondazione con qualifica di ‘professore d’orchestra’ e mansioni di ‘ violino di fila ‘ ; in particolare, hanno impugnato -la Rauseo -i contratti del 27.9.2018, 10.11.2018, 2.1.2019 e 25.1.2019, e -lo COGNOME -quelli del 29.9.2018, 6.11.2018 e 25.1.2019, chiedendo, in uno con la declaratoria dell’illegittimità del termine, la condanna al ripristino del rapporto lavorativo, da intendersi come ab origine a tempo indeterminato, ed al pagamento dell’indennità di cui all’art. 28 d.lgs. n. 81/2015;
il Tribunale, esaminando i primi due contratti impugnati, ha accolto il ricorso dichiarando la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo dal 26.9.2018 (periodo 27/9-27/10/2018), per la Rauseo, e dal 27.9.2018 (periodo 29/9-27/10/2018), per lo COGNOME, precisando che la Fondazione non aveva assolto allo specifico onere di dimostrare quali fossero le ragioni di carattere temporaneo poste a fondamento dei contratti de quibus , il cui reiterato utilizzo era di per sé indice della sussistenza di un’esigenza di carattere permanente;
la C orte d’appello di Torino, riformando la sentenza di primo grado, ha respinto tutte le domande dei due ricorrenti richiamando due propri precedenti (App. Torino, sentenze n. 244 del 2017 e n. 54 del 2019), i quali affermavano che l’indicazione in contratto di ‘ragioni obiettive’ a supporto dell’apposizione del termine integranti almeno una delle misure elencate al punto 1 lett. a), b) e c) della clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE -valeva di per sé a escludere l’applicabilità dei limiti quantitativi previsti dall’ art. 23, comma 2, lett. d), del d.lgs. n. 81/2015 e dell’ulteriore soglia di durata di 36 mesi, in tal guisa facendo venir meno ogni possibile contrasto con la disciplina UE;
ha precisato altresì che i contratti il cui termine era stato ritenuto illegittimo, riportavano, quanto alle ragioni giustificatrici, formulazioni analoghe (« necessità di integrare l’organico dei COGNOME per le produzioni ‘ Il Trovatore ‘ ; concerto del 27/10/2018 diretto da M° COGNOME programmate nella stagione d’opera 2018/2019 per esigenze di turnazione e riequilibrio del personale stabile ») a quelle prese in considerazione dalla precedente sentenza n. 54 del 2019, cit.;
ed ha aggiunto che i lavoratori non avevano dedotto di non essere stati adibiti, in concreto, a tali specifiche attività le quali peraltro non superavano l’arco temporale di 36 mesi fissa to dall’art. 19 co mma 1 del d.lgs. n. 81/2015, senza che, in contrario, potesse obiettarsi che sarebbe stato necessario, ai fini del calcolo dei 36 mesi, recuperare i contratti non tempestivamente impugnati, la cui legittimità restava, ad avviso dei giudici di secondo grado, al di fuori dall’oggetto del contendere;
avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione i lavoratori sulla base di cinque motivi illustrati da memoria, cui si oppone la Fondazione con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
1. con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 21, 29 del d.lgs. n. 81/2015, dell’art. 2697 c od. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.;
i ricorrenti ritengono che la sentenza impugnata è erronea nella parte in cui ha ritenuto non fosse onere della Fondazione dimostrare che le specifiche ragioni indicate come motivo dell’assunzione dei ricorrenti avessero un diretto legame causale con l’assunzione stessa ; a fronte della totale mancata indicazione da parte della Fondazione del nesso esistente tra le causali enunciate e la chiamata dei due violinisti, la sentenza impugnata ha ritenuto, invece, provate tali ragioni di carattere temporaneo, quando sarebbe stato compito dell’organo giudicante verificare rigorosamente se l’ esigenza temporanea indicata fosse effettivamente alla base del contratto a termine oggetto di impugnazione;
1.1 il motivo è inammissibile;
contrariamente a quanto opinano i ricorrenti, tale accertamento di fatto è stato svolto dal giudice del merito il quale ha richiamato, a riguardo, il principio di non contestazione;
l’inammissibilità del motivo discende dal principio per cui spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte, la quale, ex art. 115 cod. proc. civ., produce l’effetto della relevatio ad onere probandi (Cass. Sez. L – Sentenza n. 11115 del 27/04/2021; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3680 del 07/02/2019), in quanto tale apprezzamento esige l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda e delle deduzioni delle parti da ciò derivando che l’accertamento della
sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione risulta sindacabile in cassazione solo per difetto assoluto o apparenza di motivazione o per manifesta illogicità della stessa (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10182 del 03/05/2007);
nella specie la sentenza impugnata muove dal rilievo che «non è contestato che gli appellanti siano stati esclusivamente impegnati nelle produzioni individuate nei contratti a termine stipulati e impugnati, e non abbiano svolto l’attività per tutte le produzioni programmate per i periodi considerati» (p. 24 sentenza), sicché, lungi dal porre a carico del lavoratore l’onere della prova, la Corte distrettuale ha ritenuto, piuttosto, che il fatto non contestato fosse a monte escluso dallo stesso thema probandum ;
con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, co mma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’o messo esame di un fatto decisivo circa la sussistenza di più personale precario che si alternava per il medesimo ruolo di violino di fila; secondo i ricorrenti il Collegio torinese non ha tenuto conto del fatto pacifico per cui i ricorrenti avevano sin dal primo grado evidenziato come il continuo turn over nel ruolo di violinisti consentisse alla Fondazione di coprire una carenza di personale cronica e strutturale per il ruolo di violinista attraverso la continua rotazione del personale precario;
2.1 il motivo, non esente da profili di inammissibilità laddove, senza assolvere agli oneri di trascrizione e di localizzazione di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., assume che sarebbe circostanza ‘ pacifica ‘ e ‘incontestata’ quella del continuo turn over dei violinisti (p. 29 ricorso per cassazione), è comunque privo di fondamento : il ‘fatto’ che sussistesse nella specie l’esigenza di un organico ‘ soprannumerario ‘ rispetto a quello
dei violinisti stabilmente impiegati è stato tenuto ben presente dal giudice d’appello , che ha tuttavia richiamato gli istituti contrattuali del ‘turno’ e del ‘riequilibrio delle file degli archi’ , entrambi essenziali per sopperire, rispettivamente, ad ‘assenze improvvise’ e per fronteggiare le ipotesi, occasionali, in cui gli ‘archi’ in organico stabile raggiungevano ‘ il tetto massimo di prestazioni ‘ ;
com’è noto, in tema di procedimento civile sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. 2 , Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019); così come spetta sempre al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680/2019);
3. con il terzo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) degli artt. 19, 21, 29 del d.lgs. 81/2015, degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., in relazione all’interpretazione degli accordi integrativi sindacali 1° gennaio 2000 e del 5 luglio 2002;
i ricorrenti ritengono che la sentenza impugnata è errata là dove omette di prendere atto che non vi è alcuna prova in atti che il meccanismo del turn over – regolamentato da due accordi sindacali integrativi del gennaio 2000 e del 5 luglio 2002 e citato nei contratti di assunzione a termine -abbia poi operato anche per i contratti da loro stipulati; per i ricorrenti, la nozione di temporaneità di
un’esigenza così come interpretata dalla Corte territoriale -non può coincidere con la ordinaria organizzazione e produzione di una fondazione;
3.1 il motivo è inammissibile nella misura in cui presuppone, e comunque involge, l’erronea interpretazione di accordi integrativi;
il motivo nella sostanza si fonda sulle previsioni della contrattazione integrativa e non è scrutinabile, sia perché formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., sia perché non indica i criteri di ermeneutica contrattuale che la Corte territoriale avrebbe in ipotesi violato;
per i contratti collettivi decentrati, così come per qualsiasi altro accordo negoziale, l’interpretazione è riservata al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo attraverso la specifica deduzione di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e plausibilità della interpretazione medesima, e sempre che nella motivazione non siano riscontrabili anomalie integranti la violazione dell’art. 132 n. 4 c od. proc. civ. (Cass. n. 11666 del 2022; n. 4460 del 2020); in relazione ai contratti integrativi il ricorrente è tenuto poi non solo al deposito degli stessi, ma anche a fornire precise indicazioni sulle modalità e sui tempi della produzione nel giudizio di merito, ed a trascrivere nel ricorso le clausole che si assumono erroneamente interpretate dalle Corte territoriale (si rimanda, fra le tante, a Cass. nn. 7981, 7216, 6038, 20872, 2709, 95 del 2018);
i ricorrenti non hanno assolto a tali essenziali oneri a loro carico e ciò si riflette nell’inammissibilità della censura ;
4. con il quarto mezzo si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 19, 21, 29 del d.lgs. 81/2015, come novellati dal d.l. n. 87/2018, degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.;
i ricorrenti ritengono che la sentenza impugnata omette totalmente di pronunziarsi in relazione ai contratti dei due ricorrenti stipulati successivamente all’entrata in vigore del d.l. n. 87/2018; la Corte torinese, a parere dei ricorrenti, ha omesso ogni riferimento alla nuova disciplina ed ha affrontato tutti i contratti indistintamente, a prescindere dalla normativa applicabile, interpretando così erroneamente i commi 1 e 4 del novellato art. 19 d.lgs. 81/2015 -vigente per i contratti stipulati successivamente al 31 ottobre 2018 -che impone, infatti, per ‘i rinnovi contrattuali’, la specificazione delle relative esigenze per i contratti a termine e delle indicazioni delle ragioni oggettive per i rinnovi contrattuali;
4.1 il motivo è inammissibile;
qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. n. 2795/2015);
del profilo dedotto, ossia della natura di mero ‘rinnovo contrattuale’ del contratto ‘con inizio servizio 6.11.2018’, non v’è traccia nella sentenza impugnata;
l’esame -sia in fatto che in diritto -di tale questione è quindi precluso, atteso che nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti. (Cass. n. 23675 del 2013, Cass. n. 4787 del 2012, Cass. n. 3664 del 2006);
il motivo è altresì inammissibile perché i ricorrenti, pur parlando di ‘rinnovi contrattuali’ e richiamando l’ art. 19 comma 4 d.lgs. n. 81/2015 secondo cui « L’atto scritto contiene, in caso di rinnovo, la specificazione delle esigenze di cui al comma 1 in base alle quali è stipulato; in caso di proroga dello stesso rapporto tale indicazione è necessaria solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi», non hanno trascritto, neanche nei passaggi salienti, il contenuto dei contratti stipulati in epoca successiva al 31 ottobre 2018, cosa che soltanto avrebbe consentito (art. 366, n. 4, cod. proc. civ.) l’esame della censura mediante una previa verifica in ordine alla configurabilità di un ‘ipotesi di ‘rinnovo’ o ‘ proroga ‘ contrattuale ovvero di stipula di un nuovo (e diverso) contratto;
come noto, il requisito di specificità del ricorso per cassazione, pur non imponendo la ripetizione in forma autonoma di tutte le circostanze di causa, e non escludendo quindi la possibilità di utilizzare la parte espositiva della sentenza impugnata, inserendola per esteso nel testo del ricorso, esige che dal contesto dell’atto emergano con chiarezza i fatti rilevanti, in modo tale da permettere di comprendere le censure sollevate in sede di legittimità (per tutte, Cass. n. 19100/2006);
5. con il quinto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 19, 29 d.lgs. n. 81/2015, come novellato dal d.l. n. 87/2018, in relazione all’art. 360, co mma 1, n. 3, cod. proc. civ., con riferimento alla durata massima di un rapporto a termine; i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata è errata nell’interpretazione della normativa afferente alla questione in oggetto, in particolare del l’art. 19 cit .; la Corte torinese ha ritenuto, sbagliando, che per il computo del limite massimo di durata vadano conteggiati solo i contratti impugnati, ossia quelli sui quali non sono maturate le decadenze previste dall’art. 28 del d.lgs. 81/2015;
la normativa citata, invece, non fa riferimento ai soli contratti su cui non sono maturate le decadenze di legge ma a tutti indistintamente i contratti a termine intercorsi tra le parti; l’ interpretazione del giudice d’appello contrastava con il dettato della clausola n. 5 dell’allegato alla direttiva UE 1999/70, la quale, nell’indicare le tre possibili misure finalizzate a limitare gli abusi, fissa un tetto di «durata massima del rapporto» complessivamente inteso;
5.1 il motivo è inammissibile;
la sentenza impugnata afferma che se c’è , come nella specie, una ‘ragione obiettiva’ nei singoli contratti, allora opera almeno una delle misure di contrasto dell’abuso del termine (punto 1 , lett. da a) a c), della clausola n. 5 dell’ Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE UE) indicate nella sentenza della Corte di giust. 25 ottobre 2018, causa C-331/17, Sciotto, sicché i contratti in questione, oltre che in linea con la normativa interna (d.lgs. n. 81/2015 e succ. modd.), lo sono anche con la disciplina comunitaria, essendo peraltro rimasto ‘incontestato’ che il lavoratore è stato materialmente adibito
proprio a quelle specifiche attività, di natura provvisoria, enunciate nei singoli contratti (v. pp. 11-13-14 e 17 della sentenza impugnata);
la motivazione della sentenza aggiunge poi (pp. 24-25), sviluppando un’altra ratio decidendi , che il limite dei 36 mesi non era comunque stato oltrepassato, considerando i soli contratti per cui non erano maturate decadenze;
orbene, nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato l’orientamento secondo cui qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna idonea a sorreggere il decisum , i motivi di ricorso devono essere specificamente riferibili, a pena di inammissibilità, a ciascuna di dette ragioni (cfr. fra le tante Cass. n. 17182/2020; Cass. n. 10815/2019) ed inoltre l’inammissibilità o l’infondatezza della censura attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile o rigettata (cfr. fra le più recenti Cass. n. 15399/2018);
nella specie, come si evince dai superiori rilievi, la prima ratio decidendi non è in alcun modo scalfita dalle censure dei ricorrenti, il che porta a ritenere pertanto del tutto irrilevante la disamina della quinta, ed ultima, doglianza;
conclusivamente, il ricorso va rigettato nel suo complesso, con condanna dei ricorrenti al pagamento, ex art. 91 cod. proc. civ., delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 4.000,00 euro per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4/12/2024.