Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13209 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13209 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
Con sentenza n. 786/2017, il Tribunale di Bologna ha dichiarato l’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato stipulati tra COGNOME NOME e il Comune di Bologna dal 2011 al 2015, ha condannato il Comune al pagamento, nei confronti della medesima, di 5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria ed ha accertato il diritto della ricorrente alle progressioni economiche.
La Corte d’appello, nel riformare la decisione di primo grado, ha ritenuto sussistente e non specificamente contestata la causale apposta ad ogni singolo contratto (esigenza sostitutiva del dipendente assente, il cui nominativo era stato indicato, con diritto alla conservazione del posto).
Ha escluso il dedotto abuso nella reiterazione dei contratti a tempo determinato e non ha ritenuto superato il limite temporale di 36 mesi; ha, comunque, escluso la sussistenza di un danno risarcibile, in quanto la lavoratrice era stata stabilizzata dal 3.9.2018.
Il giudice di appello ha inoltre evidenziato che i rapporti di lavoro per cui è causa erano disciplinati dal CCNL enti RAGIONE_SOCIALE e non dal CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; considerato che l’istituto dell’anzianità di servizio previsto dalla contrattazione collettiva applicata non è previsto nemmeno per il personale in ruolo (essendo stabilita una progressione economica orizzontale a seguito di valutazione positiva delle rispettive competenze), non ha riconosciuto alcuna progressione economica alla lavoratrice.
La COGNOME ha proposto ricorso affidato a otto motivi, illustrati da memoria.
Il Comune ha resistito con controricorso.
DIRITTO
Con il primo motivo, il ricorso denuncia violazione dell’art. 1 d.lgs. n. 368/2001, dell’art. 7 del CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE decentrato del 14.9.2001, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., nonché violazione RAGIONE_SOCIALE artt. 112 e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, 360 n. 4 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto la legittimità dei singoli contratti a tempo determinato stipulati tra le parti e di avere considerato solo formalmente contestata la causale; evidenzia che i contratti del 1.9.2015 e del 3.10.2012 non recano il nome del lavoratore sostituito e che nessuno dei contratti stipulati tra le parti riporta la specifica ragione della sostituzione.
Lamenta l’omessa pronuncia sull’assenza di causa della sostituzione e richiama l’art. 7 del CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 14.9.2000, evidenziando che in caso di sostituzione di un dipendente, le norme pattizie prevedono espressamente l’indicazione nel contratto della causa della sostituzione.
Con il secondo motivo, il ricorso denuncia violazione RAGIONE_SOCIALE artt. 112 e 115 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.
Torna a sostenere che i contratti del 1.9.2015 e del 3.10.2012 non recano il nome del lavoratore sostituito e che è incontestata la mancata indicazione del nome del sostituito nei suddetti contratti.
Con il terzo motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.10, comma 4 bis, d. lgs. n. 368/2001, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.
Lamenta il superamento del limite temporale di 36 mesi, deducendo che ai contratti a tempo determinato si applica l’art. 5 comma 4 bis del d. lgs. n. 368/2001, definitivamente inserito dalla legge n. 133/2008.
Con il quarto motivo il ricorso denuncia violazione dell’art. 14 delle preleggi, dell’art. 36 del d. lgs. n. 165/2001 e dell’art. 5 comma 4 bis d. lgs. n. 368/2001, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto sanato l’abuso, in forza dell’applicazione dei principi giurisprudenziali espressi per lo specifico settore della RAGIONE_SOCIALE.
Evidenzia che la normativa riguardante il RAGIONE_SOCIALE ha carattere speciale e non è pertanto suscettibile di interpretazione analogica.
Con il quinto motivo il ricorso denuncia violazione dell’art. 36 del d. lgs. n. 165/2001, RAGIONE_SOCIALE artt. 1 e 5 comma 4 bis d. lgs. n. 368/2001 e della clausola 5 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva UE 1999/70.
Torna a sostenere che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto sanato l’abuso.
Critica la sentenza impugnata per avere ignorato la funzione sanzionatoria e deflattiva del danno comunitario e per non avere fatto applicazione dei principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 5072/2016 in ordine al risarcimento del danno in caso di abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato.
Richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui non possono trovare applicazione i principi affermati con riferimento allo specifico settore della RAGIONE_SOCIALE, e secondo cui deve sussistere una stretta correlazione tra l’abuso e la stabilizzazione.
Con il sesto motivo il ricorso denuncia la violazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva UE 1999/70, dell’art. 6 d. lgs. n. 368/2001 dell’art. 7 del CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE decentrato del 14.9.2001, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente escluso il diritto della lavoratrice alla progressione stipendiale.
Lamenta la mancata valorizzazione dell’anzianità di servizio della ricorrente, che era stata esclusa dalle progressioni economiche riservate ai colleghi in ruolo, pur avendo svolto in via continuativa le stesse mansioni dal 2011 al 2016 ed avendo maturato un’esperienza del tutto assimilabile a quella dei medesimi colleghi nello stesso periodo.
Evidenzia che l’anzianità di servizio costituisce un fatto giuridico, valorizzato sotto molteplici aspetti nell’ambito del RAGIONE_SOCIALE.
Sostiene che ai fini dell’accesso alle progressioni stipendiali è prevista una determinata anzianità di servizio, alla quale si aggiunge la valutazione del servizio espressa singolarmente per ogni anno dal dirigente responsabile del servizio (valutazione che per la ricorrente era sempre stata positiva).
Si duole della mancata considerazione, da parte della Corte territoriale, dell’incontestato esito positivo dei servizi resi dalla ricorrente allo scrutinio dirigenziale.
Con il settimo motivo il ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.
Lamenta che la Corte territoriale ha omesso di considerare la circostanza, incontestata e decisiva, che la ricorrente aveva ricevuto una valutazione positiva per i servizi prestati.
Con l’ottavo motivo il ricorso denuncia la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.
Sostiene che doveva ritenersi provata la valutazione positiva della ricorrente per i servizi prestati, non essendo stata tale circostanza mai contestata dal Comune di Bologna.
I primi due motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione logica e giuridica, sono inammissibili, in quanto sollecitano un giudizio di merito attraverso la rilettura dei contratti e dell’attestato del Comune di Bologna del 17.10.2016, nonché la corretta applicazione del principio di non contestazione.
Sotto il primo profilo deve rammentarsi l’inammissibilità del ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Riguardo al secondo profilo, questa Corte ha chiarito che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680/2019 e negli stessi termini Cass. n. 27490/2019).
In ordine alla dedotta violazione dell’art. 7 del CCNL del 14.9.2000 per la mancata indicazione della causa della sostituzione, va osservato che le relative disposizioni sono state emanate nel sistema normativo delineato dalla legge n. 230/1962 e dall’art. 23 della legge n. 56/1987, che consentiva l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o RAGIONE_SOCIALE aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale (c.d. ‘delega in bianco’).
La censura, nel prospettare la violazione dell’art. 7 del CCNL del 14.9.2000, non considera che la ‘delega in bianco’ contenuta nell’art. 23 della legge n. 56/1987 si riferiva alle causali e non ai requisiti di forma.
Il quadro normativo così delineato è stato superato dalle prescrizioni contenute nell’art. 1 comma 1 del d. lgs. n. 368/2001, che ha consentito l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
Tale disposizione è stata interpretata nel senso che al datore di lavoro non è stato imposto l’onere di formalizzare le ragioni di carattere sostitutivo con particolare riferimento alla temporaneità dell’esigenza posta a fondamento dell’assunzione, ma solo quello di indicare in modo puntuale le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle sue esigenze, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze che la stessa sia chiamata a formalizzare (Cass. n. 208/2015; Cass. n. 840/2019).
Si è inoltre ritenuto che in una situazione aziendale complessa, il requisito della specificità delle ragioni di carattere sostitutivo non debba essere riferito alle indicazioni delle generalità del singolo lavoratore da sostituire, ma può
ritenersi soddisfatto con la corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale e le scoperture che per quella stessa funzione si sono realizzate per il periodo dell’assunzione (Cass. n. 8647/2012; Css. n. 10068/2013).
10. Il terzo motivo è fondato.
Questa Corte ha già osservato che l’art. 36 d.lgs. n. 165/2001, nelle diverse versioni succedutesi nel tempo (salvo che nel testo vigente ex lege n. 244/2007, che non disponeva sul punto) ha sempre richiamato per i contratti a termine stipulati dalla pubblica amministrazione la disciplina fissata, per i rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, dapprima dalla legge n. 230/1962 e dall’art. 23 legge n. 56/1987, ed in epoca successiva del d. lgs. n. 368/2001, in tal senso ponendo un vincolo alla disciplina della contrattazione collettiva (Cass. n. 6089/2021; tali principi sono stati ribaditi da Cass. n. 35145/2023).
Si è infatti precisato che l’intento del legislatore di estendere alle pubbliche amministrazioni le prescrizioni dettate in particolare dall’art. 5 del d.lgs. n. 368/2001 si desume anche dal comma 5 bis dell’art. 36 del d. lgs. n. 165/2001 (aggiunto dal citato d.l. n. 78/2009), che ha espressamente limitato l’applicazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 368/2001 soltanto in ordine alle previsioni sul diritto di precedenza nelle assunzioni (riservato al solo personale reclutato mediante avviamento RAGIONE_SOCIALE iscritti nelle liste di collocamento ex art. 35, comma 1, lett. b); nel testo introdotto nell’anno 2013, l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 ha dichiarato espressamente applicabile alle pubbliche amministrazioni il d.lgs. n. 368/2001 salvo specifiche eccezioni, tra le quali non figura l’art. 5, comma 4 bis (art. 36 comma 5 ter, aggiunto dall’art. 4, comma 1, lettera b del d.l. 31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 e successivamente abrogato dall’art. 9, comma 1, lettera e, del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75).
Si è poi osservato che anche l’esame del d.lgs. n. 368/2001 conduce alle medesime conclusioni, atteso che l’art. 10, comma 4 bis del medesimo decreto legislativo (inserito dall’art. 9, comma 18, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106), nell’escludere
espressamente l’applicazione del precedente art. 5, comma 4 bis, ai contratti a tempo determinato stipulati nel settore scolastico, ne ha indirettamente confermato la generale applicabilità alle pubbliche amministrazioni.
Quanto, poi, alla scuola comunale valgono le considerazioni già espresse da Cass. n. 35369/2021 che, ricostruito lo sviluppo nel tempo del quadro normativo, nei termini richiamati nella motivazione alla quale si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., ha affermato che, solo a partire dal 10 settembre 2013 (per effetto dell’art. 4 comma 11 del d.l. n. 101 del 31 agosto 2013 che ha inserito nell’art. 10, comma 4 bis, un ulteriore inciso, prevedendo che All’articolo 10, comma 4-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, è aggiunto il seguente periodo: “Per assicurare il diritto all’educazione, negli asili nidi e nelle scuole dell’infanzia RAGIONE_SOCIALE enti RAGIONE_SOCIALE, le deroghe di cui al presente comma si applicano, nel rispetto del patto di stabilità e dei vincoli finanziari che limitano per gli enti RAGIONE_SOCIALE la spesa per il personale e il regime delle assunzioni, anche al relativo personale educativo e scolastico’ ) il personale scolastico addetto agli asili nido e alle scuole dell’infanzia gestite dagli enti RAGIONE_SOCIALE è stato esonerato dal rispetto dei limiti massimi previsti dal d.lgs. n. 165/2001, mentre è rimasta ferma la necessaria ricorrenza delle condizioni richieste dall’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 ed in particolare la possibilità di ricorrere al contratto a termine in presenza di esigenze esclusivamente temporanee ed eccezionali.
La sentenza impugnata, che ha ritenuto inapplicabile l’art. 5, comma 4 bis del d. lgs. n. 165/2001, non è conforme a tali principi e va pertanto cassata sul punto.
Il quarto ed il quinto motivo, da trattare congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.
Questa Corte ha infatti chiarito, e il principio è stato recentemente ribadito (Cass. n. 35145/2023), che nel lavoro pubblico privatizzato, nelle ipotesi di abusiva successione di contratti a termine, la avvenuta immissione in ruolo del lavoratore già impiegato a tempo determinato ha efficacia riparatoria dell’illecito nelle sole ipotesi di stretta correlazione tra l’abuso commesso dalla amministrazione e la stabilizzazione ottenuta dal dipendente; detta stretta correlazione presuppone, sotto il profilo soggettivo, che la stabilizzazione
avvenga nei ruoli dell’ente pubblico che ha posto in essere la condotta abusiva e, sotto il profilo oggettivo, che essa sia l’effetto diretto ed immediato dell’abuso. Tale ultima condizione non ricorre quando l’assunzione a tempo indeterminato avvenga all’esito di una procedura concorsuale, ancorché interamente riservata ai dipendenti già assunti a termine (Cass. n. 14815/2021).
Si è invece ritenuto che qualora l’immissione in ruolo avvenga all’esito di una procedura di tipo concorsuale, l’assunzione non è in relazione immediata e diretta con l’abuso ma, piuttosto, è l’effetto diretto del superamento della selezione di merito, in ragione di capacità e professionalità proprie del dipendente, essendo anche tale conclusione conforme all’interpretazione della clausola 5 dell’accordo quadro enunciata dalla Corte di Giustizia.
Tali principi sono stati confermati dalla recente pronuncia Corte giustizia UE sez. VI – C-59/22, C-110/22 e C-159/22, secondo cui ‘ 117. In proposito, occorre rilevare che la Corte ha precisato che, sebbene l’organizzazione di procedimenti di selezione fornisca ai lavoratori occupati in modo abusivo nell’ambito di una successione di rapporti di lavoro a tempo determinato l’occasione di tentare di accedere a un impiego stabile, potendo questi ultimi, in linea di principio, partecipare a tali procedimenti, siffatta circostanza non può dispensare gli Stati membri dal rispetto dell’obbligo di prevedere una misura adeguata per sanzionare debitamente il ricorso abusivo a una successione di contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato. Infatti, a detti procedimenti, il cui esito è oltretutto incerto, possono, di norma, partecipare anche i candidati che non sono stati vittime di un tale abuso (v., in tal senso, sentenza del 19 marzo 2020, COGNOME e a., C-103/18 e C-429/18, EU:C:2020:219, punto 100). 118 Pertanto l’organizzazione di dette procedure, essendo indipendente da qualsiasi considerazione relativa al carattere abusivo del ricorso a contratti a tempo determinato, non sembra tale da sanzionare debitamente il ricorso abusivo a siffatti rapporti di lavoro e a rimuovere le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione. Essa non sembra quindi consentire di raggiungere la finalità perseguita dalla clausola 5 dell’accordo quadro (v., in tal senso, sentenza del 19 marzo 2020, COGNOME e NOME., C-103/18 e C-429/18, EU:C:2020:219, punto 101)’.
14. La sentenza impugnata non è conforme ai suddetti principi, in quanto si è limitata a dare atto della circostanza che la COGNOME è stata stabilizzata a far tempo dal 3.9.2018, senza precisare le modalità e le condizioni dell’assunzione della medesima, né le disposizioni in forza delle quali è stata effettuata.
Il sesto, il settimo e l’ottavo motivo, da trattare congiuntamente per la loro connessione logica, sono inammissibili.
I motivi, che fanno leva sulla valutazione positiva del servizio svolto, non considerano che la Corte territoriale non ha negato l’applicazione della clausola 4 dell’Allegato alla Direttiva 70/1999 CE quanto alla necessaria parità di trattamento fra personale a tempo determinato e indeterminato, ma ha correttamente rilevato che la parità di trattamento è nelle condizioni di impiego, che per il comparto RAGIONE_SOCIALE enti RAGIONE_SOCIALE non prevedono una progressione legata alla sola anzianità di servizio.
Questa Corte ha infatti chiarito che i contratti collettivi del RAGIONE_SOCIALE, a partire da quello del 31.3.1999, hanno previsto una specifica disciplina del rapporto di lavoro con il personale delle Scuole comunali inquadrato nell’Area C (educatore asili nido e figure assimilate), nonché discipline specifiche in relazione al trattamento economico e che, diversamente da quanto previsto per il personale scolastico, la retribuzione del personale RAGIONE_SOCIALE enti RAGIONE_SOCIALE non prevede alcun automatismo tra anzianità e progressione economica, in quanto la progressione orizzontale all’interno dell’Area avviene solo per merito comparativo (v. Cass. n. 35051/2023).
I motivi non prospettano alcuna deduzione sulla comparazione svolta già nei precedenti gradi di giudizio, ma fanno leva unicamente sulla valutazione positiva della ricorrente.
Le relative deduzioni sono dunque inammissibili, in quanto tale elemento non giustifica alcuna maggiorazione retributiva; inoltre la ricorrente non ha allegato né dimostrato di avere formulato una domanda risarcitoria da perdita di chance in relazione alle procedure di progressione orizzontale.
16. In conclusione, vanno accolti il terzo, il quarto ed il quinto motivo e vanno dichiarati inammissibili gli altri motivi; la sentenza impugnata va cassata in
relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che provvederà ad un nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati e provvedendo anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso e dichiara inammissibili gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 4 aprile 2024.